2022-08-22
Una guerra Putin l’ha già vinta:
quella del gas
Vladimir Putin e Joe Biden (Ansa)
Non so chi vincerà la guerra in Ucraina e se davvero le forze di Kiev siano in grado, grazie agli armamenti ricevuti, di rovesciare le sorti del conflitto. In compenso, so chi ha già vinto la guerra del gas: si tratta di Vladimir Putin. Non ci sono dubbi: dopo mesi trascorsi in compagnia di bellicosi proclami e pure delle migliori intenzioni, ci si deve rassegnare a un fatto e cioè che dal punto di vista energetico non abbiamo ancora visto il peggio. Le cronache dei giornali riferiscono di imprenditori che sono intenzionati a mollare tutto, perché non più in grado di pagare le bollette del gas e della luce. Nelle medesime pagine si apprende che alcune famiglie hanno scelto di trasferirsi in centri minori, lontano cioè dalle grandi città, per poter risparmiare e fronteggiare il carovita. Tutto vero, c’è chi si arrende e chi trasloca. Ma sta di fatto che le promesse di tenere sotto controllo il prezzo del metano, e di conseguenza quello dell’energia, al momento non hanno avuto seguito. Prima della crisi di governo, si era discusso dell’idea di mettere un tetto al prezzo del gas per evitare di finanziare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Ma il progetto, ritenuto irrealizzabile dagli esperti di materie prime (non si possono dettare le regole a chi ha il coltello della parte del manico), alla fine è stato abbandonato e le quotazioni sono continuate a salire.Risultato, le ultime rilevazioni sfiorano i 260 euro per megawattora, un livello impensabile solo un anno e mezzo prima, quando il prezzo del gas oscillava fra i 20 e i 30 euro. Al momento la quotazione è undici volte superiore ai valori registrati in questo periodo negli anni passati. Ciò vuol dire che bisogna prepararsi a pagare bollette stratosferiche, perché gran parte di questi aumenti saranno trasferiti al consumatore. Le misure messe in campo dal governo per cercare di contenere l’impatto dei rincari infatti non saranno sufficienti. Così, dopo aver illuso per mesi gli italiani che le sanzioni contro Putin sarebbero servite a fermare l’avanzata dei carri armati russi, adesso ci si arrende alla realtà. Nonostante siano state sponsorizzate da politici e stampa come un mezzo formidabile per mettere in ginocchio Mosca, come sospettavo e come ho spesso scritto, le sanzioni stanno funzionando al contrario, danneggiando la nostra economia più di quanto non danneggino quella della Russia.Sui giornali che si sono schierati a favore delle misure anti Putin, ora comincia a serpeggiare un certo nervosismo, in quanto non si vedono effetti concreti contro lo zar del Cremlino, ma se ne vedono di devastanti in casa nostra. I quotidiani, qualche giorno fa hanno riportato le parole di Alberto Clò, direttore della rivista Energia, punto d’osservazione per i mercati di gas e petrolio, il quale ha messo in chiaro ciò che altri cercano di nascondere, ovvero che ci dobbiamo preparare al peggio, perché - testuale - «abbiamo prezzi altissimi, anche più alti di altri Paesi. E la botta in autunno sarà fortissima». Non molto diversa l’opinione di Gianclaudio Torlizzi, fondatore di un sito specializzato in analisi sui mercati delle materie prime, che in un’intervista alla Stampa ha detto chiaro e tondo che «la guerra dell’energia con la Russia è persa». Vale a dire che ci dobbiamo preparare a pagare il conto. Tesi fatta improvvisamente propria dal direttore del quotidiano sabaudo, il quale, dopo aver visto il prezzo del megawattora alla Borsa olandese, ha vergato un editoriale per spiegare che «in queste condizioni il sistema economico non regge». Ovviamente non mi fa piacere riportare pessime notizie, né dipingere scenari futuri a tinte fosche. Tuttavia, prendo nota che anche l’informazione combattente, quella che in nome dell’indipendenza dell’Ucraina era pronta ad armare i soldati di Kiev per spronarli a combattere, ora comincia a fare i conti con i costi della guerra. Il conto da pagare non è dato solo dalle armi che abbiamo inviato o dai profughi che abbiamo accolto, ma è costituito anche dalla conseguenze del conflitto. L’inflazione, i tassi d’interesse, le bollette, la mancanza di materie prime, sono tutti elementi destinati a pesare nei portafogli degli italiani e non solo nei prossimi mesi. Ribadisco: non so se la resistenza ucraina è in grado di sconfiggere l’armata russa, ma la guerra dell’energia e quella delle sanzioni Putin l’ha già vinta. Ha scommesso contro le economie occidentali, accettando di subire le misure introdotte dall’America e dall’Europa, e al momento le perdite sono tutte per noi. Mario Draghi qualche tempo fa disse che si trattava di scegliere fra aria condizionata e libertà: una battuta a effetto che però non rappresentava la realtà. Gli italiani infatti sono chiamati a scegliere fra la libertà dell’Ucraina e la povertà a casa loro. Può essere che, se interpellati, avrebbero scelto la prima, ma nessuno, né i giornali che oggi scoprono la crisi né il presidente del Consiglio, si sono ricordati di chiedere a loro che cosa preferissero.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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