2022-11-21
Germano Dottori: «La guerra terminerà solo sul campo»
Germano Dottori (Imagoeconomica)
Il consigliere di «Limes»: «Si parla molto di tregua ma non si vedono ancora comportamenti conseguenti. Se Joe Biden volesse davvero evitare che l’Ucraina riprenda la Crimea taglierebbe gli aiuti economici e militari».Germano Dottori, consigliere d’amministrazione della Fondazione Med-Or e consigliere scientifico di Limes, la prossima settimana Stati Uniti e Russia dovrebbero incontrarsi al Cairo, in Egitto, nell’ambito della commissione bilaterale sull’applicazione del trattato New Start, che prevede la riduzione degli arsenali nucleari. Che segnale è?«Più che un segnale è l’evidenza che esistono dossier concernenti la sicurezza globale, come quelli in materia di controllo degli armamenti, sui quali il dialogo tra Stati Uniti e Russia continua nonostante la guerra in corso. Sono comunque in atto contatti a vari livelli tra i governi dei due Paesi».Russia e Cina hanno votato contro la risoluzione dell’Agenzia Internazionale per l’energia atomica che chiede all’Iran una collaborazione più incisiva. Da parte di Mosca, è una sorta di contropartita per la fornitura di droni da guerra? Secondo lei, perché anche Pechino ha detto no?«Russia e Iran sono partner in molti settori, quello militare è solo l’ultimo a svilupparsi. Quanto alla Cina, i rapporti tra la dirigenza di Pechino e quella di Teheran sono da tempo piuttosto intensi. La Repubblica Popolare, peraltro, sta rafforzando la propria presenza anche sulla costa opposta del Golfo Persico».Che tipo di ripercussioni potranno avere sullo scacchiere internazionale le proteste in corso a Teheran?«Se l’insurrezione in atto proseguisse e riuscisse ad abbattere il regime islamico, le conseguenze potrebbero essere profonde e molto positive. Cambierebbe il Medio Oriente e diventerebbe probabilmente possibile anche il superamento delle sanzioni, che invece sono destinate a permanere con l’assetto attuale anche se si riuscisse a raggiungere con Teheran un nuovo accordo sul nucleare, che peraltro gli ayatollah ora immaginano non come pertinente alla non proliferazione, ma al vero e proprio controllo degli armamenti. Come se il programma nucleare iraniano avesse già raggiunto la soglia del non ritorno. Avere un Iran democratico lontano dal radicalismo dell’islam politico permetterebbe di gestire meglio anche questo contenzioso».Nonostante la dura repressione, le proteste non si sono mai interrotte in questi mesi. Arrivare a incendiare la casa natale del padre della rivoluzione, Ruhollah Khomeini, ha una portata storica: è una svolta? «Qualora fosse sul serio avvenuta una cosa simile, si tratterebbe di un evento di enorme portata simbolica, perché proverebbe che la Repubblica islamica non è più in grado di proteggere la memoria del suo fondatore. L’insurrezione alza il tiro e gli apparati di sicurezza non riescono a starle dietro, a dispetto della grande sproporzione di forze a loro favore. Evidentemente, esiste un limite implicito alla possibilità di reprimere: forse una soglia interna, oltrepassata la quale si aprirebbero crepe anche tra i pasdaran, i basij e le varie polizie. Forse cambierebbe postura anche l’Artesh, l’esercito regolare di Teheran, che ha un’occasione storica per limitare il potere dei propri concorrenti, o proprio liberarsene. Vedremo».Sta crescendo il pressing per arrivare a una tregua tra Russia e Ucraina: la ritiene percorribile nel breve periodo?«Ho forti dubbi. Ne parlano molto, sempre di più, ma non si vedono ancora comportamenti conseguenti. Arriveranno nuovi aiuti economici e militari, per altri trenta miliardi di dollari dai soli Stati Uniti, che l’Ucraina potrà utilizzare per alimentare la propria controffensiva. I russi, dal canto loro, per convincere Zelensky a negoziare stanno tentando di effettuare una campagna strategica di bombardamenti contro le infrastrutture. Tutte le parti coinvolte, comunque, iniziano ad avere problemi nel sostenere gli attuali consumi di munizioni nel teatro ucraino».Al G20 di Bali, Zelensky ha presentato i suoi dieci punti per mettere fine alla guerra. Come li interpreta? «L’Ucraina vuole vincere, ritiene di potercela fare. Mentre la dirigenza russa sta cercando di dimostrare che le valutazioni di Kiev non sono realistiche. Di qui la dinamica che osserviamo in questi giorni. Gli ucraini attuano una strategia contro-forze per recuperare terreno, i russi invece si sono risolti ad un approccio contro-risorse per lasciare al buio e al freddo l’Ucraina. Non attribuirei eccessiva importanza al processo diplomatico: questa guerra si deciderà sul campo di battaglia e sul retroterra logistico ed economico dello sforzo».Il «ripristino dell’integrità territoriale» ucraina è uno dei punti più controversi, che sembra non convincere a pieno l’amministrazione statunitense: a Washington iniziano a dare segnali di insofferenza nei confronti delle fughe in avanti di Zelensky?«Se gli Stati Uniti intendessero davvero indurre Zelensky a moderare gli obiettivi di guerra dell’Ucraina utilizzerebbero la leva degli aiuti economici e militari. Non lo fanno, se non per procedere a ulteriori invii di materiali e risorse. Sicuramente pretendono però una narrazione diversa da parte di Kiev, magari anche per indebolire la determinazione russa a resistere dall’altro lato della collina. Vedremo».Che idea si è fatto sui missili caduti a Przewodów, in Polonia?«Pare un incidente della contraerea ucraina. Gli Stati Uniti propendono per questa ricostruzione. Hanno gli strumenti per verificare come sono andate le cose: gli si può credere. È importante che abbiano preso pubblicamente posizione, dando una dimostrazione di grande moderazione e responsabilità. Probabilmente, avrebbero però preferito essere anticipati da Zelensky, che sul punto è rimasto ambiguo finché ha potuto». Qualcuno in Polonia ha addirittura avanzato l’ipotesi di riconsiderare la posizione nei confronti dell’Ucraina. «Non accadrà: l’interesse nazionale polacco va in una direzione differente. Per Varsavia indebolire la Russia è una priorità assoluta».Lei ritiene opportuno che l’Italia stringa rapporti più forti con la Polonia, che potrebbe essere il perno della geopolitica americana in Europa. Come inciderebbe ciò sui legami con Francia e Germania?«Gli Stati Uniti devono restare il riferimento italiano, specialmente in uno scenario nel quale gli interessi di Washington e quelli di Berlino divergono così significativamente, come da qualche anno a questa parte. La Polonia, in questo quadro, può diventare per noi un partner importante, utile al contenimento della supremazia franco-tedesca nell’Unione Europea. Esiste un contesto per farlo: il Trimarium. Aderendovi, il nostro Paese potrebbe recuperare influenza in Adriatico e nei Balcani. A causa della mossa fatta da Putin in Ucraina, inoltre, l’Italia non potrà più giocare la carta russa per un arco di tempo molto lungo, quindi gli equilibratori dovranno essere altri: America, Polonia e, credo, anche il Regno Unito sono i candidati naturali».La guerra in Ucraina e la crisi energetica hanno mostrato l’inconsistenza dell’Unione europea. Ritiene possibile ripensare l’impianto dell’Ue? «Se ne stanno incaricando i fatti. Di fronte alle conseguenze politiche, strategiche ed economiche della guerra in atto, stiamo assistendo al proliferare di scelte e decisioni prettamente unilaterali di carattere nazionale. Lo si era già visto durante le fasi acute della pandemia. Ora è la volta del riarmo e delle misure di contenimento del caro-energia. Significativamente, in entrambi i casi è la Germania a fare le mosse più significative. Per sé stessa».Come giudica la posizione della Cina al G20 di di Bali? «Xi Jinping sta cercando di contenere i danni che sono derivati alla Cina dal forte indebolimento russo, conseguente all’andamento di una guerra molto insoddisfacente per Mosca. Prova a farlo anche sfruttando il sentimento prevalente nell’amministrazione democratica americana, che considera ancora la Russia come una minaccia esistenziale immediata, riservando alla Repubblica Popolare quello meno urgente di sfida sistemica futura. Può darsi che il futuro ci riservi una competizione sino-americana per il primato globale, ma non è affatto certo che torneremo ad avere un sistema bipolare rigido come quello della Guerra fredda». Che ne pensa delle prime uscite internazionali di Giorgia Meloni? «Direi che la politica estera la appassiona, come già accadde con Craxi e Berlusconi. L’impressione è buona. Dietro la crisi franco-italiana, in effetti, non c’è solo l’immigrazione, ma la necessità di proteggere alcuni settori cruciali del sistema produttivo italiano dagli istinti predatori di Parigi».In occasione della IX edizione del Festival di Limes, lei ha detto che l’Italia deve «bilanciare i suoi rapporti bilaterali»: cosa intende?«S’intende che in Europa non dobbiamo sposarci con nessuno, ma flirtare con tutti, cercando di far valere il peso italiano in modo contrattuale in ogni circostanza in cui i nostri partner si dividano in più blocchi. Ovviamente, avendo ben chiaro che la stella polare restano gli Stati Uniti. La nostra reputazione internazionale dipende in maniera cruciale dall’opinione che la dirigenza americana si fa della nostra politica estera».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)