2019-03-29
Ong e sinistra stanno coi pirati e straparlano
di Auschwitz
Per Ong e circolino di stampa e politica di sinistra, i migranti che hanno preso possesso della nave che li ha salvati hanno ragione. Il ragionamento si basa su un paragone indecente: la fuga da Auschwitz. Tutto pur di non attaccare i traffici dei mercanti di uomini. Dalle nostre parti lo straniero è sempre giustificato. Commette un furto? Ovviamente, poveretto, lo fa per motivi di ordine economico e sociale, mica perché è un delinquente. Spaccia? È colpa nostra, perché lo lasciamo nei centri di accoglienza a bighellonare invece di trovargli un lavoro che gli garantisca vitto e alloggio. Assalta un pullman pieno di ragazzini tentando di provocare una strage? Beh, che volete, non è mica colpa sua: la responsabilità è di Matteo Salvini e dei fascisti che alimentano il clima di odio. Persino per lo stupro, se commesso da un immigrato, ci sono attenuanti politiche. Allo stesso modo, sono tollerate le violazioni della legge commesse da italiani in nome dei profughi, e il caso dell'ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, lo testimonia. Considerando tutto ciò, non stupisce affatto che i migranti dirottatori abbiano già trovato una folta schiera di avvocati difensori. Stiamo parlando delle 108 persone che sono state recuperate nei giorni scorsi al largo delle coste libiche dalla nave cisterna turca El Hiblu 1. Come noto, l'imbarcazione, dopo aver caricato a bordo i naufraghi, avrebbe dovuto dirigersi verso la Libia. Ma ha cambiato rotta, e si è diretta verso Nord (cioè verso l'Europa). A quanto risulta, sarebbero stati i gentili ospiti a «suggerire» il cambiamento: hanno dirottato la nave perché non volevo tornare al punto di partenza, ma avevano tutta l'intenzione di farsi portare nel Vecchio Continente, presumibilmente in Italia. Secondo il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, si è trattato di un atto di pirateria. Ma per numerosi esponenti della sinistra italiana le cose sono andate molto diversamente. Nessuno di loro, come prevedibile, ha atteso che la situazione fosse chiarita: tutti si sono immediatamente precipitati a prendere le parti degli stranieri. I migranti, ci ha spiegato ieri la crema dell'intellighenzia progressista, hanno tutto il diritto di dirottare una nave, poiché il loro è un atto di legittima difesa. «Costringere dei migranti salvati in mare a ritornare in Libia contro la loro volontà, dopo quel che vi hanno già passato, è una cattiveria tale che renderebbe comprensibile anche il loro tentativo di dirottamento verso Malta di cui parla Matteo Salvini. Altro che pirati…», ha scritto su Twitter l'immancabile Gad Lerner. Gli esponenti di Sinistra italiana (il micropartito di Nicola Fratoianni) si sono spinti oltre: «Immaginate di fuggire da un campo di concentramento», hanno scritto sui social. «Durante la fuga vi catturano e vi vogliono riportare indietro. Vi ribellereste? Così hanno fatto i “pirati" del cargo El Hiblu 1, per salvare sé stessi e i loro bambini. Immaginate, poi giudicate». Già, il ritornello che tutti (Ong, attivisti di ogni ordine e grado, giornalisti e politicanti) canticchiano è esattamente questo: i migranti fuggono dai lager, dunque hanno tutto il diritto di ribellarsi a chi li vuole riportare nei «campi di concentramento». In realtà, per smentire questa argomentazione basterebbe citare una frase pronunciata alcuni mesi fa da Liliana Segre, senatrice a vita che il lager lo ha visto davvero. «Quando sono stata respinta», ha detto in un'intervista televisiva, «di qua c'era la morte, la persecuzione, la deportazione. Non si può fare di tutta l'erba un fascio: non tutti quelli che chiedono l'asilo avrebbero la morte a casa loro». Ecco: i migranti che arrivano qui non vengono deportati su un treno piombato, non sono costretti a lasciare le proprie case per giungere in Europa. Sono spinti a farlo da un sistema di morte che, negli ultimi anni, è stato alimentato da tutte le associazioni e Ong responsabili del servizio taxi nel Mediterraneo. Un sistema che questo governo (e, in piccola parte, il governo precedente) ha combattuto con tutte le forze, ottenendo per altro buoni risultati. Oggi a giustificare il dirottamento sono gli stessi politici e giornalisti che hanno sostenuto con tutte le forze l'immigrazione di massa e i disastri ad essa correlati. Se si vuole davvero impedire che la gente soffra e muoia, l'unica cosa da fare è fermare la macchina della migrazione che continua a macinare vite umane. E per farlo bisogna che i viaggi della speranza nel Mediterraneo cessino del tutto. Vogliamo che in Libia non si verifichino più violenze contro i migranti? Beh, allora forse bisognerebbe che l'Onu, l'Oim e tutte le altre organizzazioni internazionali si mobilitassero per controllare la situazione dei centri di accoglienza in Nord Africa. Purtroppo queste istituzioni sono molto occupate - proprio come l'Unione europea - a prendersela con i governi populisti e sovranisti, accusandoli di razzismo e fascismo. E trascurano altre questioni ben più rilevanti. Quanto ai politici e agli intellettuali italiani, sarebbe meglio stendere un velo pietoso. Se fosse per loro, i dirottamenti si moltiplicherebbero. Anzi, sarebbe immediatamente ripristinato il servizio navetta dalla Libia all'Italia, e tutto il meccanismo dell'invasione riprenderebbe a funzionare esattamente come negli anni passati. Chi ama il saccheggio non può stare con i pirati.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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