2023-01-06
La strategia sulle nomine: poche mosse chiave e con l’ok di Mattarella
Sergio Mattarella e Giorgia Meloni (Ansa)
Dipinta come «piglia tutto» dai media, Giorgia Meloni pare orientata a sostituire Alessandro Rivera (Tesoro) e Marcello Minenna (Dogane). Sulle scelte sponda continua con Colle e Giancarlo Giorgetti.S’avvicina il 24 gennaio e sui quotidiani appaiono pensosi retroscena sulle manovre delle nomine meloniane. La Repubblica ieri dipingeva un premier «piglia tutto», inscenando la calata degli uomini di Fratelli d’Italia con toni allarmati.Che accade il 24 gennaio? Cessano i 90 giorni dal voto di fiducia che la legge Bassanini concede a ogni governo per decidere sui vertici delle strutture amministrative. È una data che direttori generali dei dicasteri e capi delle Agenzie come Entrate, Dogane e Demanio attendono per conoscere il loro destino: conferma, congedo ed eventuale nuova destinazione. Un passaggio burocratico fisiologico, che però una rappresentazione mediatica forzata sta presentando come particolarmente violento e predatorio. Dunque: la Meloni sta preparando la presa sui gangli meno visibili ma più efficaci del potere o, come alcuni ritengono, si è già troppo «normalizzata»? Stavolta siamo più o meno a metà dei due estremi: il premier sta gestendo i dossier con i sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari (e con i ministri interessati, ovviamente), con un allineamento più cercato di quanto non si creda con il titolare leghista dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ieri sorpreso dai flash in un fitto conciliabolo con l’ex premier Mario Draghi durante i funerali di Benedetto XVI. I criteri che sta seguendo la leader di Fdi, dopo i casi Magrini e Legnini, secondo fonti consultate dalla Verità sono due: da un lato privilegiare poche mosse decise e, negli auspici, risolutive, che diano all’esecutivo figure in grado di guidare la «macchina» e permettere una realizzazione delle istanze politiche, soprattutto economiche; dall’altro, evitare rodomontate, seguendo la logica della «transizione ordinata» tanto citata nei giorni del passaggio di consegne con l’ex capo della Bce. Fuor di metafora: no a epurazioni smaccate, costante rapporto con il Quirinale sui nomi da sostituire (e soprattutto su quelli da introdurre), evitare cacciate con un criterio esclusivamente partitico. Applicando questa linea, sono due le posizioni ritenute più strategiche da Palazzo Chigi: la direzione generale del Tesoro, affidata oggi all’esperto Alessandro Rivera, e la Cassa depositi e prestiti (oggi guidata da Dario Scannapieco, che non ricade nella «tagliola» del 24 gennaio ma risulta oggetto delle riflessioni di Palazzo Chigi). Anche per questo, lo «spin» di queste ore si concentra su un refrain che non ha molta corrispondenza con la realtà: Meloni decisa a non prorogare Rivera, Giorgetti propenso a salvarlo per evitare un’Italia isolata e incapace di parlare con le istituzioni comunitarie senza il pur rodato funzionario. Un quadro obiettivamente poco centrato: non è pensabile che tutti i rapporti burocratici di ambito economico con l’Unione europea possano dipendere da una sola persona. Non a caso, tra l’altro, alla Verità risulta che dall’inizio di quest’anno Giorgetti si avvalga della competenza di Riccardo Ercoli, funzionario proveniente dalla Direzione generale degli Affari economici dell’Ue, peraltro con una lunga pratica nell’alveo della «troika» (Bce-Fmi-Commissione). Circoscrivere a Rivera e alla sua posizione l’esclusività degli snodi con l’Ue vorrebbe dire poi limitare il ruolo del resto del Mef e il peso dello staff del ministero retto da Raffaele Fitto, nonché quello del Rappresentante permanente presso l’Unione europea: ruolo oggi in capo a Pietro Benassi, già capo di gabinetto della Bonino agli Esteri, consigliere e poi sottosegretario ai servizi di Conte mandato a Bruxelles da Draghi quasi due anni fa. E anche questa è una posizione sui cui il nuovo governo sta ragionando con molta attenzione, a partire dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. Anche perché l’incontro tra Manfred Weber e Giorgia Meloni conferma che la prospettiva di un governo Ppe-Ecr (il gruppo conservatore presieduto dal nostro premier) continua a prendere corpo, dunque sarà decisivo avere gli uomini giusti al posto giusto nei prossimi mesi.Tornando a Rivera, alla Verità vengono riferite trattative per «compensare» l’alto funzionario con incarichi internazionali (Bei o Ocse, probabilmente) e sostituirlo con un profilo che potrebbe essere quello di Antonino Turicchi, cv difficile da eccepire. L’eventuale prolungarsi della trattativa, in un quadro di reciproca condivisione del percorso, potrebbe depotenziare la scadenza del 24 gennaio, spostando a dopo la conclusione di una «exit strategy» più soft possibile, nelle intenzioni di Palazzo Chigi e via XX Settembre. Non è detto che lo spoils system non tocchi altre figure apicali in seno al Mef.A testimoniare tuttavia una volontà non poi così bellicosa e decisa a fare terra bruciata di tutto e tutti (al netto delle dichiarazioni sul «machete» del ministro della Difesa, Guido Crosetto) sono invece al momento le posizioni di Biagio Mazzotta ed Ernesto Maria Ruffini: il governo pare deciso a confermare sia il Ragioniere generale dello Stato (ritenendo assorbiti gli screzi sorti in fase di discussione della manovra) sia il capo delle Entrate. Si tratta di figure come noto non certo assimilabili al centrodestra: anzi. Diverso discorso per Marcello Minenna. Qui l’orientamento sarebbe, come già riportato da diverse testate negli scorsi giorni, di sostituire l’economista ed ex assessore al Bilancio del Comune di Roma a guida Raggi, che dal 2020 dirige l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.Al di là dei singoli nomi, fondamentali ma non noti al grande pubblico, il prossimo mese dirà soprattutto che idea di potere abbia in testa Giorgia Meloni. Poi, toccherà alle grandi partecipate.