Pierpaolo Sileri insiste sull'ecatombe da Covid. Ma il suo ministero, stanziati i fondi per gli esami clinici arretrati, se ne infischia se le Regioni ancora non hanno piani di recupero. L'esperto: «Per l'esecutivo questa non è una priorità. E così tra i pazienti è salita la mortalità».
Pierpaolo Sileri insiste sull'ecatombe da Covid. Ma il suo ministero, stanziati i fondi per gli esami clinici arretrati, se ne infischia se le Regioni ancora non hanno piani di recupero. L'esperto: «Per l'esecutivo questa non è una priorità. E così tra i pazienti è salita la mortalità».Invece di scusarsi per la sparata sui decessi da Covid che, a detta sua, sarebbero superiori a quelli del cancro, il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, immerso nella bolla di vaccino e green pass, persevera nel minacciare scenari apocalittici dovuti al virus. La cosa più grave è che si ignora così il vero tsunami che si sta abbattendo sulla salute: l'aumento di malattie e di decessi dovuti alle cure e agli esami non erogati in questi 18 mesi di pandemia. Ieri mattina, su Canale 5, Sileri ha ricordato i 130.000 morti da Covid che abbiamo «alle spalle» e gli «altri 30.000 davanti». Sono gli stesi numeri dati il giorno prima, sempre in tv, su Rai 3, dove però, per sollecitare la vaccinazione, il sottosegretario ha dichiarato che il Covid uccide più dei tumori. I numeri smentiscono la grave scivolata: sono 130.000 i decessi da Covid in 18 mesi di pandemia, contro i 180.000 annuali del cancro (Dati Istat 2017). Ma c'è di più. Uno studio dell'Università di Pavia, apparso su Public Health, registra che il Sars-Cov-2 è responsabile di circa il 40% delle morti in eccesso del 2020 e che, come se non bastasse, nei primi quattro mesi del 2021, delle 9.000 morti registrate, solo il 16% è riconducibile al Covid. Se la matematica ha ancora senso, oltre la metà di queste morti non è causata dal coronavirus, ma dalla mancata erogazione di diagnosi e cure a causa di una sanità dedicata praticamente, da 18 mesi, solo alla pandemia. Il peggio però deve ancora venire. Solo per il cancro, ai danni del quasi dimezzamento delle prestazioni sanitarie, si deve sommare la riduzione di circa il 50% degli screening oncologici principali, con ritardi mediamente di 4-5 mesi, che comportano diagnosi con stadi più avanzati di malattia, molto più difficili da trattare. Secondo una stima britannica, negli anni post Covid, i decessi per tumore aumenteranno di circa un 10%.In vista di questa catastrofe annunciata, il governo ha stanziato 500 milioni di euro per rimettersi in pari sulle prestazioni non erogate, ma «all'orizzonte non si vedono piani di recupero», dice Tonino Aceti, presidente di Salutequità. «In queste settimane le Regioni stanno approvando gli aggiornamenti al piano del 2020 - che vale anche per quest'anno - con l'unica modifica di poter contare anche sul privato accreditato. Anche i fondi sono gli stessi». In effetti i soldi ci sono, ma non sono usati. «La Corte dei conti», ricorda Aceti, «dice che circa il 67% delle risorse stanziate nel 2020 non sono state spese dalle Regioni, con percentuali di circa il 96% al Sud, il 54% al Nord e il 45% al Centro». Il problema è che il recupero delle prestazioni non fatte «non è identificato come priorità nazionale. Se lo fosse stato, sarebbe stato inserito tra gli indicatori con cui si valutano ogni anno le Regioni», spiega l'esperto. Non rientra tra i parametri per cui le Regioni sono rimborsate «la capacità di riequilibrare il piano sanitario. Non è una priorità» per il governo e nemmeno per le Regioni. A questo, poi, si aggiunge una questione pratica. Per accorciare le liste d'attesa, deve crescere la produttività, cioè il personale, che «non è aumentato», continua Aceti. «Dovevano entrare una serie di risorse. Erano previsti, nel decreto Rilancio, 9.600 infermieri di famiglia e comunità, ma la Corte dei conti ha rilevato l'assunzione di solo 1.100-1.200 operatori. Le norme alla fine non sono state messe a terra concretamente». Il dramma è che, «di fatto», aggiunge l'esperto, «il Sistema sanitario (Ssn) avrebbe dovuto garantire un doppio registro di assistenza: Covid e non Covid», invece ha pensato solo al virus. Certo, la pandemia «è un problema che va affrontato con rigore e attenzione alle evidenze della scienza, ma non possiamo continuare orientare il Ssn su un'unica direzione: deve riprendere a dare risposte a tutte le malattie», sottolinea Aceti. «Un ulteriore blocco delle prestazioni riconducibile a un aumento di contagi è irricevibile e insostenibile per i cittadini». Al governo manca proprio l'idea, la prospettiva di una realtà diversa dal Covid: si dimentica della maggioranza dei pazienti che hanno malattie oncologiche o croniche. Rispetto a quanto fatto per il Covid, manca «un atto di indirizzo, una circolare per definire il modello organizzativo per garantire l'assistenza anche ai pazienti non Covid, nel momento in cui reparti e terapie intensive siano occupate in modo serio», osserva l'esperto. Un atto di questo tipo sarebbe servito già un anno fa, ma l'ostinazione a trattare solo di Covid e vaccini, abbassa la probabilità che qualcuno, al ministero, si prenda la briga di indicare alle Regioni di quali attrezzature, uomini e mezzi abbiano bisogno per garantire i Livelli essenziali di assistenza (Lea) a tutti i cittadini, anche in presenza di una nuova ondata, tanto minacciata. Di fatto, in questi 18 mesi, sono stati garantiti i Lea per Covid e urgenze. I danni di questa scellerata miopia (o incapacità) sono nell'aumento delle curve di mortalità per malattie croniche e tumori. Sugli screening oncologici forse le regioni potrebbero fare qualcosa, ma da subito: è già tardi. Solo per il melanoma, a causa del blocco delle visite dermatologiche, c'è stato un aumento del 20% dei casi nel 2020. È saltata completamente la diagnosi precoce di un tumore da cui si può guarire, se scoperto in tempo. Le associazioni dei pazienti hanno inviato le dieci raccomandazioni per la diagnosi precoce del melanoma al ministro Roberto Speranza e al sottosegretario Sileri. Basterebbe che anche i pazienti non Covid fossero considerati almeno quanto i malati Covid.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






