2020-03-16
Gli psicoreati ci vietano di amare chi soffre
Il film Insurgent ambientato in un futuro distopico (Ansa)
Immaginate se gli scienziati inventassero la «bulimofobia», la presunta discriminazione di chi mangia e vomita: con la scusa dell’inclusione ci impedirebbero di aiutare queste persone a curare il loro disturbo. Assurdo? Già succede qualcosa di simile...PSICOREATO (PARTE 1)Il termine «psicoreato» è stato usato dallo scrittore George Orwell nella terrificante distopia 1984, descrive una dittatura hard, dove è vietato anche il pensiero libero. Lo psicoreato necessita di una psicopolizia, cioè di inquisitori adatti a rilevarlo. La dittatura ricalca quella dei regimi comunisti: propaganda martellante, miseria assoluta, guerra permanente, polizia segreta che ti spacca le ossa, ti fa attraversare da scariche di corrente. Noi siamo una dittatura soft: questo è il significato del politicamente corretto. Il concetto di psicoreato presuppone che esista un pensiero deviante rispetto a un pensiero retto, presuppone la presenza di dogmi. Il politicamente corretto è dogmatico.La verità non ha paura del pensiero divergente, perché è sempre in grado di dimostrare le proprie affermazioni. È la menzogna che deve blindare i suoi dogmi. Faccio un esempio di psicoreato, un esempio al momento ancora fantastico, così alla prossima puntata possiamo parlare degli psicoreati attuali, omotransfobia, islamofobia, violazione del dogma «abortire gratis è un diritto», violazione del dogma i vaccini sono tutti sempre innocui. Oggi parliamo di «bulimofobia». Come George Orwell ho deciso anche io di descrivere distopie immaginarie: è più divertente e si scansano denunce, ma si riesce comunque a dare l’idea.Immaginiamo di coniare il neologismo «bulimofobia». «Bulimofobia», detestare la bulimia, mangiare e vomitare, non vorrebbe dire detestare le persone che vomitano, ma il contrario, vorrebbe dire amarle molto. Odiare il vomito volontario non vuol dire disprezzare le persone che vomitano, vuol dire avere la certezza delle loro potenzialità di esseri umani di smettere, sia pure con grandissima fatica, un comportamento biologicamente perdente. Le persone che vomitano odiano con tutta l’anima chi cerca di spingerle a interrompere il vomito. Il cervello è plastico, ed è basato sulle abitudini. A seconda di come noi lo usiamo, lo modifichiamo. Le persone che vomitano hanno modificato il loro cervello così da provare piacere nel vomitare: si chiama meccanismo di inversione del senso del piacere e del dolore. Con il vomito si hanno picchi di endorfine, i neurotrasmettitori del piacere e tutto il resto della giornata è deprivata di endorfine: sono diventate dipendenti dal vomito. Nei casi di vomito quotidiano, vomitare diventa la cosa più importante della vita, è certamente quella che dà maggiore sensazione di falsa e magnifica sicurezza, di falsa libertà mentre è una dannata dipendenza, un’inebriante sensazione di essere l’unico padrone della propria vita, di avere in pugno la società e la natura.Una sensazione inebriante e geniale, ottenuta senza danneggiare nessuno, a voi cosa vi cambia, una persona che vomita ha messo e tolto dal suo stomaco cibo pagato con i suoi soldi o con quelli dei genitori, sicuramente non della comunità. Peccato l’esofago e i denti che crollano, peccato le ossa che crollano, peccato che la psiche crolli e diventi sempre più dipendente dal vomito, migliaia e migliaia di calorie quotidianamente mangiate e vomitate. Allora occorre che qualcuno si alzi in piedi e abbia il coraggio di porre una domanda: «Perché stai preferendo una non vita a una vita?». «Bulimofobia»: la parola non esiste perché al momento la bulimia non ha valenza politica, le persone che vomitano non hanno ancora fatto i pride e non hanno arruolato il loro comportamento sotto l’egida dei diritti e la protezione dei partiti democratici. Il giorno in cui lo faranno, la «bulimofobia» sarà un reato, si distribuiranno pastiglie di bicarbonato e fluoro a spese dei contribuenti con l’informazione, falsa, che se usi precauzioni eviti le malattie conseguenti, senza pensare che chi usa il tubo digerente a scopo ricreativo, sempre, ha tali forme di autoaggressività che non usa le precauzioni. L’Unar, l’Ufficio antirazzismo, stigmatizzerà chi detesta il vomito e multerà per discriminazione chi lo disapprova. Se la parola esistesse, vorrebbe dire: amo te e odio quello che fai, perché ti danneggia. In effetti se amiamo qualcuno non possiamo che detestare il comportamento che lo/la danneggia. Se non detestiamo quel comportamento, vuol dire che il nostro amore è solo quieto vivere, ingredienti squallidini per l’amore.La bulimia (mangiare e vomitare) è un disturbo gravissimo che, ovviamente, non deve essere perseguito per legge, e infatti non lo è, ma lo è stato in passato. Lo sanno in pochi: in molti luoghi tra il 1200 e il 1600 circa il vomito indotto era considerato una colpa punibile. Si trattava evidentemente di qualcosa di molto teorico, essendo oggettivamente difficile rilevare il reato. La bulimia viola la legge di Dio: è il più grave tra peccati di gola. È ovvio che non debba essere un reato: ognuno ha l’assoluto diritto di mettere e togliere dal suo stomaco cibo pagato con i suoi soldi, ma il fatto che qualcosa non sia illegale non vuol dire che non sia immorale. È una violazione dell’etica vomitare il cibo: l’etica che ci impone di rispettare noi stessi, l’etica che ci impone rispettare il mondo. All’inizio vomitare è una scelta, quindi un peccato, se vogliamo usare questa desueta e pesante parola, lo si fa per non ingrassare, poi arriva il dannato fenomeno dell’inversione del senso del piacere e del dolore, si crea un intenso piacere a vomitare, una folle sensazione di controllo che va a compensare la distruzione sempre più plateale del senso del sé, la mancanza di piacere in tutto il resto della vita e quindi diventa una dipendenza, cioè una malattia, caratterizzata da alterazione dei neurotrasmettitori, esattamente come la pornodipendenza. La persona diventa dipendente dalla bulimia, si mangia tutta la sua vita e la vomita. La bulimia è basata su una dipendenza da dolore, il vomito è una forma di dolore, all’inizio è ripugnante vomitare, poi si ha un’inversione del senso del piacere e del dolore, e la dipendenza da un comportamento lesivo e disfunzionale. Il massimo affetto per le persone affette da bulimia presuppone la massima disapprovazione al comportamento bulimico, che può essere arrestato, completamente e immediatamente, ma occorre una motivazione totale, e solo una disapprovazione totale del comportamento la determina.Immaginiamo di vivere in una società dove la «bulimofobia» sia vietata, sia perseguita come il più grave dei reati. Immaginiamo che un gruppo di medici, medici un po’ particolari, per esempio medici che non facciano gastroscopie e non controllano gli esami del sangue, che quindi che non vedono l’esofagite, il potassio troppo basso tipici del vomito involontario, diciamo degli psichiatri, dichiarino che:1 Esistono le «bulimiche» come categoria: mangiare e vomitare cioè non è un comportamento, ma una struttura, una maniera di essere, qualcosa che fa parte dell’identità.2 Le bulimiche nascono bulimiche e muoiono bulimiche: essendo la bulimia un’identità, non accoglierle e rifiutarle è intollerante e malvagio.3 Il vomito autoindotto è una forma di normalità.E immaginiamo che lo dichiarino per votazione: è evidente che tutto questo non è scienza. E ora immaginiamo che i medici che dichiarano i danni fisici e psichici e ricordino che è un comportamento reversibile siano perseguiti. E immaginiamo che l’affermazione «la bulimia è normale, un’allegra e perseguitata forma di libertà alimentare, tollerarla nei ristoranti e nelle mense è una forma di inclusione, la bulimia è un diritto umano», diventi un nuovo martellante oggetto di propaganda di tutti i media. Tutti lo ascoltano, all’inizio sembra buffo, ma poi tutti si adeguano. Film, romanzi, serie televisive martellano ossessivamente sulla fanciulla (più raramente fanciullo), sempre bella, intelligente e affascinante, che adora mangiare e vomitare e che gli ottusi bigotti perseguitano.E ora, dopo questo esempio paradossale, cominciamo a essere seri. Sostituiamo alla parola «bulimofobia» l’altro termine con la parola «fobia» e avremo lo psicoreato che sta annientando la libertà di parola e che presto esisterà come reato anche in Italia.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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