
Gli idonei lanciano l'allarme: il 16 ottobre scadrà la graduatoria, poi chi verrà preso? Il dossier di Viale Mazzini è tra i più caldi per il governo nascituro, con il consiglio di amministrazione che va in scadenza.Come saranno assunti i prossimi giornalisti Rai? Tra le tante questioni aperte a Viale Mazzini, mentre si sta formando il governo e il consiglio d'amministrazione in scadenza prepara gli scatoloni per fare posto ai prossimi consiglieri, questa è una delle più calde. Fino al prossimo 16 ottobre la strada è segnata: la Rai farà scorrere la graduatoria del concorsone per giornalisti svoltosi nel 2015. Un vincolo che garantisce criteri meritocratici e trasparenza. Ma dopo non si sa. Complici il caos politico di questi giorni e il cda a fine mandato, c'è il rischio concreto che si torni alle opache chiamate dirette. Se attualmente le assunzioni di professionisti per le testate giornalistiche (i tg Rai, ma non i programmi come per esempio Report e Porta a Porta) possono avvenire solo attingendo dalla graduatoria del concorso 2015, dopo il 16 ottobre quella lista scadrà, dice la Rai. Insomma, salvo cambi di orientamento in corsa, a Viale Mazzini e Saxa Rubra i responsabili delle chiamate torneranno ad avere le mani libere. Ma i giornalisti di quella selezione, riuniti in un comitato e rappresentati dal professor Gianluca Maria Esposito, ordinario di diritto amministrativo a Salerno, non ci stanno e valutano anche di fare ricorso: tutta la legislazione vigente, infatti, asserisce che le graduatorie - per aziende che come la Rai svolgono finalità pubbliche grazie a denaro pubblico - devono essere tenute in vita, salvo motivate eccezioni, per evitare che vadano sprecate le ingenti risorse economiche necessarie in caso di un nuovo concorso. A sostegno della loro posizione c'è anche la legge di Bilancio 2018, che ha attribuito all'azienda il compito di avviare, «in un'ottica virtuosa di risparmio a medio-lungo termine, immissioni in organico di figure al livello retributivo più basso, attingendo in primis al personale idoneo inserito nelle graduatorie 2013 e 2015». Una via maestra che la Rai si ostina a ignorare, senza però fornire spiegazioni plausibili sulle modalità di reclutamento dei giornalisti che intende adottare a partire dal prossimo 17 ottobre. È noto infatti che soprattutto le sedi regionali sono interessate dalla continua emorragia di giornalisti in cerca di un posto al sole nelle sedi di produzione (Roma, Milano, Napoli, Torino) e quindi spesso sotto organico. Nuovi giornalisti sono richiesti anche per riuscire a prendere il treno dell'informazione sul Web che in Rai tarda ad arrivare. Intanto, alle richieste dei concorsisti si sommano quelle dei giornalisti precari dei programmi, che chiedono di essere stabilizzati, e le pretese dei diplomati alla scuola di giornalismo di Perugia. Le richieste perugine sono viziate però da una questione di regole: l'ordine dei giornalisti vieta le scuole aziendali, per cui se i diplomati di Perugia vogliono entrare in Rai, devono sostenere un concorso come tutti gli altri aspiranti. Cosa farà l'azienda? Lo scenario peggiore è il ritorno alla vecchia e nebulosa pratica delle chiamate dirette che, almeno a parole, dentro e fuori dalla Rai dicono di aborrire. In questo contesto difficile è assai curiosa la posizione dell'Usigrai, il sindacato dei giornalisti di Viale Mazzini, che da una parte afferma di sostenere il merito e rivendica di aver voluto il concorso 2015, dall'altra vuole abbandonare la graduatoria a metà e chiede un nuovo concorso, non si sa bene su che basi. Forse per aiutare i giornalisti usciti dalla scuola aziendale di Perugia, in attesa di una nuova selezione pubblica su cui provare a dettare legge, magari ancor più incisivamente che nel 2015.
Emanuele Orsini (Ansa)
Dopo aver proposto di ridurre le sovvenzioni da 6,3 a 2,5 miliardi per Transizione 5.0., Viale dell’Astronomia lamenta la fine dei finanziamenti. Assolombarda: «Segnale deludente la comunicazione improvvisa».
Confindustria piange sui fondi che aveva chiesto lei di tagliare? La domanda sorge spontanea dopo l’ennesimo ribaltamento di fronte sul piano Transizione 5.0, la misura con dote iniziale da 6,3 miliardi di euro pensata per accompagnare le imprese nella doppia rivoluzione digitale ed energetica. Dopo mesi di lamentele sulla difficoltà di accesso allo strumento e sul rischio di scarse adesioni, lo strumento è riuscito nel più classico dei colpi di scena: i fondi sono finiti. E subito gli industriali, che fino a ieri lo giudicavano un fallimento, oggi denunciano «forte preoccupazione» e chiedono di «tutelare chi è rimasto in lista d’attesa».
Emmanuel Macron (Ansa)
L’intesa risponderebbe al bisogno europeo di terre rare sottraendoci dal giogo cinese.
Il tema è come rendere l’Ue un moltiplicatore di vantaggi per le nazioni partecipanti. Mettendo a lato la priorità della sicurezza, la seconda urgenza è spingere l’Ue a siglare accordi commerciali nel mondo come leva per l’export delle sue nazioni, in particolare per quelle che non riescono a ridurre la dipendenza dall’export stesso aumentando i consumi interni e con il problema di ridurre i costi di importazione di minerali critici, in particolare Italia e Germania. Tra i tanti negoziati in corso tra Ue e diverse nazioni del globo, quello con il Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay ed Uruguay) è tra i più maturi (dopo 20 anni circa di trattative) e ha raggiunto una bozza abbastanza strutturata.
Automobili Byd (Ansa)
La società cinese ha selezionato 85 ditte dell’indotto automobilistico mollate dall’ex Fiat. Rendere profittevole l’elettrico anche qui, quindi, è possibile... per chi sa e vuole farlo.
Byd si sta prendendo tutti i fornitori italiani che Stellantis ha lasciato a piedi. Verrebbe da pensare, allora, che il modo per rendere profittevole l’auto elettrica in Italia esiste e forse il gruppo guidato dall’ad Antonio Filosa non ha saputo coglierne le opportunità.






