Generali, Piazza Affari ha già vinto. Dopo mesi di rialzi il titolo va giù

Chi ha investito in Generali ha venduto il titolo incassando gli aumenti degli ultimi mesi
Dal primo aprile a ieri ha perso quasi il 15%. Non è un buon momento per il titolo Generali, che malgrado la battaglia in corso per il rinnovo del consiglio non sembra godere dei favori del mercato.
«Il momento non è favorevole agli assicurativi, tutto il settore è in sofferenza», spiega un analista che cita le performance di Zurich e Axa dell’ultima settimana, in calo entrambe di circa il 5% come Generali. Nelle sale operative si cita anche come il lungo confronto, partito a settembre dello scorso anno, «ha dato il tempo ha chi voleva prendere posizione di farlo da tempo».
Mentre l’ottima performance dell’ultimo anno, spinta anche dalle tensioni tra i soci, abbia convinto qualche investitore a prendere beneficio e uscire dalla partita. Nell’ultimo anno Generali ha guadagnato il 7,3%, ma da settembre scorso - quando si palesò il patto Caltagirone-Del Vecchio - al primo aprile il progresso è stato di poco inferiore al 18%. Abbastanza da spingere gli investitori opportunisti a incassare. Anche perché, si fa notare, lo scenario di un confronto legale tra i due schieramenti che potrebbe aprirsi dopo l’assemblea non è una opzione in qualche modo desiderabile da investitori di lungo periodo.
Alle 12 di domani scade intanto il termine per votare una delle due liste, anche se i risultati non saranno noti fino al giorno dell’assemblea, venerdì. I primi riscontri sulla partecipazione sono in linea con attese, con una percentuale di capitale presente superiore alle ultime assemblee. Secondo le attese, più alta sarà la quota di capitale presente e maggiore il distacco che la lista del board uscente dovrebbe avere su quella degli sfidanti. E proprio l'entità del distacco sarà determinante, con il candidato presidente della lista Caltagirone, Claudio Costamagna, che ha annunciato ricorsi in caso di sconfitta di misura, visto il 4,43% del prestito titoli di Mediobanca e l'1,4% di De Agostini ceduto a termine in scadenza.
La maggior parte degli investitori istituzionali, come fondi e gestori che rappresentano circa il 30% del capitale della compagnia, dovrebbe sostenere la lista del consiglio uscente, seguendo le indicazioni dei principali proxy advisor. A favore della conferma di Donnet si sono espressi, fra gli altri, il fondo norvegese Norges Bank Investment Management, il fondo pensione California Public Employees Retirement System, Sba Florida, Union Investment, la tedesca Deka Investment e, in Italia, le triestine Fondazioni Casali.
I due schieramenti sembrano sostanzialmente appaiati. La lista del board uscente ha il supporto di Mediobanca (17,2%), di De Agostini (1,4%) e di oltre il 2% degli istituzionali che si sono finora dichiarati, per una quota al momento quantificabile intorno al 21%. Ma la gran parte del mercato dovrebbe votare alla fine per la conferma di Donnet.
La lista di Caltagirone conta sui voti certi di un altro 21% del capitale, fra le quote del gruppo del costruttore romano, della Delfin di Leonardo Del Vecchio e della Fondazione Crt. Ma potrebbe anche ottenere l'appoggio di numerosi imprenditori e famiglie del Nord Ovest. Con la quota del 3,96% dei Benetton, che hanno già deciso come schierarsi ma non si sono ancora espressi, che potrebbe fare da ago della bilancia.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Da 56 giorni i genitori non vedono i figli. Gli assistenti sociali però non rispondono
«Voglio sapere dove sono i bambini. Sono passati 56 giorni senza vederli. Neppure una telefonata. Non sappiamo come stanno, cosa mangiano, se dormono…». Le lacrime scivolano giù con dignità sul bel volto di mamma Nadya, mentre si siede con noi sulla panca fuori, all’ingresso di casa. Siamo nel bosco di Caprese Michelangelo, piccolo borgo in provincia di Arezzo. «Con mio marito Harald», racconta Nadya, «siamo andati più volte ai servizi sociali. Ci hanno detto che non possiamo vederli perché sono in un luogo segreto. Tutto questo è un abuso. Una violenza che viene fatta a noi e ai nostri figli».
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.














