2023-11-20
Giovanni Frajese: «Il governo ci faccia analizzare i sieri»
Il medico: «Lo studio scientifico che ha riscontrato la presenza di Dna nei vaccini va approfondito: il genoma umano potrebbe essere stato alterato. E questo spiegherebbe il diffondersi dei turbo-tumori».Professor Giovanni Frajese, lei è tra i firmatari di una lettera indirizzata al premier Giorgia Meloni, al ministro della Salute Orazio Schillaci e al sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, nella quale insieme ad altri accademici, professionisti e associazioni, chiedete alle autorità di aver accesso a campioni di vaccini anti Covid al fine di analizzarne il contenuto in ambito accademico. Vuol dire che noi ancora non sappiamo ufficialmente cosa c’è dentro i vaccini?«Quello che è stato dichiarato lo sappiamo, il punto è poter fare delle ricerche accademiche indipendenti come si possono fare per qualunque altro farmaco, e questa è un’eccezione che francamente è difficilmente comprensibile. A maggior ragione dopo gli ultimi dati usciti in pre-print (studio di Kevin McKernan, ndr): ancora nessuna rivista ha voluto pubblicarli ma quei dati, raccolti in collaborazione con l’Università canadese, dicono che sono stati trovati nei campioni di Rna frammenti di Dna plasmidico all’interno delle fiale. Di questo è stata informata in un audit l’Fda e la stessa cosa è stata ribadita al Senato americano da un professore di genetica e cancro, Phillip Buckhaults. La Health Canada, l’autorità sanitaria canadese, ha confermato di sapere della presenza di questo Dna plasmidico e però ha detto che non è un problema. In realtà è un grosso problema. Potrebbe essere la risoluzione del rebus di fronte al quale ci troviamo da due anni a questa parte, e cioè l’eventuale genotossicità e cancerogenicità di questi vaccini a mRna, su cui non sono stati fatti test. E infatti fu questo che all’epoca in me fece suonare il campanello d’allarme».Parliamo dell’ipotesi che i vaccini anti Covid che ci hanno imposto possano provocare mutazioni genetiche e pure cancri. Il professor Frajese, Vanni per gli amici, endocrinologo, ricercatore, va, come suo solito, dritto, liscio come l’olio al tema cruciale. Lo spettro che i sieri potessero interferire col Dna aleggia da quando Luc Montagnier, il premio Nobel diffamato dai Bassetti&C., avvertì di questo, invano, le popolazioni. Adesso in più ci sono una serie di casi clinici su cui sarebbero necessari i dovuti approfondimenti.Professor Frajese, perché questi frammenti di Dna che hanno trovato nei vaccini sono un «grosso problema»?«Perché un conto è l’Rna, ma integro (perché ci sono anche dei problemi di integrità dell’Rna), un altro conto è un Dna plasmidico circolare: quest’ultimo ha una facilità molto maggiore di interagire con la cellula e con il nucleo, e dunque per questo quei test diventano assolutamente necessari. Forse la ragione per cui non vogliono dare questi campioni è che al primo test indipendente verrebbero confermati questi dati sulla presenza di Dna plasmidico e allora andrebbe rivista tutta la storia, perché questo Dna non era previsto fosse dentro i vaccini. Cioè, non ci doveva proprio stare. Se fosse come scrivono le case farmaceutiche e i report degli enti regolatori, quale è la ragione per cui non vogliono dare i campioni ai ricercatori per poterli analizzare? Cosa c’è di segreto da nascondere? Questa è la seconda volta che viene fatta richiesta ufficiale da parte di accademici di poter ricevere campioni dei vaccini anti Covid per poterli analizzare e finora è successo che non abbiamo ricevuto nessuna risposta. Invece sarebbe davvero importante che gli accademici avessero accesso ai campioni, così da poter fare analisi accurate e pubblicarne i risultati».Questa presenza del Dna plasmidico è la conferma che non tutto quello che c’è dentro è stato dichiarato.«Eh sì, significa quantomeno che un’indagine accurata su quello che c’è dentro non la fanno. Poi tra l’altro, le case farmaceutiche hanno utilizzato, per i test che dovevano ottenere l’approvazione, Rna in vitro, mentre per la produzione in massa hanno usato una maniera di formulazione diversa, cioè dei batteri, per produrne in grande quantità. Di fatto, per il farmaco prodotto con questa seconda metodica l’autorizzazione non c’è, perché i test sono stati fatti col primo metodo di formulazione, non con il secondo. Di sicuro la presenza di Dna plasmidico non viene segnalata nei test che sono serviti all’autorizzazione e per questo è importante riuscire a poter confermare i dati dello studio di McKernan. La questione è delicata. È estremamente delicata, perché la presenza di Dna plasmidico lì dentro significa che un’interazione con il genoma umano è più che possibile. È probabile».Che cosa vuol dire questo?«Vuol dire l’alterazione del Dna dell’essere umano. Significa intanto la rottura di un tabù, cioè la possibilità di andare a modificare il Dna umano, cosa che, fino ad aggi, a livello etico e regolamentatorio ancora non era stata presa in considerazione. E poi dipende da dove questi pezzi di Dna vanno a inserirsi: se si inseriscono nelle sequenze dei geni oncoregolatori, beh allora lì possono partire i tumori, e ci sarebbe allora anche un senso in quelli che sono stati descritti oramai in letteratura da alcuni ricercatori come turbo-cancri, cioè cancri che hanno un’evoluzione negativa velocissima, che prima non vedevamo perché sono comparsi da quando c’è la vaccinazione a mRna. Ricordiamoci che i problemi a medio e a lungo termine causati da questi prodotti, come dichiarato nei bugiardini stessi dei vaccini, erano sconosciuti perché il tempo per raccogliere i dati non c’era. Di certo, questi frammenti di Dna non dovevano esserci e la questione riguarda non soltanto le case farmaceutiche ma anche gli enti regolatori, che dovevano verificare la purezza di questi prodotti prima di somministrarli alle persone». Insomma, tante cose ancora sono da capire, ma tante altre cose si sono capite da quando è iniziata la campagna di vaccinazione.«Certamente. Tante cose sono state pubblicate. Poi… che siano state capite è un discorso un po’ diverso, perché la correlazione, ad esempio, con le miocarditi, nonostante gli studi che sono usciti, non è stata recepita fino in fondo. Anche i dati che sono presenti in letteratura sulla riproduzione umana tendono ad essere ignorati: ci sono una serie di segnali che in questo momento non vengono raccolti, fondamentalmente». Quali segnali?«I segnali ad esempio di donne che hanno un disturbo mestruale a seguito della vaccinazione Covid. In uno studio spagnolo (di Laura Baena Garcia, dell’Università di Granada, ndr) è uscito che hanno avuto disturbi nel ciclo quasi l’80% delle donne che l’hanno fatta. Questi effetti avversi sul ciclo mestruale, poi, si è scoperto che non sono così transitori come sembrava all’inizio, ma possono persistere per più di cinque mesi. In generale, si fa finta di non notare un aumento di tutta una serie di patologie: dai tumori, alla sindrome di Julian Barrè, a problemi mestruali importanti. Io ho visto personalmente tre ragazze di 18 anni che hanno perso completamente il ciclo dopo la vaccinazione, hanno i valori ormonali di una donna in piena menopausa. Sono tutte cose che sono pubblicate in letteratura, però è come se ci fosse una scissione tra ciò che viene pubblicato e ciò che i medici in realtà comprendono o utilizzano È come se non ci fosse proprio la voglia di andare ad approfondire da parte di tanti colleghi, perché è altamente delicata tutta la storia che la gran parte dei medici evidentemente non ha voglia di sapere».La parola scienza ha perso il suo significato?«Al momento quella che viene definita scienza è morta. Se hanno vaccinato le donne incinte senza avere nessun dato significa che non è scienza, è pura ideologia. Anche la storia che il vaccino aveva efficacia nel prevenire qualsiasi sintomo di manifestazione del Covid per il 95% dei casi era finta: non solo è crollata sotto gli occhi della realtà ma era un falso già in partenza. Quel dato era il dato relativo al placebo, non era la differenza assoluta. La differenza assoluta era meno dell’un per cento. La scienza sembra oggi diventata un’opinione, non più il mostrare e il raccogliere i dati in maniera giusta e poi discuterne. Ormai il vaccino a mRna è collegato a danni neurologici, cardiologici, a problemi di fertilità, a problemi di autoimmunità, cioè: c’è di tutto in letteratura, però a livello istituzionale questo ancora non passa. Non so quanto tempo ci vorrà. Sta succedendo di tutto e sembra che non stia succedendo niente. Già solo a guardare i dati del Vaers (il sistema americano che raccoglie segnalazioni degli effetti avversi, ndr) ci si spaventa, e stiamo parlando di farmacovigilanza passiva, quindi quei dati sono altamente sottostimati. Nonostante questo, ci sono persone che vanno a raccontare in televisione sempre la stessa storia, solo che a questa storia non ci crede più nessuno, anche se continuano a ripeterla. Oggi per fortuna non si va a vaccinare più nessuno, inclusi i medici».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)