2020-10-14
Conte ci fa pagare i suoi errori
I trasporti restano intasati, le terapie intensive già finanziate non sono realizzate e gli aiuti agli imprenditori arrivano a singhiozzo. Ma anziché rimediare ai ritardi, il premier ficca il naso nelle case e chiude i locali.Per dirla con le parole di Andrea Crisanti: «Ci sono ragioni che ci sfuggono». Sì, proprio come il virologo diventato famoso in questi mesi di pandemia per aver suggerito più tamponi per tutti, anche noi facciamo fatica a comprendere. Il professore lo ha detto a proposito del divieto per un gruppetto di amici di giocare una partita a calcetto. Certo, in casi di emergenza si può evitare di scendere in campo e sgambettare dietro a un pallone. Tuttavia, non si capisce perché impedire un esercizio fisico quando poi si consente alle palestre di continuare la propria attività e alle scuole di calcio di fare altrettanto. Dove sta la differenza? Gli amici sono più contagiosi dei palestrati? Oppure chi va per diletto può diffondere il virus, mentre chi gioca da professionista o dopo aver pagato una regolare iscrizione è vaccinato contro il Covid?I misteri del Dpcm di Giuseppe Conte tuttavia non si limitano al calcetto. Tra le decisioni che si sottraggono alla logica, c'è anche la sospensione di tutte le gare e le attività «aventi carattere amatoriale», dunque anche le corse in bicicletta o quelle campestri. E però, solo se la competizione è alla buona, perché se invece si tratta di uno sport esercitato professionalmente e a livello agonistico il dispositivo che impedisce la manifestazione decade. Sì, a leggere il decreto del presidente del Consiglio dei ministri, si fa fatica a comprendere, proprio come dice Crisanti. Qualcuno infatti dovrebbe spiegare il motivo del divieto di riunire più di 30 persone per festeggiare battesimi e matrimoni. O meglio: aiutarci a capire perché il governo che intende evitare gli assembramenti poi consente a 200 persone di partecipare a spettacoli o concerti. Forse ci si infetta di più seduti a una festa in famiglia che al cinema? O per Conte è più pericoloso un matrimonio di un concerto? Certo, il primo costa di più del secondo, ma al momento non si segnalano effetti sulla salute a meno che i coniugi dopo un po' litighino e se le suonino di santa ragione, come a volte capita.Priva di buon senso è pure la raccomandazione che impone di non riunire in casa propria più di sei persone: perché sette parenti sono sconsigliati se pranzano la domenica nel tinello insieme ai nonni o ai fratelli e 30 invece sono accettabili se si ritrovano al ristorante? Forse in trattoria il virus circola meno mentre in salotto viaggia a doppia velocità? E con le famiglie numerose come la mettiamo? Se una coppia di disgraziati ha quattro o cinque figli le è impedito di uscire di casa e di frequentare vicini e parenti pena segnalazione alla pubblica autorità? L'elenco di assurdità è lungo, perché nessuno si capacita delle regole che impongono il distanziamento solo in alcuni casi. Prendete per esempio la regola che per i banchetti fissa in 30 persone il limite di invitati, a prescindere dalle dimensioni dei locali e dall'occupazione degli spazi. Perché in un agriturismo non ci si può riunire in 31 mentre sugli autobus sì? Qual è la differenza? Ne dobbiamo dedurre che il virus non viaggia in tram, ma soggiorna in albergo o staziona al buffet? Dove sta la base scientifica di queste nuove regole volute dal governo? Le ragioni ci sfuggono. La sensazione è che, invece di fare i controlli che sarebbero necessari e prendere le misure precauzionali consigliate, l'esecutivo tenda a chiudere tutto per levarsi il problema, senza valutare né gli effetti né l'efficacia delle misure. Anzi, che il tutto, proprio perché astruso, sia un modo per scaricare sugli altri - cioè su di noi - i ritardi e le carenze del governo. Le terapie intensive aggiuntive finanziate e non ancora realizzate, i trasporti ancora intasati, i banchi mai arrivati nelle scuole, gli aiuti a singhiozzo agli imprenditori chiusi non per demerito ma per legge. Prima di entrare con «raccomandazioni» molto discutibili nell'intimo delle nostre case, non era il caso di provvedere a ciò che davvero spetta a uno Stato assicurare, dagli ospedali alle vetture della metropolitana? Su queste cose, il governo sembra davvero aver perso tempo. E allora non resta che chiedersi, di fronte a questa infornata di misure: che senso ha impedire il consumo del cibo da asporto sul posto dopo le 21? Forse prima si è indenni dal contagio? Se i take away sono a rischio, lo saranno prima e dopo una certa ora ed è difficile che lo diventino solo al calar delle tenebre. Ma poi, se un cliente prende la pizza e se la mangia sul muretto a 50 metri, che male fa dopo le 21? E la colpa della violazione può essere addebitata all'esercizio che smercia cibo da asporto? Sì, a leggere l'elenco di disposizioni c'è da perdere la testa, al punto da dubitare che chi ha scritto le regole l'avesse. Come ha detto in televisione il professor Crisanti a proposito del calcetto, sfuggono le ragioni. A meno di non pensare che il Dpcm sia un calcio al buonsenso, di cui fino a ora gli italiani hanno dato prova molto più di chi li governa.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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