2024-08-07
Google perde la causa antitrust
L'ad di Google Sundar Pichai (Ansa)
La Corte ha stabilito che il colosso ha violato le regole per mantenere il monopolio delle ricerche. Vittoria per il dipartimento di Giustizia, ma l’azienda farà ricorso.«Una sentenza storica». Viene già definita così la decisione del giudice Amit P. Mehta, della Corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto di Columbia, di condannare Google per aver abusato di un monopolio nel settore delle ricerche online. «Google è un monopolista e ha agito come tale per mantenere il suo monopolio», si legge infatti nelle 276 pagine del verdetto - arrivato dopo un processo di dieci settimane - contro il colosso guidato dall’ad Sundar Pichai, che ha già annunciato che farà ricorso.Questa sentenza arriva dopo che, nel 2020, il dipartimento di Giustizia aveva intentato una causa contro il gigante della rete con un’accusa grave: quella d’aver consolidato in modo anticoncorrenziale il proprio predominio nelle ricerche online, anche pagando ad altre aziende - come Apple, Samsung e Verizon - miliardi di dollari all’anno per diventare automaticamente il provider di ricerca sui loro smartphone e browser web. Un modus operandi sulla base del quale si sarebbero tratti vantaggi nella corsa all’Intelligenza artificiale, contestato anche dall’amministratore delegato di Microsoft, Satya Nadella, secondo cui questo sistema avrebbe originato una sorta di «Google web», avente un rapporto «oligopolistico» con Apple, a danno di potenziali concorrenti quali Bing e, appunto, Duckduckgo di Microsoft. Nel corso del processo, numerose testimonianze hanno rivelato come i pagamenti di Google per mantenere la propria posizione monopolistica siano stati ingenti; per dire, solo nel 2022 e solo ad Apple, per mantenersi come motore di ricerca predefinito sui suoi dispositivi (iPhone e non solo), il colosso informativo avrebbe versato 20 miliardi di dollari. Ottenuta questa posizione privilegiata, il re dei motori di ricerca avrebbe poi applicato prezzi elevati nella pubblicità associata appunta alla ricerca.Per questo il giudice Mehta, «dopo aver attentamente considerato e soppesato le testimonianze e le prove», ha dichiarato Google «un monopolista», in violazione della sezione 2 dello Sherman act, legge fondamentale per la regolamentazione e la tutela della concorrenza. Contro siffatta sentenza - definita, parlando col New York Times, «storica» da Jonathan Kanter, il principale funzionario antitrust del dipartimento di Giustizia - il colosso informatico ha già annunciato ricorso. «Questa decisione riconosce che Google offre il miglior motore di ricerca, ma conclude che non dovremmo essere autorizzati a renderlo facilmente disponibile», ha commentato Kent Walker, presidente degli affari globali dell’azienda, confermando l’intenzione di far ricorso pur continuando a lavorare «sulla realizzazione di prodotti che le persone trovino utili e facili da usare».Va detto che il provvedimento non include rimedi per la condotta della società di Menlo Park, ma ora il giudice Mehta dovrà decidere in merito; e potenzialmente potrebbe costringere l’azienda a cambiare il proprio modo di operare o perfino a vendere parte dell’attività. Non solo. Secondo quanto hanno sottolineato Jan Wolfe e Miles Kruppa sul Wall Street Journal, questa sentenza potrebbe esser solo l’inizio d’una valanga, dal momento che potrebbe «dare una spinta ai casi governativi pendenti che denunciano condotte anticoncorrenziali da parte di Apple, Amazon e Meta, la società madre di Facebook». Potrebbe cioè generarsi un effetto domino che, se avviato, sconvolgerebbe monopoli e oligopoli delle Big tech. In altre parole, nulla potrebbe più essere come prima.
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo