Giuseppe Conte sterza su legge elettorale e ossequi alla Cina, poi raduna voltagabbana e «volenterosi» e passa a Palazzo Madama anche grazie ai senatori a vita: 156 i sì. Rissa e «Var» sui voti di Lello Ciampolillo e Riccardo Nencini.
Giuseppe Conte sterza su legge elettorale e ossequi alla Cina, poi raduna voltagabbana e «volenterosi» e passa a Palazzo Madama anche grazie ai senatori a vita: 156 i sì. Rissa e «Var» sui voti di Lello Ciampolillo e Riccardo Nencini.«Alla fine a bordo ci è salito lui». Nel salone Garibaldi (il Transatlantico del Senato), passa Gregorio De Falco e qualcuno non riesce a trattenersi la battuta. Colui che, intimando a Francesco Schettino di non abbandonare la Costa Concordia che stava affondando, divenne tanto famoso da essere eletto senatore con M5s per poi abbandonare il gruppo grillino, ha trovato ieri sera l'ultimo approdo nella pattuglia dei nuovi «responsabili», evocati e inseguiti in modo ossessivo negli ultimi giorni dal premier Giuseppe Conte e dai suoi emissari. Con lui, si sono imbarcati in questa avventura politica dalla base numerica esile e dagli esiti politici incerti, i personaggi più eterogenei, che hanno avuto, nell'ilarità generale, la «benedizione» di Domenico Scilipoti, presente per lunghi tratti a Palazzo Madama e impaziente di vedere di persona le gesta dei suoi emuli. Il risultato, però, non è stato esaltante: numeri a dir poco ballerini, maggioranza assoluta non raggiunta e uno scarto con l'opposizione che rende la caduta possibile a ogni stormir di fronde. Alla fine i sì sono 156 (140 i no e 16 gli astenuti). La giornata non ha regalato momenti drammatici o siparietti in Aula, a differenza della frizzante seduta di lunedì a Montecitorio, dove il presidente di turno è dovuto più volte intervenire per sedare urla o far rimuovere gli striscioni. Era d'altra parte lecito attendersi che il premier Giuseppe Conte ripetesse sostanzialmente il discorso fatto alla Camera e così è stato, e ciò ha tolto ulteriore interesse a un dibattito che si è protratto stancamente per tutta la giornata. Mentre la vera partita si giocava nei meandri dei corridoi del Palazzo o sulle chat protette, Conte ha svolto il compitino impegnando l'emiciclo, come lunedì, per circa un'ora. In cima ai suoi pensieri, dunque, anche ieri c'è stato l'appello urbi et orbi a puntellare la sua traballante maggioranza, con annesse possibilità di progressione in carriera a livello di governo a Parlamento per i peones che volessero seguirlo. «Chiediamo un appoggio limpido», ha detto Conte, «un appoggio trasparente, che si fondi sulla convinta adesione a un progetto politico», ma non ha potuto glissare sull'importanza del passaggio al Senato: «I numeri sono importanti, oggi lo sono ancor di più, questo è un passaggio fondamentale nella vita istituzionale del nostro Paese ed è ancora più importante la qualità del progetto politico». Una messa a punto, poi, sulle parole spese il giorno prima rispetto all'ipotesi di una nuova legge elettorale, per le quali è stato accusato di aver offerto in modo disinvolto e scavalcando il Parlamento, un vantaggio ai partitini centristi. Parole che però sono apparse più come una excusatio non petita e non hanno fatto breccia nell'uditorio: «Leggo interpretazioni maliziose», ha affermato il premier, «negli anni passati abbiamo vissuto la frantumazione della rappresentanza, si sono affermati nuovi partiti in modo nuovo e prorompente, se vogliamo ricomporre il quadro non è possibile farlo con una legge che costringa sensibilità diverse nello stesso involucro». Marcia indietro pure sulla minaccia dello spread, visto che ieri, a governo traballante, aveva aperto in calo. La correzione di rotta più sostanziale, ai più, è sembrata quella sulla collocazione internazionale dell'Italia, all'indomani delle dure critiche dell'opposizione (e di qualche mugugno nella maggioranza) per l'improbabile equiparazione tra i rapporti con gli Usa e quelli con la Cina. Su questo tasto Conte, con uno zelo verosimilmente dovuto al «peccato originale» della tiepida condanna dei fatti di Capitol Hill, ha battuto molto: «Guardiamo con grande attenzione alla presidenza Biden con cui inizieremo a lavorare subito a partire dalla nostra presidenza del G20. Abbiamo una ampia agenda in comune che spazia dal multilateralismo, alla transazione verde e digitale». Non arretra di fronte a Renzi, presente in Aula e pronto a intervenire, continuando a non nominarlo ma affondando il colpo: «È complicato governare», ha detto Conte, «con chi dissemina mine nella maggioranza, con chi ti accusa di immobilismo e di correre troppo, di non decidere e di decidere troppo», per poi rincarare la dose nella replica, nel tardo pomeriggio: «Avete scelto la strada dello scontro e degli attacchi mediatici, nessuno può avere la pretesa della verità, delle soluzioni migliori nell'interesse del Paese». Ed è proprio nell'intervento del suo antagonista Matteo Renzi, i cui parlamentari hanno confermato l'astensione, che il dibattito d'Aula ha avuto il picco di interesse, con le parole al vetriolo di quest'ultimo, che ha parlato di «mercato indecoroso delle poltrone». «Mi auguro», ha detto ancora Renzi, «che sia almeno una maggioranza perché raccogliticcia lo è sicuramente». Parole dure anche dal leader della Lega e dell'opposizione, Matteo Salvini, che ha parlato non di «responsabili», bensì di «complici per non perdere la poltrona», chiudendo tra le proteste dei grillini, per aver ricordato una frase choc di Beppe Grillo contro gli stessi senatori a vita (applauditissima Liliana Segre) che oggi hanno sostenuto Conte, ricordando che il Garante del M5s li definì gente che «muore mai o muore troppo tardi». Prima di loro, erano intervenuti per assicurare il sostegno al governo, tra gli altri, l'ex premier Mario Monti, l'ex presidente della Camera, Pierferdinando Casini, il senatore Tommaso Cerno, che ha colto l'occasione per annunciare il rientro nel Pd e il citato De Falco. Poi, l'arrivo alla spicciolata degli altri «neo volenterosi». Colpo di teatro finale, la rissa sul voto di Lello Ciampolillo del Misto: mentre Elisabetta Casellati, che aveva chiesto se c'era qualcuno che ancora doveva votare, annunciava il termine delle operazioni, lui s'è fatto avanti. Seduta sospesa, poi vengono ammessi i due voti al fotofinish: il suo e quello di Riccardo Nencini.Poco edificante il quadro d'insieme della nuova compagine giallorossa, che già da oggi sarà alle prese con il nuovo scostamento di bilancio. Iv ha già assicurato che non farà mancare i suoi voti, ma senza soccorsi esterni, i voti ottenuti al Senato non basteranno dato che, per l'approvazione di questo provvedimento, sarà necessaria la maggioranza assoluta. «Se non ci sono i numeri», ha detto Conte, «si va casa». Non servirà molto per capire se ha bluffato.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.