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2023-04-18
Parte la guerra al grano ucraino. Il fronte ribelle si allarga, panico Ue
(IStock)
A far scoppiare una nuova battaglia del grano in Europa non è più l’impossibilità dell’Ucraina di esportarlo, ma la decisione dei Paesi dell’Est di non importarlo. La Polonia, l’Ungheria e la Slovacchia hanno infatti fermato temporaneamente le importazioni di grano ucraino e anche la Bulgaria prenderà in considerazione l’ipotesi di uno stop. L’obiettivo per tutti è difendere il proprio mercato interno e placare gli agricoltori colpiti dal calo dei prezzi, scattato quando l’Ue ha abolito i dazi e le quote sulle importazioni di grano ucraino lo scorso anno. Le autorità di Bruxelles hanno rimosso queste restrizioni dopo che le esportazioni di grano dell’Ucraina sono state reindirizzate a Ovest via terra verso l’Europa, in seguito all’invasione russa, che ha modificato le tradizionali rotte di esportazione marittima. Da allora, grandi volumi di prodotti ucraini destinati ad arrivare sui mercati esteri sono stati invece venduti nel Vecchio continente, facendo precipitare i prezzi all’interno dei 27 Paesi dell’Ue e scatenando le proteste di migliaia di agricoltori e piccoli imprenditori.
La prima a muoversi è stata Varsavia, che resta comunque uno dei maggiori sostenitori di Kiev, vietando l’ingresso dei prodotti agricoli ucraini nel Paese. Sabato il ministro dello Sviluppo e della Tecnologia, Waldemar Buda, ha pubblicato un decreto delineando il divieto, che sarà in vigore fino al 30 giugno, e sospenderà anche le importazioni di una serie di altri prodotti agricoli tra cui verdure, zucchero, carne bovina, suina e pollame. «Non lasceremo mai i nostri agricoltori senza aiuto», ha dichiarato il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, dopo la riunione del partito. In Polonia, di fronte alla crescente rabbia degli agricoltori, si è perfino dimesso il ministro dell’Agricoltura, Henryk Kowalczyk.
È subito seguito l’annuncio del governo ungherese e di quello slovacco, che già giovedì scorso aveva anche vietato la lavorazione del grano ucraino stoccato e della farina da esso prodotta per la presenza di pesticidi. Infine, il ministro dell’Agricoltura bulgaro ad interim, Yavor Gechev, ha lasciato intendere di voler seguire la stessa strada per «proteggere gli interessi della Bulgaria, soprattutto quando una simile restrizione è già stata introdotta da altri due Stati».
Un fronte compatto contro Bruxelles che ha giurisdizione su tutta la politica commerciale dell’Unione. «Azioni unilaterali non sono accettabili», ha affermato Miriam Garcia Ferrer, portavoce della Commissione europea per il Commercio e l’Agricoltura. La stessa Commissione sta preparando un nuovo pacchetto di aiuti per i Paesi confinanti con l’Ucraina, che potrebbe arrivare a 75 milioni di euro dalla riserva di crisi Pac, per alleviare la pressione sui prezzi dei cereali nei Paesi confinanti con l’Ucraina. Questa volta potrebbe riguardare più Stati membri, oltre a Polonia, Bulgaria e Romania. Intanto, ieri è intervenuto anche l’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell: «La Russia sta bloccando ancora una volta 50 navi con grano urgentemente necessario nel Mar Nero. L’Ue sostiene gli sforzi dell’Onu e continuerà a facilitare le esportazioni attraverso le corsie di solidarietà dell’Ue, che hanno portato 25 miliardi di tonnellate di grano nel mondo», ha scritto in un tweet.
In mezzo a questa battaglia, i riflettori sono puntati anche sulle mosse della Turchia. Il ministro delle Infrastrutture ucraino, Oleksandr Kubrakov, si recherà oggi nel Paese, proprio per discutere dell’accordo sull’esportazione di grano attraverso il Mar Nero. Kubrakov incontrerà il ministro Hulusi Akar nella città di Kayseri, nell’Anatolia centrale. Proprio Akar è stato uno degli attori principali che hanno permesso la chiusura dell’accordo, che dallo scorso luglio permette il passaggio di grano ucraino bloccato nei porti del Mar Nero. Accordo che sarà inevitabilmente al centro dell’incontro di oggi, anche per il malcontento di Mosca, che rischia di far saltare tutto. La visita di Kubrakov in Turchia segue peraltro di 12 giorni il viaggio del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, nella Capitale turca Ankara.
Ieri a Varsavia le delegazioni dell’Ucraina e della Polonia hanno intanto avviato i negoziati sull’importazione di prodotti agricoli ucraini, in particolare per quanto riguarda i cereali destinati al transito verso Paesi terzi. L’obiettivo del governo di Kiev è di garantire la riapertura del transito di cibo e grano attraverso la Polonia. Ci saranno ulteriori colloqui in Romania domani e in Slovacchia giovedì.
Nel frattempo, con una tempistica e un’enfasi che a qualche osservatore è parsa non casuale, ieri è stato comunicato l’arrivo in Yemen della sesta nave del programma umanitario di Volodymyr Zelensky, «Grain from Ukraine», per sostenere «le oltre 20 milioni di persone che hanno bisogno di aiuto in Yemen», si legge in una nota. Dove si ricorda che la spedizione è stata supportata dal Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, con l’assistenza finanziaria di Stati Uniti, Francia e Spagna.
Sui cereali speculazione da 2 miliardi
Dopo la Polonia, Ungheria e Slovacchia, anche la Bulgaria ha preso in considerazione l’ipotesi di uno stop all’import di grano proveniente dall’Ucraina. L’obiettivo è quello di tutelare il mercato interno, minacciato dall’ingresso di prodotti agricoli ucraini a basso costo. Bruxelles però non l’ha presa bene e ha sottolineato che «la politica commerciale è di competenza esclusiva dell’Ue e, pertanto, non sono accettabili azioni unilaterali».
Come riportato dal Guardian, sono in molti ad aver speculato sui cereali ucraini. La stima parla di profitti intorno ai 2 miliardi di dollari per solo dieci dei più grandi hedge fund del mondo. La speculazione è avvenuta grazie al commercio di due materie prime alimentari: cereali e semi di soia. L’Ucraina è uno dei maggiori fornitori mondiali di grano, mais, olio di girasole e altri importanti prodotti di base, nonché di fertilizzanti chimici. Nei giorni successivi all’invasione, i prezzi del cibo sono balzati a livelli record. In quel momento gli investitori finanziari hanno accumulato grandi quantità di cereali e materie prime, cercando di capitalizzare l’incertezza e l’aumento dei prezzi del cibo. Risultato? La creazione di una bolla che ha fatto rialzare i prezzi del cibo, con ovvie ricadute sulle persone più povere. Una vera e propria speculazione sulla fame nel mondo.
Lo studio è stato condotto da Unearthed, l’unità di giornalismo investigativo di Greenpeace, e dall’organizzazione giornalistica senza scopo di lucro Lighthouse Reports. Alcuni osservatori ritengono che l’impennata dei prezzi sia stata guidata più dalla speculazione finanziaria che da una reale penuria di cibo causata dalla guerra.
La Russia e l’Ucraina sono i principali esportatori di grano, ma in tutto il mondo la maggior parte del grano viene consumato nel Paese in cui viene coltivato. Il calo delle esportazioni globali, causato dall’invasione, ammontava a circa 7 milioni di tonnellate, meno dell’1% del raccolto globale, secondo Michael Fakhri, relatore speciale delle Nazioni unite sul diritto al cibo. Eppure il prezzo è aumentato di almeno il 50%.
«Ciò che spiega quel prezzo è l’effetto della speculazione: i mercati finanziari, gli hedge fund, eccetera...», ha detto a Unearthed. «La loro paura, il loro panico, i loro algoritmi fanno impennare il prezzo. L’aumento quindi non rifletteva la domanda e l’offerta del mondo reale, ma rifletteva i bisogni, i desideri e la funzione del mercato finanziario».
Non si può sapere quali fondi abbiano ottenuto i risultati migliori dal commercio di materie prime alimentari. Gli hedge fund custodiscono attentamente i dettagli dei loro investimenti e per arrivare alla stima di 1,9 miliardi di profitti, dall’aumento dei prezzi alimentari nel primo trimestre del 2022, Greenpeace e Lighthouse Reports hanno esaminato i rendimenti realizzati dall’Sg Trend Index di Societé Générale per quel periodo.
I fondi Sg Trend Index che hanno parlato con Unearthed hanno negato che la loro attività avesse fatto salire in modo inappropriato i prezzi del cibo. Harold de Boer, Ceo dell’hedge fund Transtrend, con sede a Rotterdam, ha convenuto che la speculazione «potrebbe aver fatto parte» dei picchi nei prezzi delle materie prime alimentari, ma ha sostenuto che si trattava di «una benedizione sotto mentite spoglie, perché il suo effetto ha stimolato gli agricoltori a seminare di più». Poi ha aggiunto: «Siamo un po’ come i dentisti, diremo ai nostri clienti che dovrebbero lavarsi i denti, ma se non lo fanno, guadagniamo di più». De Boer ha affermato che il suo fondo ha acquistato contratti di grano per tutta la seconda metà del 2021. Così come la Cina, che forse sapeva già qualcosa. Coldiretti, il 3 gennaio 2022, sulla base dell’analisi di Nikkei Asia sui dati del dipartimento americano dell’agricoltura (Usda), scriveva: «La Cina, entro la prima metà dell’annata agraria 2022, avrà accaparrato il 69% delle riserve mondiali di mais, il 60% del riso e il 51% di grano».
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Dopo Polonia, Ungheria e Slovacchia, anche la Bulgaria vuole fermare le importazioni. La Commissione critica le «azioni unilaterali» e lavora ad altri 75 milioni di aiuti. Intanto Kiev cerca una sponda in Turchia.Secondo il «Guardian», solo i dieci più grandi hedge fund hanno realizzato profitti stellari. Facendo impennare i prezzi ed esasperando i guai causati dal conflitto.Lo speciale contiene due articoli.A far scoppiare una nuova battaglia del grano in Europa non è più l’impossibilità dell’Ucraina di esportarlo, ma la decisione dei Paesi dell’Est di non importarlo. La Polonia, l’Ungheria e la Slovacchia hanno infatti fermato temporaneamente le importazioni di grano ucraino e anche la Bulgaria prenderà in considerazione l’ipotesi di uno stop. L’obiettivo per tutti è difendere il proprio mercato interno e placare gli agricoltori colpiti dal calo dei prezzi, scattato quando l’Ue ha abolito i dazi e le quote sulle importazioni di grano ucraino lo scorso anno. Le autorità di Bruxelles hanno rimosso queste restrizioni dopo che le esportazioni di grano dell’Ucraina sono state reindirizzate a Ovest via terra verso l’Europa, in seguito all’invasione russa, che ha modificato le tradizionali rotte di esportazione marittima. Da allora, grandi volumi di prodotti ucraini destinati ad arrivare sui mercati esteri sono stati invece venduti nel Vecchio continente, facendo precipitare i prezzi all’interno dei 27 Paesi dell’Ue e scatenando le proteste di migliaia di agricoltori e piccoli imprenditori. La prima a muoversi è stata Varsavia, che resta comunque uno dei maggiori sostenitori di Kiev, vietando l’ingresso dei prodotti agricoli ucraini nel Paese. Sabato il ministro dello Sviluppo e della Tecnologia, Waldemar Buda, ha pubblicato un decreto delineando il divieto, che sarà in vigore fino al 30 giugno, e sospenderà anche le importazioni di una serie di altri prodotti agricoli tra cui verdure, zucchero, carne bovina, suina e pollame. «Non lasceremo mai i nostri agricoltori senza aiuto», ha dichiarato il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, dopo la riunione del partito. In Polonia, di fronte alla crescente rabbia degli agricoltori, si è perfino dimesso il ministro dell’Agricoltura, Henryk Kowalczyk.È subito seguito l’annuncio del governo ungherese e di quello slovacco, che già giovedì scorso aveva anche vietato la lavorazione del grano ucraino stoccato e della farina da esso prodotta per la presenza di pesticidi. Infine, il ministro dell’Agricoltura bulgaro ad interim, Yavor Gechev, ha lasciato intendere di voler seguire la stessa strada per «proteggere gli interessi della Bulgaria, soprattutto quando una simile restrizione è già stata introdotta da altri due Stati». Un fronte compatto contro Bruxelles che ha giurisdizione su tutta la politica commerciale dell’Unione. «Azioni unilaterali non sono accettabili», ha affermato Miriam Garcia Ferrer, portavoce della Commissione europea per il Commercio e l’Agricoltura. La stessa Commissione sta preparando un nuovo pacchetto di aiuti per i Paesi confinanti con l’Ucraina, che potrebbe arrivare a 75 milioni di euro dalla riserva di crisi Pac, per alleviare la pressione sui prezzi dei cereali nei Paesi confinanti con l’Ucraina. Questa volta potrebbe riguardare più Stati membri, oltre a Polonia, Bulgaria e Romania. Intanto, ieri è intervenuto anche l’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell: «La Russia sta bloccando ancora una volta 50 navi con grano urgentemente necessario nel Mar Nero. L’Ue sostiene gli sforzi dell’Onu e continuerà a facilitare le esportazioni attraverso le corsie di solidarietà dell’Ue, che hanno portato 25 miliardi di tonnellate di grano nel mondo», ha scritto in un tweet.In mezzo a questa battaglia, i riflettori sono puntati anche sulle mosse della Turchia. Il ministro delle Infrastrutture ucraino, Oleksandr Kubrakov, si recherà oggi nel Paese, proprio per discutere dell’accordo sull’esportazione di grano attraverso il Mar Nero. Kubrakov incontrerà il ministro Hulusi Akar nella città di Kayseri, nell’Anatolia centrale. Proprio Akar è stato uno degli attori principali che hanno permesso la chiusura dell’accordo, che dallo scorso luglio permette il passaggio di grano ucraino bloccato nei porti del Mar Nero. Accordo che sarà inevitabilmente al centro dell’incontro di oggi, anche per il malcontento di Mosca, che rischia di far saltare tutto. La visita di Kubrakov in Turchia segue peraltro di 12 giorni il viaggio del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, nella Capitale turca Ankara. Ieri a Varsavia le delegazioni dell’Ucraina e della Polonia hanno intanto avviato i negoziati sull’importazione di prodotti agricoli ucraini, in particolare per quanto riguarda i cereali destinati al transito verso Paesi terzi. L’obiettivo del governo di Kiev è di garantire la riapertura del transito di cibo e grano attraverso la Polonia. Ci saranno ulteriori colloqui in Romania domani e in Slovacchia giovedì. Nel frattempo, con una tempistica e un’enfasi che a qualche osservatore è parsa non casuale, ieri è stato comunicato l’arrivo in Yemen della sesta nave del programma umanitario di Volodymyr Zelensky, «Grain from Ukraine», per sostenere «le oltre 20 milioni di persone che hanno bisogno di aiuto in Yemen», si legge in una nota. Dove si ricorda che la spedizione è stata supportata dal Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, con l’assistenza finanziaria di Stati Uniti, Francia e Spagna.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/grano-ucraina-guerra-ue-2659871091.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sui-cereali-speculazione-da-2-miliardi" data-post-id="2659871091" data-published-at="1681816078" data-use-pagination="False"> Sui cereali speculazione da 2 miliardi Dopo la Polonia, Ungheria e Slovacchia, anche la Bulgaria ha preso in considerazione l’ipotesi di uno stop all’import di grano proveniente dall’Ucraina. L’obiettivo è quello di tutelare il mercato interno, minacciato dall’ingresso di prodotti agricoli ucraini a basso costo. Bruxelles però non l’ha presa bene e ha sottolineato che «la politica commerciale è di competenza esclusiva dell’Ue e, pertanto, non sono accettabili azioni unilaterali». Come riportato dal Guardian, sono in molti ad aver speculato sui cereali ucraini. La stima parla di profitti intorno ai 2 miliardi di dollari per solo dieci dei più grandi hedge fund del mondo. La speculazione è avvenuta grazie al commercio di due materie prime alimentari: cereali e semi di soia. L’Ucraina è uno dei maggiori fornitori mondiali di grano, mais, olio di girasole e altri importanti prodotti di base, nonché di fertilizzanti chimici. Nei giorni successivi all’invasione, i prezzi del cibo sono balzati a livelli record. In quel momento gli investitori finanziari hanno accumulato grandi quantità di cereali e materie prime, cercando di capitalizzare l’incertezza e l’aumento dei prezzi del cibo. Risultato? La creazione di una bolla che ha fatto rialzare i prezzi del cibo, con ovvie ricadute sulle persone più povere. Una vera e propria speculazione sulla fame nel mondo. Lo studio è stato condotto da Unearthed, l’unità di giornalismo investigativo di Greenpeace, e dall’organizzazione giornalistica senza scopo di lucro Lighthouse Reports. Alcuni osservatori ritengono che l’impennata dei prezzi sia stata guidata più dalla speculazione finanziaria che da una reale penuria di cibo causata dalla guerra. La Russia e l’Ucraina sono i principali esportatori di grano, ma in tutto il mondo la maggior parte del grano viene consumato nel Paese in cui viene coltivato. Il calo delle esportazioni globali, causato dall’invasione, ammontava a circa 7 milioni di tonnellate, meno dell’1% del raccolto globale, secondo Michael Fakhri, relatore speciale delle Nazioni unite sul diritto al cibo. Eppure il prezzo è aumentato di almeno il 50%. «Ciò che spiega quel prezzo è l’effetto della speculazione: i mercati finanziari, gli hedge fund, eccetera...», ha detto a Unearthed. «La loro paura, il loro panico, i loro algoritmi fanno impennare il prezzo. L’aumento quindi non rifletteva la domanda e l’offerta del mondo reale, ma rifletteva i bisogni, i desideri e la funzione del mercato finanziario». Non si può sapere quali fondi abbiano ottenuto i risultati migliori dal commercio di materie prime alimentari. Gli hedge fund custodiscono attentamente i dettagli dei loro investimenti e per arrivare alla stima di 1,9 miliardi di profitti, dall’aumento dei prezzi alimentari nel primo trimestre del 2022, Greenpeace e Lighthouse Reports hanno esaminato i rendimenti realizzati dall’Sg Trend Index di Societé Générale per quel periodo. I fondi Sg Trend Index che hanno parlato con Unearthed hanno negato che la loro attività avesse fatto salire in modo inappropriato i prezzi del cibo. Harold de Boer, Ceo dell’hedge fund Transtrend, con sede a Rotterdam, ha convenuto che la speculazione «potrebbe aver fatto parte» dei picchi nei prezzi delle materie prime alimentari, ma ha sostenuto che si trattava di «una benedizione sotto mentite spoglie, perché il suo effetto ha stimolato gli agricoltori a seminare di più». Poi ha aggiunto: «Siamo un po’ come i dentisti, diremo ai nostri clienti che dovrebbero lavarsi i denti, ma se non lo fanno, guadagniamo di più». De Boer ha affermato che il suo fondo ha acquistato contratti di grano per tutta la seconda metà del 2021. Così come la Cina, che forse sapeva già qualcosa. Coldiretti, il 3 gennaio 2022, sulla base dell’analisi di Nikkei Asia sui dati del dipartimento americano dell’agricoltura (Usda), scriveva: «La Cina, entro la prima metà dell’annata agraria 2022, avrà accaparrato il 69% delle riserve mondiali di mais, il 60% del riso e il 51% di grano».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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