2024-03-01
«Nessuno deve scegliere di morire perché mancano le cure palliative»
Nel riquadro: Gino Gobber, presidente della Società Italiana Cure Palliative (IStock)
Il presidente della Sicp Gino Gobber: «Queste terapie rientrano nel diritto alla salute e non riguardano soltanto i malati terminali oncologici. C’è carenza di assistenza domiciliare, da colmare coi fondi del Pnrr. Adesso o mai più».L’accesso alle cure palliative «è una condizione necessaria, doverosa e obbligatoria che deve essere posta prima di ogni altra questione. Si parla molto di morte medicalmente assistita di questi tempi, con la proposta di legge di iniziativa popolare (dell’Associazione Coscioni, ndr) in regioni come il Veneto e l’Emilia Romagna. Stiamo su piani diversi. Dobbiamo fare in modo che non ci sia nessuno che scelga di morire perché mancano le cure palliative. Questa sarebbe una sconfitta». È razionale e profondamente umano, Gino Gobber, medico e presidente della Sicp, la Società italiana cure palliative. Cita la definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). «Le cure palliative costituiscono una serie di interventi terapeutici e assistenziali finalizzati alla cura attiva e totale di malati la cui malattia di base non risponde più ai trattamenti specifici. L’obiettivo è la migliore qualità di vita possibile per malati e famiglie, per la vita che rimane da vivere. Sono un obbligo di legge». Intende che è un diritto?«La normativa italiana è chiarissima. Le Regioni e le Aziende sanitarie (Asl) devono erogare le cure palliative secondo la Legge 38/2010 e, secondo la 106/2021, si devono dotare di tali cure entro il 2025. La legge di bilancio 2022 ci dà un po’ di più tempo, fino al 2028 per arrivare alla copertura del 90%. Quando tutto questo sarà attuato, avremo comunque persone che potranno chiedere il suicidio assistito o l’eutanasia, ma questa è una questione etica, morale, religiosa. Siamo su piani diversi: le palliative rientrano nel diritto alla salute, sono un obbligo di legge e sono un diritto degli esseri umani».Le palliative non sono quindi solo per i pazienti con cancro terminale?«Sono indicate quando la malattia non è più guaribile e in progressione, ma resta curabile per tutto il tempo che serve. Il mondo scientifico ha visto che anticipando le palliative, si hanno risultati importanti. La società di medicina generale, per esempio, sta introducendo strumenti per individuare in anticipo le persone che ne avranno bisogno. Il palliativista non dovrebbe lavorare solo con l’oncologo, ma anche con il cardiologo, il nefrologo il neurologo. Nel caso della sclerosi laterale amiotrofica, malattia neurodegenerativa, il palliativista sarebbe indicato fin dalla diagnosi. La presa in carico congiunta, quando una condizione è evidente che non può puntare alla guarigione o alla cronicizzazione, è un diritto di tutte le persone. L’unico fattore discriminante è la volontà del paziente». La sedazione profonda è parte di queste cure o è una forma di eutanasia?«È un provvedimento terapeutico reversibile non particolarmente drammatico. La sedazione profonda con farmaci si effettua in presenza di un sintomo refrattario, cioè estremamente doloroso, non sopportabile dal paziente, e che non si può curare senza compromettere la sua coscienza per due motivi: non ci sono armi terapeutiche oppure ci vuole troppo tempo perché i farmaci siano efficaci per vincere il sintomo. Rispetto a eutanasia e morte assistita, con la sedazione profonda l’obiettivo è togliere il sintomo, non dare la morte. Il paziente può morire, ma non si vuole provocarne la morte, l’obiettivo non è il decesso, ma il controllo del sintomo. È infatti reversibile: una volta smaltito il farmaco, il paziente si sveglia e può stare meglio. È una pratica ammessa anche dalla Pontificia accademia per la vita. È un atto sanitario. È un atto compassionevole, appropriato, proporzionato e deliberato da un professionista preparato, una volta ottenuto il consenso».Ma potrebbe anticipare la morte?«La sedazione profonda e, in generale, le cure palliative, non sono fatte né per anticipare né per posticipare la morte. Molto spesso immagino che il paziente, in comfort, potrebbe restare sulla terra più a lungo, magari non è vero, ma il nostro fine è controllare il sintomo. Siamo in linea con il codice deontologico, penale, civile, con le buone pratiche cliniche e con il diritto di essere curati: è nei Lea, i livelli essenziali di assistenza. Come ha chiarito Papa Pio XII, non proprio un progressista, se l’obiettivo è togliere il dolore, che questo anticipi o ritardi la morte è un’altra cosa». Per l’accesso a queste cure ci vorrebbero le reti. A che punto siamo?«Nel Dm77 del Pnrr, che ha l’ambizione di riorganizzare l’assistenza territoriale, il paragrafo sulle cure palliative è vicino a quello dell’assistenza domiciliare. Se vogliamo che la sanità territoriale funzioni, il modello è quello delle palliative perché lavorano in rete, in equipe organizzate sulla presa in carico complessiva, non sulla singola prestazione, poi ci sono le diverse competenze e il terzo settore. È il modello per la presa in carico delle persone complesse che hanno bisogno di cure fuori dell’ospedale. Come Sicp abbiamo fatto una fotografia della situazione e costruito uno standard di personale. Abbiamo visto che ci sono Regioni e Asl che hanno realizzato le reti territoriali indipendentemente dal fatto che siano ricche o povere, al Nord o al Sud. Ciò significa che si può fare ovunque». E con gli Hospice? «Siamo messi bene, ma è un modello basato sull’oncologia. Bisogna cambiare standard. Il Dm 77 infatti prevede 8-10 posti letto ogni 100.000 abitanti. Quatto Regioni lo hanno già fatto, altre si stanno adeguando. Il vero buco però è l’assistenza domiciliare: siamo molto lontani. È una questione di organizzazione e di carenza di risorse umane. Adesso abbiamo la possibilità delle risorse dal Pnrr: è un’occasione straordinaria. Adesso o mai più».
«It – Welcome to Derry» (Sky)
Lo scrittore elogia il prequel dei film It, in arrivo su Sky il 27 ottobre. Ambientata nel 1962, la serie dei fratelli Muschietti esplora le origini del terrore a Derry, tra paranoia, paura collettiva e l’ombra del pagliaccio Bob Gray.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
Ecco #DimmiLaVerità del 24 ottobre 2025. Ospite Alice Buonguerrieri. L'argomento del giorno è: " I clamorosi contenuti delle ultime audizioni".
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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