2024-10-29
Giovannini vive in un altro mondo: «Col green le imprese guadagnano»
Enrico Giovannini (Imagoeconomica)
Nel mezzo di una crisi epocale dell’industria, l’ex ministro di Mario Draghi insiste sulla transizione: siamo divisi ma chi investe raccoglie i frutti. Intanto Ursula von der Leyen: soldi pubblici per calmierare i prezzi delle case.Per un ministro che si sveglia tardi, ce n’è uno che ancora dorme.Il convertito sulla via di Damasco è Roberto Cingolani. Aveva esordito in politica cooptato da Beppe Grillo, l’antesignano della riconversione green; poi, da ministro della Transizione ecologica nel governo Draghi, si è messo in ginocchio per Greta Thunberg; finalmente, diventato amministratore delegato di Leonardo, ha scoperto che gli «ideologi» delle auto elettriche dicono «una sciocchezza» e che «fare tutto con l’eolico e il fotovoltaico» è «fisicamente sbagliato». Gli ci è voluto un po’, ma ora è furibondo: chi ha preteso di imporci l’agenda verde a tappe forzate, tuona, «oggi dovrebbe pagare pegno». Provi a spiegarlo al suo ex collega, Enrico Giovannini, che nell’esecutivo dei presunti «migliori» ricopriva il ruolo di ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili. Costui, dal dogma della sostenibilità, non s’è spostato di un millimetro.Intervenendo ieri alla settima edizione del Sustainable future forum, l’economista romano ha sottolineato che «il primo atto politico di questa nuova legislatura è il Consiglio europeo, sotto la presidenza ungherese, che ha votato una posizione dell’Europa alla prossima Cop29 che è nettissima e durissima, che continua nel Green deal e chiede agli altri Paesi di essere altrettanto ambiziosi come l’Europa». Anche Ursula von der Leyen, ha assicurato Giovannini, non intende retrocedere. È vero fino a un certo punto: ad esempio, un mese fa, la presidente della Commissione ha proposto lo slittamento di un anno della legge sulla deforestazione. E il suo partito, il Ppe, insiste per correggere il tiro sulle vetture a batteria. L’ex ministro di Mario Draghi deve ritenere che chi indugia sia soltanto incapace di stare al passo con l’innovazione. «Io credo», ha aggiunto infatti, «che il mondo produttivo italiano, ma non solo, sia abbastanza diviso su questi temi. C’è una parte, che è più indietro, che dice di rallentare; ma c’è una parte industriale che ha deciso di investire su questa nuova realtà e sta già raccogliendo i frutti, in termini di minori costi energetici e maggiore produttività». Chissà se, quando allude alle aziende rimaste «indietro», Giovannini pensa anche a Stellantis. Oppure a Volkswagen. Dovrebbe raccontarlo ai dipendenti delle tre fabbriche tedesche a rischio chiusura che, se rimarranno senza stipendio, non è perché i dirigenti hanno fatto calcoli sbagliati, ma è perché loro sono rimasti «indietro». E da chi dovrebbero arrivare i soldi per «investire su questa nuova realtà» e raccoglierne i frutti? Carlos Tavares vorrebbe che a sborsare fosse mamma Stato. Così, anche con la transizione ecologica si ripeterebbe il copione del capitalismo manageriale: nazionalizzare le perdite, privatizzare gli utili.L’ex titolare del dicastero è stato cristallino: «Il settore privato deve mettere in campo le sue risorse», ma dall’altro lato «servono risorse pubbliche». Cioè, i vostri soldi. Che sborserete prima per sovvenzionare la trasformazione dell’industria e poi per comprare, a prezzi rincarati, i prodotti che vi verranno venduti. Anzi, imposti, visto che le alternative saranno messe fuori legge (come nel caso delle nuove immatricolazioni di auto con motore a combustione), oppure fuori mercato (come potrebbe succedere alle case non «energeticamente efficienti»). Ovvio che, con un metodo del genere, le imprese riusciranno a «raccogliere i frutti». Intanto, i frutti sembra averli raccolti pure Giovannini, che fa il direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile e si è addottorato honoris causa in Sustainable development and climate change alla Scuola universitaria superiore di Pavia Iuss.Voi che siete rimasti indietro, comunque, troverete proprio nella Von der Leyen una premurosa protettrice. Ieri, parlando all’inaugurazione dell’anno accademico del Collegio d’Europa a Bruges, la numero uno della Commissione si è resa protagonista di un altro risveglio improvviso: «I cittadini», ha osservato, «vogliono che la nostra Unione sia vicina a loro, che li protegga». Ma dai. «I giovani faticano a trovare case a prezzi accessibili». Se n’è resa conto. Tra quelle «accessibili», di sicuro non figurano le case green. Soluzione? «Sbloccare gli investimenti pubblici e privati di cui abbiamo bisogno». Sempre denaro degli altri, sovieticamente prelevato per tamponare le conseguenze indesiderate di altre misure sovietiche. L’Europa green somiglia in modo preoccupante al vecchio adagio di Winston Churchill: un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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