Confermata la fiducia all’ad che, assieme a Mediobanca, l’ha spuntata nella sfida di Trieste e resterà al timone per altri tre anni. Dieci i consiglieri dei vincitori, tra cui il nuovo presidente Andrea Sironi, e tre di Caltagirone. Prove tecniche per Piazzetta Cuccia?
Confermata la fiducia all’ad che, assieme a Mediobanca, l’ha spuntata nella sfida di Trieste e resterà al timone per altri tre anni. Dieci i consiglieri dei vincitori, tra cui il nuovo presidente Andrea Sironi, e tre di Caltagirone. Prove tecniche per Piazzetta Cuccia?Il mercato, e soprattutto i fondi esteri, hanno confermato la fiducia all’ad delle Generali Philippe Donnet. Che insieme a Mediobanca ieri ha vinto la battaglia di Trieste e resterà al timone della compagnia per altri tre anni. All’assemblea dei soci del Leone, infatti, la lista del cda uscente sostenuta da Piazzetta Cuccia ha raccolto voti favorevoli pari al 55,992% dei presenti in assemblea (ha partecipato alla votazione il 70,7% del capitale) mentre quella promossa da Francesco Gaetano Caltagirone ha ricevuto il 41,73 per cento. Schiacciata tra i due contendenti è rimasta la lista di Assogestioni (1,929%). In termini assoluti le due liste hanno raccolto rispettivamente il 39,5% e il 29,4% per uno scarto di circa il 10%, dunque al di sopra del margine del 6% che avrebbe portato Caltagirone a una ipotizzata battaglia di ricorsi. O a chiedere, come ipotizzato, una nuova assemblea quando scadrà il prestito titoli di Mediobanca e De Agostini sarà definitivamente uscita dall’azionariato. Il 6% è infatti la somma della quota presa in prestito da Piazzetta Cuccia in occasione dell’assemblea e quella venduta da De Agostini che ha però mantenuto il diritto di voto per l’appuntamento di ieri. Appuntamento cui Caltagirone si è presentato con il 9,95% del capitale (il 4,79% è però soggetto a vincolo di pegno) e Leonardo Del Vecchio con il 9,82%. Considerando il voto a loro favore dei Benetton (saliti al 4,75%), Fondazione Crt (1,23%) e Cassa Forense (circa l’1%), si raggiunge una quota complessiva del 26,7 per cento. Cui si sono dunque aggregate altre quote per circa il 3% di Generali. Non abbastanza però per contrastare Mediobanca (17,19% comprensivo di un prestito titoli del 4,42%) e gli investitori istituzionali che hanno votato la lista presentata dallo stesso cda. Depurando le percentuali dai voti delle parti coinvolte direttamente nel match - Mediobanca per la lista del cda e Caltagirone, Del Vecchio, Crt e Benetton per la lista alternativa -, la partita si è conclusa con un 19 a 3. Che in termini di poltrone in cda di traduce in 10 consiglieri proposti dai vincitori, tra cui il nuovo presidente Andrea Sironi, e 3 da Caltagirone. Oltre allo stesso imprenditore romano, dimessosi qualche mese fa anche dalla carica di vicepresidente, entrano Marina Brogi e Flavio Cattaneo. Restano invece fuori il candidato alternativo proposto da Caltagirone per la presidenza, Claudio Costamagna, e quello per la poltrona di ad, ovvero l’ex dirigente del Leone, Luciano Cirinà. «La maggioranza si è espressa con chiarezza e senza alcuna ambiguità per il cda proposto dal consiglio di amministrazione uscente», ha commentato Donnet alla fine dell’assemblea sottolineando che «tutti insieme possiamo lavorare con determinazione e serenità nella stessa direzione che è quello di perseguire l’interesse di tutti gli stakeholder». Sarà davvero così? In una nota diffusa nel pomeriggio è arrivato anche il commento di Caltagirone: «Tutti gli italiani sono con noi senza eccezioni e sono tutti soci stabili. Soci che vogliono che Generali rimanga una società radicata in Italia e legata all’Italia». Caltagirone sembra dunque voler continuare a giocare la carta dell’italianità del Leone. E, ammettendo che «sono mancati i voti dei soci stranieri più lontani dalla realtà italiana», dà la colpa alla speculazione: «Chi è socio stabile vuole che insieme al grano che si semina a ottobre e si raccoglie a giugno, si pianti l’albero che darà frutto negli anni. La speculazione, invece, vuole prendere subito quello che può e scappare. Sono convinto che parte del risultato sarà comunque conseguito perché un cda eletto dal 55% dei voti non potrà non tenere conto dell’altro 45%», ha poi aggiunto arrotondando un po’ le percentuali. «Fin quando lo riterrò ragionevole, continuerò a operare perché il cambiamento avvenga». Se questa promessa si trasformerà in una spina nel fianco di Donnet lo scopriremo nei prossimi mesi o settimane. Resta da capire se il mirino si sposterà nel frattempo su un altro ring, quello di Mediobanca. Perché la battaglia di Trieste è stata letta da molti osservatori anche come una sorta di test, o di rodaggio, di un’alleanza che potrebbe scendere in pressing sulla governance di Piazzetta Cuccia di cui sono azionisti sia Caltagirone (con circa il 5%), sia Del Vecchio (con il 19,4%) sia i Benetton (al 2,1%, ma ora impegnati sul campo dell’Opa Atlantia con advisor proprio Mediobanca). Nell’ottobre 2023 anche l’istituto milanese oggi guidato da Alberto Nagel riunirà l’assemblea per rinnovare il cda. Quello più interessato alle mosse in Piazzetta è sempre sembrato più Del Vecchio che Caltagirone. Il patron di Luxottica non ha mai nascosto di puntare al 20% per il quale serve però l’autorizzazione della Bce che in caso di grandi manovre chiederà quali obiettivi abbia e con quali mezzi e persone intenda perseguirli, ponendo anche eventuali condizioni. L’imprenditore veneto ha sin qui catalogato l’investimento come finanziario, quindi si è impegnato a non modificare la governance dell’istituto milanese fino all’autunno del 2023 anche su consiglio di due consulenti di peso come l’avvocato Sergio Erede e l’ex ministro del Tesoro, Vittorio Grilli, ora in Jp Morgan. Vedremo se ora la strategia si farà più aggressiva magari cercando una sponda in altre big del credito (Intesa?) o spingendo lo stesso Grilli come candidato alla presidenza di Piazzetta Cuccia lasciando comunque il timone in mano a Nagel. O se invece, alla luce dei risultati dell’assemblea del Leone di ieri, Del Vecchio e il suo influente braccio destro Francesco Milleri rivedranno i loro piani.
Antonio Filosa (Stellantis)
La batteria elettrica è difettosa. La casa automobilistica consiglia addirittura di parcheggiare le auto lontano dalle case.
Mentre infuria la battaglia mondiale dell’automobile, con la Cina rampante all’attacco delle posizioni delle case occidentali e l’Europa impegnata a suicidarsi industrialmente, per Stellantis le magagne non finiscono mai. La casa automobilistica franco-olandese-americana (difficile ormai definirla italiana) ha dovuto infatti diramare un avviso di richiamo di ben 375.000 automobili ibride plug-in a causa dei ripetuti guasti alle batterie. Si tratta dei Suv ibridi plug-in Jeep Wrangler e Grand Cherokee in tutto il mondo (circa 320.000 nei soli Stati Uniti, secondo l’agenzia Reuters), costruiti tra il 2020 e il 2025. Il richiamo nasce dopo che si sono verificati 19 casi di incendi della batteria, che su quei veicoli è fornita dalla assai nota produttrice coreana Samsung (uno dei colossi del settore).
Lucetta Scaraffia (Ansa)
In questo clima di violenza a cui la sinistra si ispira, le studiose Concia e Scaraffia scrivono un libro ostile al pensiero dominante. Nel paradosso woke, il movimento, nato per difendere i diritti delle donne finisce per teorizzare la scomparsa delle medesime.
A uno sguardo superficiale, viene da pensare che il bilancio non sia positivo, anzi. Le lotte femministe per la dignità e l’eguaglianza tramontano nei patetici casi delle attiviste da social pronte a ribadire luoghi comuni in video salvo poi dedicarsi a offendere e minacciare a telecamere spente. Si spengono, queste lotte antiche, nella sottomissione all’ideologia trans, con riviste patinate che sbattono in copertina maschi biologici appellandoli «donne dell’anno». Il femminismo sembra divenuto una caricatura, nella migliore delle ipotesi, o una forma di intolleranza particolarmente violenta nella peggiore. Ecco perché sul tema era necessaria una riflessione profonda come quella portata avanti nel volume Quel che resta del femminismo, curato per Liberilibri da Anna Paola Concia e Lucetta Scaraffia. È un libro ostile alla corrente e al pensiero dominante, che scardina i concetti preconfezionati e procede tetragono, armato del coraggio della verità. Che cosa resta, oggi, delle lotte femministe?
Federica Picchi (Ansa)
Il sottosegretario di Fratelli d’Italia è stato sfiduciato per aver condiviso un post della Casa Bianca sull’eccesso di vaccinazioni nei bimbi. Più che la reazione dei compagni, stupiscono i 20 voti a favore tra azzurri e leghisti.
Al Pirellone martedì pomeriggio è andata in scena una vergognosa farsa. Per aver condiviso a settembre, nelle storie di Instagram (che dopo 24 ore spariscono), un video della Casa Bianca di pochi minuti, è stata sfiduciata la sottosegretaria allo Sport Federica Picchi, in quota Fratelli d’Italia. A far sobbalzare lorsignori consiglieri non è stato il proclama terroristico di un lupo solitario o una sequela di insulti al governo della Lombardia, bensì una riflessione del presidente americano Donald Trump sull’eccessiva somministrazione di vaccini ai bambini piccoli. Nessuno, peraltro, ha visto quel video ripostato da Picchi, come hanno confermato gli stessi eletti al Pirellone, eppure è stata montata ad arte la storia grottesca di un Consiglio regionale vilipeso e infangato.
Jannik Sinner (Ansa)
Alle Atp Finals di Torino, in programma dal 9 al 16 novembre, il campione in carica Jannik Sinner trova Zverev, Shelton e uno tra Musetti e Auger-Aliassime. Nel gruppo opposto Alcaraz e Djokovic: il duello per il numero 1 mondiale passa dall'Inalpi Arena.
Il 24enne di Sesto Pusteria, campione in carica e in corsa per chiudere l’anno da numero 1 al mondo, è stato inserito nel gruppo Bjorn Borg insieme ad Alexander Zverev, Ben Shelton e uno tra Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti. Il toscano, infatti, saprà soltanto dopo l’Atp 250 di Atene - in corso in questi giorni in Grecia - se riuscirà a strappare l’ultimo pass utile per entrare nel tabellone principale o se resterà la prima riserva.






