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La grande balla dell’estate da record gonfiata dai gradi misurati «al suolo»

  • Le temperature di questi giorni non sono affatto una novità, anzi in passato si toccarono picchi più elevati. Ma per terrorizzare le persone si pubblicizzano le rilevazioni prese sul terreno, maggiori di quelle classiche.
  • Se non cominciamo a sostituire il petrolio la nostra civiltà crollerà. Puntare sulle rinnovabili è un’illusione.

Lo speciale contiene due articoli.

«Tempesta di caldo». «Bolla di fuoco». Non sono i titoli dei nuovi film di Steven Spielberg, ma quelli di alcuni giornali di questi giorni, che hanno scoperto… l’acqua calda: d’estate fa caldo e si suda. Il problema è che oggi come oggi, pur di dimostrare che il clima sta cambiando, la catastrofe incombe, il pianeta sta evaporando, quella che è l’assoluta normalità viene spacciata per emergenza mondiale. Considerazione da negazionisti del clima? Minimizzazione da beceri servi del condizionatore a palla? No: abbiamo semplicemente dato un’occhiata alle temperature di questi giorni in alcune delle principali città italiane, e ci siamo messi a cercare se nel mese di luglio degli anni scorsi, anche andando molto indietro nel tempo, il caldo era effettivamente meno intenso. Risultato? La bolla si è rivelata una balla, come chiunque può agevolmente verificare semplicemente visionando il sito internet ilmeteo.it e spulciando le temperature medie.

Partiamo da Milano: l’altro ieri, 16 luglio, la temperatura media è stata di 29 gradi. Fa caldo, all’ombra della Madonnina? Certo, ma come sempre, se non di meno. Qualche esempio: Il 30 luglio 2020 la temperatura media a Milano era di 30 gradi, così come il 26 luglio 2019, il 28 luglio 2013, il 25 luglio 2006. Il 22 luglio 1995, pensate un po’, la temperatura media a Milano toccò i 31 gradi: altro che bolla di fuoco! Il piccolo dettaglio è che 28 anni fa, stando ai dati, faceva pure più caldo di oggi, ma visto che non c’erano i talebani del clima di oggi, la gente cercava di rinfrescarsi e campava più tranquilla.

Che dire di Venezia? L’altro ieri tra i canali la temperatura media è stata di 28 gradi. Tempesta di caldo! Macché: il 30 e 31 luglio del 2020, la temperatura media a Venezia fu di 29 gradi, così come il 24 e 25 luglio 2019. Il 31 luglio 2018 si registrarono 30 gradi; il 12, 13 e 14 luglio 2010, 29 gradi; il 15 luglio 2010, 29 gradi. Il 16 luglio 2010, 13 anni fa, la temperatura media a Venezia fu di 31 gradi e il giorno dopo di 30: se fosse stata in città, Greta Thunberg, che all’epoca aveva sette anni, si sarebbe tuffata in acqua dalla gondola per sfuggire alla tempesta di caldo. Andando ancora indietro nel tempo a Venezia il 19 e 20 luglio 2000 si registrarono 29 gradi, così come il 24 luglio 1998 e 20 luglio 1983.

È estate e fa caldo pure a Bologna, dove lo scorso 15 luglio la temperatura media è stata di 27 gradi. Caronte sta per distruggerci tutti? È giunta l’ora dell’ultima lasagna? Niente di tutto questo: il 7 luglio 2021 c’erano gli stessi 27 gradi, il 20 luglio 2021 ben 29 gradi, il 21 luglio 2021 28 gradi, il 30 e 31 luglio 2021 29 gradi. Il 7 luglio 2017, a Bologna, la temperatura media fu di 30 gradi, e non dite assolutamente ai climastrofisti che il 2 luglio 2012, ben 11 anni fa, il capoluogo dell’Emilia-Romagna fece registrare una temperatura media di 31 gradi. Il 19 e 20 luglio 2012 a Bologna si registrarono 29 gradi; il 27 luglio 2012, 30 gradi; il 28 luglio 2012, ancora 31 gradi; il 29 e 30 luglio 2005, 30 gradi; il 23 e 24 luglio 1998, 30 gradi; il 22, 23 e 24 luglio 1988, 29 gradi; il 19 luglio 1983, 29 gradi; il 26, 27 e 28 luglio 1983, per tre giorni di fila, a Bologna la temperatura media fu di 31 gradi, ma Greta non era ancora nata e le famiglie non seppero mai di essere finite in una tempesta infernale: pensarono facesse caldo.

A Roma pure fa caldo, incredibile a dirsi: l’altro ieri la temperatura media è stata di 30 gradi, esattamente come quella del 30 luglio 2020, del 15, 16 e 17 luglio 2015, del 13 luglio 2011 e pure del 28 luglio 1983, ben 40 anni fa.

Che calore, che calore, comme coce ’o sole, come cantava Pino Daniele, anche a Napoli: lo scorso 15 luglio, temperatura media di 28 gradi. La fine del mondo è vicina? Allora lo era ancora di più il 2 e 3 luglio 2022, con 30 gradi; il 4,5 e 6 luglio 2022 a 29 gradi; il 31 luglio 2018 con 30 gradi. Dieci anni fa il 27, 28, 29, 30 e 31 luglio 2013 all’ombra del Vesuvio si registrarono 29 gradi; tornando più indietro, il 25, 26 e 27 luglio 1995 ci furono 29 gradi di temperatura media: le famiglie non sapevano che l’apocalisse era vicina, si fecero un bagnetto rinfrescante a Mergellina e se ne tornarono a casa.

Altra moda di questi giorni è parlare di temperatura della superficie terrestre, che guarda un po’ tu è più alta di quella registrata in maniera classica: pur di creare allarmismi tutto fa brodo (ovviamente bollente). Simpatico il siparietto di ieri mattina ad Agorà Estate, su Rai 3: il presentatore Lorenzo Lo Basso, come ha notato Davide Scifo su Twitter, inizia sobriamente la puntata: «Buongiorno da Agorà Estate», esclama, «in questa giornata che potrebbe essere la più calda del secolo!». Qualche minuto dopo Lo Basso chiede al capitano del servizio meteorologico dell’Aeronautica militare, Stefania De Angelis:« È veramente eccezionale questa ondata di calore?»; ma il capitano lo delude: «È effettivamente un’onda di calore», risponde la De Angelis, «con temperature molto alte, ne abbiamo avute tante in passato, e questa è una classica onda di calore». Per Lo Basso, una doccia fredda.

Il greggio finirà, l’unica alternativa è l’atomo

Una realtà che non possiamo negare è che la nostra Terra è tonda e finita e non piatta e infinita, e le risorse che essa ci offre sono necessariamente finite. Generalmente, la produzione di qualunque risorsa finita e che si consuma con l’uso comincia da zero, aumenta fino ad un massimo (o magari, con alcune oscillazioni, fino a più di un massimo), per poi diminuire fino ad un inesorabile ritorno allo zero: il processo di riduzione è indotto dalla diminuzione della risorsa e dal fatto che la pena del processo di produzione aumenta fino a superare il beneficio di avere il prodotto. Cioè – è bene qui sottolineare – per esaurimento intendiamo non necessariamente la effettiva scomparsa della risorsa quanto, piuttosto, la circostanza che, per una ragione o per un’altra, non risulta più conveniente produrla.

In particolare, petrolio, gas e carbone, che oggi costituiscono la fonte per oltre l’85% del nostro fabbisogno energetico, sono destinati a esaurirsi: ci sarà un momento quando di essi l’umanità non si servirà più, o perché li avremo saputi rimpiazzare prima del loro esaurimento o perché si saranno effettivamente esauriti nel senso detto, cioè perché, per una qualche ragione non sarà più conveniente estrarre e lavorare il petrolio, il gas o il carbone rimasti.

La data importante, tuttavia, non è quella di esaurimento di queste risorse, ma è la data in cui si raggiungerà il picco di massima produzione con, da allora in poi, una domanda superiore alla produzione. Non vogliamo neanche immaginare cosa accadrà nel mondo quando la domanda di petrolio sarà insopportabilmente superiore alla offerta. Possiamo però esplorare la possibilità di mitigare la differenza tra domanda e offerta.

Nel 1956, il geofisico Marion King Hubbert pubblicava una ingegnosa analisi matematica ove rappresentava la velocità di produzione del petrolio, in funzione del tempo, con una curva a campana semplificata, cioè con un solo picco massimo che porta oggi il suo nome. Hubbert comunicò ad un mondo incredulo che il picco di produzione americana del petrolio si sarebbe verificato tra il 1966 e il 1971, senza che nessuno gli desse retta. Il picco si verificò nel 1970. Da quella data la produzione americana di petrolio cadeva in inesorabile declino che tale rimase per oltre 30 anni. Nel 1999 fu ripetuta l’analisi di Hubbert su 42 Paesi produttori di petrolio rappresentanti il 98% della produzione mondiale, e il picco di Hubbert mondiale veniva predetto verificarsi nel 2005.

Senonché, l’uso di giacimenti non convenzionali ha ridato aìre alla produzione di petrolio sia negli Usa che nel mondo. La circostanza dà ad alcuni l’illusione che le previsioni «à la Hubbert» siano sciocchezze catastrofiste e che non si verificherà alcun picco. Ma è questa la vera sciocchezza e la vera illusione, perché essa implicherebbe risorse infinite, il che è impossibile vista la finitezza del nostro pianeta. Ad ogni buon conto, al momento sembra che già dal 2018 siamo seduti su un altro picco. Che sia questo un altro picco oppure «il» picco, poco conta: l’esistenza del giorno di quel picco ultimo è ineluttabile. Esso dovrebbe darci l’occasione di guardare in faccia la realtà: la produzione di petrolio sta inesorabilmente declinando; lentamente, ora che siamo a cavallo del picco, ma sempre più velocemente a partire dal prossimo futuro. Il declino è inevitabile e il picnic finirà.

Agli ostinati ottimisti si potrebbe legittimamente obiettare, innanzitutto, che un picco è già passato dal 1980. Se infatti si considera, in funzione del tempo, più che la produzione annua assoluta di petrolio, il rapporto tra la produzione annua e la popolazione della Terra, si osserva un picco nel 1980, e da allora quel rapporto è in costante diminuzione.

Insomma, è dal 1980 che la Terra «produce» esseri umani con maggiore velocità di quanto non produca petrolio.

Una seconda osservazione è che se siamo, oggi, sul picco di Hubbert del petrolio o, peggio, se esso è stato superato, il mondo è in grave ritardo rispetto alle azioni da intraprendere per mitigare gli effetti della diminuzione di produzione del petrolio; se invece il picco avverrà fra qualche decennio, allora il mondo ha l’occasione di agire ed evitare alla prossima generazione la scomoda posizione in cui ci troveremmo noi, oggi, qualora fosse vera la prima circostanza. In ogni caso, il picco di Hubbert del petrolio sarà indubbiamente una data storica e solennemente ricordata, dalle generazioni future, come l’apice della civiltà del petrolio, la cui ascesa, splendore e declino avranno nella curva di Hubbert il suo simbolo più significativo, come le Piramidi, l’Acropoli di Atene e il Colosseo sono i simboli delle civiltà egizia, greca e romana.

La nostra civiltà, però, più che del petrolio, è la civiltà della disponibilità di energia abbondante e a buon mercato. E l’esaurimento del petrolio (o, in generale, dei combustibili fossili) non necessariamente significherà la fine della nostra civiltà se solo sapremo quei combustibili fossili sostituire. A questo proposito, devo dare una notizia buona e una cattiva.

La buona notizia è che avremmo, già da oggi, la possibilità di operare quella sostituzione in modo da minimizzare le sofferenze conseguenti alla minore disponibilità di combustibili fossili. La cattiva notizia è che il mondo non s’è ancora sbarazzato dell’ideologia ambientalista. Questa, armata della più assoluta ignoranza non solo scientifica ma anche di aritmetica elementare, induce a coltivare illusioni che, se perseguite, non solo accelereranno la morte di questa nostra civiltà, ma provocheranno quella di miliardi di esseri umani.

L’imperativo categorico, allora sarebbe: ignorare gli ambientalisti e agire in fretta nel settore energetico. A chi non si rendesse conto della gravità del problema, gli basti pensare che l’80% dei costi in agricoltura sono direttamente o indirettamente legati ai costi di combustibile e, pertanto, la moderna agricoltura può definirsi come la trasformazione di petrolio in cibo: niente petrolio, niente cibo. Agire nel modo sbagliato, quindi, ci può essere fatale.

Per fortuna non siamo condannati né a subire passivamente le conseguenze dell’ineluttabile esaurimento del petrolio, né ad affossarci coltivando le illusioni con cui ci abbagliano gli ambientalisti. Cioè non esiste solo la via delle farlocche tecnologie eolica e fotovoltaica che ci condurrà dritti dritti nel baratro. Esiste anche una reale via d’uscita: quella del nucleare da fissione, una tecnologia matura, sicura, economica, e che si serve di una fonte abbondante e disponibile per millenni.

Telecamere ovunque per spiare i cittadini
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Dopo il fallimento su migranti e sicurezza, i laburisti aumentano la vigilanza nel Regno Unito chiedendo di scannerizzare i volti dei britannici. Ma così si imita solamente il modello cinese, che sorveglia tutto e non lascia alcuna libertà (e privacy) alle persone.

La proposta viene dalla sinistra inglese. Da quella parte politica che ha maggiormente aperto le porte del Regno Unito all’immigrazione incontrollata e che, in occasione delle rivolte contro i richiedenti asilo ospitati a Epping (uno dei quali aveva violentato una bambina), si è schierata al fianco di questi ultimi e contro i cittadini britannici che chiedevano più sicurezza. Che ormai non c’è, come dimostrano le numerose aggressioni e gli omicidi, spesso di giovani donne, degli ultimi tempi, dovuti anche a centinaia di migliaia di migranti di cui si sono perse le tracce. Scomparsi nel nulla. Fantasmi.

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Francia e Germania litigano sul loro programma: così Parigi potrebbe rimanere da sola.

Il ministro della Difesa Guido Crosetto, in audizione davanti alle commissioni Difesa di Camera e Senato, ha toccato l’argomento Gcap (Global combat air programme), ovvero il sistema d’arma aereo di prossima generazione sul quale lavorano e lavoreranno decine aziende italiane coordinate da Leonardo, altrettante realtà inglesi sotto Bae System e un gruppo di aziende giapponesi tra le quali Mitsubishi e Ihi. Crosetto ha spiegato: «Il Gcap non è un aereo, è una piattaforma tecnologica […]. Sono tecnologie che noi non abbiamo e che siamo arrivati ad avere in condivisione quasi totale. Si sta aprendo un rapporto molto forte con il Giappone e ci serve molto dal punto di vista della crescita industriale».

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Crosetto: «Rivoluzione nella difesa nel 2026»
Guido Crosetto (Ansa)
Il ministro annuncia una «riorganizzazione totale» che comprende «uomini e strumenti giuridici». La realtà di oggi, spiega, esige velocità. E spinge per riaffidare Strade sicure alla polizia: «I soldati servono altrove». Ma su questo rischia una frattura con la Lega.

Tutto il resto è naja: il tema della leva volontaria in Italia, lanciato alcuni giorni fa in Francia dal ministro della Difesa Guido Crosetto, è al centro della audizione di ieri dello stesso Crosetto alle commissioni Difesa congiunte di Senato e Camera. «Sulla leva», spiega Crosetto, «almeno abbiamo innescato un dibattito: c’è la necessità di aumentare le forze armate e la loro qualità utilizzando anche competenze che si trovano sul libero mercato e non tra i militari. C’è bisogno di una riserva selezionata, servono meccanismi per attirare persone, incentivi economici. Sono temi che a gennaio-febbraio vorrei porre al parlamento». I primi mesi dell’anno vedranno Crosetto proporre una riforma complessiva delle Forze armate: «Voglio portare in parlamento», precisa il ministro, «il tema della riorganizzazione totale della Difesa: significa costruire una Difesa dal punto di vista degli uomini, degli strumenti normativi e giuridici a 360 gradi per affrontare le sfide del futuro. C’è bisogno di una Difesa in grado di cambiare, se serve, perché in un mondo fluido dobbiamo essere pronti ad avere una Difesa che può adeguarsi con una velocità che non c’era richiesta fino a qualche anno fa». In serata Crosetto interviene anche sulla polemica scatenata dalle frasi dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone sui possibili attacchi preventivi della Nato sul fronte cyber: «È stata rilanciata dalla Russia per alimentare il racconto che l’Occidente volesse attaccarla», afferma in un programma Rai. «È parte della guerra ibrida».

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L’oro di Bankitalia è dello Stato come è scritto nei trattati europei
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La Bce non boccia l’emendamento di Fdi, ma conferma il parere dato nel 2019: ciò che conta è che Palazzo Koch controlli le riserve.

«Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato in nome del popolo italiano» è il testo della proposta di emendamento alla legge di bilancio 2026 formulata dal capogruppo senatore di Fdi Lucio Malan. E secondo molti media nostrani la Banca Centrale Europea avrebbe bocciato questa proposta. Falso. E spieghiamo perché.

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