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2023-11-05
A Gaza due scuole colpite dai raid. Tank israeliani nel Sud della città
Tank israeliani verso il confine con Gaza (Getty Images)
Ieri è stata un’altra terribile giornata nell’inferno di Gaza, dove continua sempre più incessante l’assedio israeliano. L’esercito dello Stato ebraico ha condotto pesanti bombardamentio colpendo tra gli obiettivi, anche la casa del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, rifugiato da tempo in Qatar.
In mattinata un raid aereo condotto dalle forze dello Stato ebraico ha colpito la scuola delle Suore del Rosario di Gerusalemme a Tel al-Hawa, un piccolo villaggio a Sud di Gaza City. A darne notizia è stata la preside dell’istituto, suor Nabila Saleh: «Questa mattina hanno colpito la nostra scuola danneggiando il grande cortile esterno e arrecando danni alle strutture circostanti. Purtroppo le comunicazioni sono interrotte in quella zona perché sono ancora in corso i bombardamenti ed è impossibile andare a vedere i danni subiti». Oltre alla scuola, che ospitava 1.250 alunni ed è la più grande di tutta la Striscia, secondo fonti vicine ad Hamas è stato colpito anche l’istituto scolastico al-Fakhura gestito dall’Unrwa, nel Nord della Striscia, nei pressi del campo profughi di Jabalia, dove avrebbero perso la vita 12 persone, tra cui tre bambini. Bombe israeliane sono cadute anche nella zona di piazza al-Khatiba, considerato il più influente centro teologico e universitario dell’islam sunnita a Gaza e dove è stata completamente distrutta la moschea Sheikh Zayed.
Ma a suscitare più sdegno è stato un altro episodio di violenza, ovvero il raid su un convoglio di ambulanze a Gaza, fuori dall’ospedale per bambini al-Nasser che, secondo quanto comunicato dal ministero della Salute palestinese, controllato da Hamas, avrebbe causato almeno 15 morti e 60 feriti. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si è detto «inorridito» da questo attacco: «Il conflitto deve finire. Le immagini dei corpi sparsi sulla strada fuori dall’ospedale sono strazianti», ha scritto in una nota. L’Organizzazione delle Nazioni unite si è espressa anche attraverso la voce dell’Alto commissario per i diritti umani, Volker Turk, che ha condannato il «forte aumento di odio nel mondo dopo il massiccio attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre che ha scatenato una nuova guerra di Israele contro la Striscia di Gaza, con migliaia di morti tra i civili palestinesi».
Anche Medici senza frontiere ha usato parole dure: «Abbiamo assistito a un ulteriore tragico evento in un flusso infinito di violenze inconcepibili. I ripetuti attacchi contro ospedali, ambulanze, aree densamente popolate e campi profughi sono vergognosi. Quante persone devono morire prima che i leader mondiali si sveglino e chiedano un cessate il fuoco? L’attacco mortale davanti al cancello dell'ospedale è terribile. Si tratta di un attentato letale davanti all’ospedale più frequentato di Gaza, dove il nostro personale lavora ogni giorno», si legge in un comunicato diffuso dalla Ong. A raccontare quanto accaduto è stato Mohammed Obeid, medico di Msf che presta servizio all’ospedale Al Shifa e che si trovava fuori dall’al-Nasser: «Eravamo dentro al cancello quando l’ambulanza è stata colpita davanti ai nostri occhi. C’erano corpi insanguinati ovunque. Molti sono morti sul colpo, mentre altri sono stati portati d’urgenza in sala operatoria».
Dal canto suo Israele, si è difesa dalle accuse di aver volutamente bombardato obiettivi civili, dicendo che Hamas utilizza quelle ambulanze per nascondere i propri miliziani e trasportare delle armi. Versione, quest’ultima, supportata anche da fonti americane, secondo cui «Hamas ha cercato di far uscire con le ambulanze i suoi combattenti da Gaza via Rafah, rallentando così gli sforzi per evacuare gli stranieri». Inoltre, Il portavoce dell’Idf, dopo aver accusato Hamas di «sparare sulla strada per gli sfollati», avrebbe comunicato in arabo ai civili che l’esercito avrebbe permesso il passaggio sulla strada Salah al-Din dalle 13 alle 16 per spostarsi verso Suda: «Se hai a cuore te stesso e i tuoi cari, vai a Sud. Siate certi che i leader di Hamas si stanno già preoccupando di proteggersi». Intanto, secondo quanto riportato dalla Cnn, nei prossimi giorni la strategia militare di Israele vedrà diminuire i raid aerei per intensificare le operazioni tattiche di terra.
Herzi Halevi, capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, ieri ha svolto all’interno della Striscia una riunione con le forze presenti sul posto, guidate dal comandante della divisione generale numero 162, Itzik Cohen.
Ieri nel quartiere di Tel al-Hawa, a Sud di Gaza City, sono entrati i carri armati dell’esercito israeliano, dando vita a un violento scontro con i miliziani delle brigate al-Qassam. Per quanto riguarda invece il fronte a Nord, al confine con il Libano, le forze armate israeliane fanno sapere di aver colpito due commando di Hezbollah che stavano provando a lanciare razzi.
E Hamas blocca l’uscita agli stranieri
Dopo il bombardamento sul convoglio di ambulanze all’ingresso dell’ospedale per bambini a Gaza City da parte dell’esercito israeliano, non si è fatta attendere la reazione di Hamas. Il gruppo terrorista che secondo Israele tiene in scacco la popolazione della Striscia, usandola come scudo umano, impedendo di rifugiarsi in aree sicure e a cui ruba cibo, acqua e carburante, ha bloccato il transito dei cittadini stranieri, impedendo loro di fatto di lasciare l’enclave palestinese attraverso il valico di Rafah al confine con l’Egitto. Secondo la Cnn, che ha citato un funzionario americano, questa decisione rimarrà in vigore fino a quando Israele non garantirà il passaggio delle ambulanze dalla Striscia alla frontiera egiziana. Dopo l’apertura dei giorni scorsi che aveva permesso un primo esodo verso il Sinai che riguardava civili muniti di doppio passaporto e palestinesi feriti gravemente, il governo egiziano aveva annunciato che avrebbe fatto passare altre 7.000 persone in lista di attesa.
Ieri sarebbe dovuto essere il quarto giorno consecutivo di apertura del valico, con poco più di 780 stranieri pronti a lasciare la Striscia, tra cui 55 egiziani, 386 americani, 151 tedeschi, 112 inglesi e 77 francesi, ma stando a quanto riferito dalla Bbc tutti coloro che si sono recati a Rafah hanno trovato i cancelli della frontiera sbarrati. Dall’esercito israeliano hanno fatto sapere inoltre che i miliziani di Hamas avrebbero sparato colpi di mortaio e missili anticarro sulla strada Salah Al Din, l’unico passaggio che l’Idf aveva lasciato libero per favorire il trasferimento dei civili da Nord a Sud della Striscia: «Questo dimostra ulteriormente come Hamas sfrutti la popolazione di Gaza e le impedisca di agire nell’interesse della propria sicurezza», ha affermato il portavoce delle forze militari israeliane. Secondo Haaretz, i terroristi di Hamas avrebbero anche provato a far uscire da Gaza alcuni combattenti cercando di confonderli tra i feriti: «Un alto funzionario statunitense ha detto che Hamas ha cercato di far uscire di nascosto i suoi combattenti da Gaza in ambulanze via Rafah, ritardando gli sforzi per evacuare i cittadini stranieri», ha scritto il quotidiano israeliano, secondo cui gli stessi funzionari americani avrebbero scoperto anche che un terzo dei nomi scritti sulla lista con le persone da evacuare dalla Striscia erano combattenti di Hamas.
Il segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres, ha rilasciato una dichiarazione al Guardian dicendo che «ormai nessun posto è sicuro a Gaza», aggiungendo di «non dimenticare gli attentati terroristici commessi in Israele da Hamas e gli omicidi, le mutilazioni e i rapimenti, anche di donne e bambini. Ma ora tutti gli ostaggi detenuti a Gaza devono essere rilasciati immediatamente e senza condizioni». La Cnn ha fornito una stima elaborata dall’inviato americano per le questioni umanitarie in Medio Oriente, David Satterfield, secondo cui un numero compreso tra le 800.000 e un milione di persone avrebbe già lasciato il Nord di Gaza ed è arrivato a Sud, con l’obiettivo di mettersi in salvo attraverso il valico di Rafah. Intanto dal vertice diplomatico andato in corso ieri ad Amman, in Giordania, a cui hanno partecipato il segretario di Stato americano Antony Blinken, il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, e l’omologo giordano, Ayman Safadi, è trapelata una notizia per quel che riguarda l’ingresso di carburante all’interno della Striscia. Secondo Satterfield sarebbe stato raggiunto un meccanismo concordato per portare la benzina a Gaza soltanto quando sarà finita. Un’eventualità fino a questo momento sempre respinta dal governo di Benjamin Netanyahu, preoccupato che il carburante possa finire nelle mani dei miliziani di Hamas, anziché per alimentare gli ospedali.
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Sotto i missili un ospedale per bambini, un istituto Unrwa e uno cattolico. Rasa al suolo la casa di un capo dei terroristi. L’Idf: «I jihadisti sparano sulla strada per gli sfollati». Vertice del generale Halevi nella Striscia.L’esercito ebraico ammette di aver fatto fuoco sui mezzi di soccorso. Ma accusa: «Sono usati dai fondamentalisti». Per reazione gli islamisti fermano l’esodo verso l’Egitto.Lo speciale contiene due articoli.Ieri è stata un’altra terribile giornata nell’inferno di Gaza, dove continua sempre più incessante l’assedio israeliano. L’esercito dello Stato ebraico ha condotto pesanti bombardamentio colpendo tra gli obiettivi, anche la casa del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, rifugiato da tempo in Qatar.In mattinata un raid aereo condotto dalle forze dello Stato ebraico ha colpito la scuola delle Suore del Rosario di Gerusalemme a Tel al-Hawa, un piccolo villaggio a Sud di Gaza City. A darne notizia è stata la preside dell’istituto, suor Nabila Saleh: «Questa mattina hanno colpito la nostra scuola danneggiando il grande cortile esterno e arrecando danni alle strutture circostanti. Purtroppo le comunicazioni sono interrotte in quella zona perché sono ancora in corso i bombardamenti ed è impossibile andare a vedere i danni subiti». Oltre alla scuola, che ospitava 1.250 alunni ed è la più grande di tutta la Striscia, secondo fonti vicine ad Hamas è stato colpito anche l’istituto scolastico al-Fakhura gestito dall’Unrwa, nel Nord della Striscia, nei pressi del campo profughi di Jabalia, dove avrebbero perso la vita 12 persone, tra cui tre bambini. Bombe israeliane sono cadute anche nella zona di piazza al-Khatiba, considerato il più influente centro teologico e universitario dell’islam sunnita a Gaza e dove è stata completamente distrutta la moschea Sheikh Zayed. Ma a suscitare più sdegno è stato un altro episodio di violenza, ovvero il raid su un convoglio di ambulanze a Gaza, fuori dall’ospedale per bambini al-Nasser che, secondo quanto comunicato dal ministero della Salute palestinese, controllato da Hamas, avrebbe causato almeno 15 morti e 60 feriti. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si è detto «inorridito» da questo attacco: «Il conflitto deve finire. Le immagini dei corpi sparsi sulla strada fuori dall’ospedale sono strazianti», ha scritto in una nota. L’Organizzazione delle Nazioni unite si è espressa anche attraverso la voce dell’Alto commissario per i diritti umani, Volker Turk, che ha condannato il «forte aumento di odio nel mondo dopo il massiccio attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre che ha scatenato una nuova guerra di Israele contro la Striscia di Gaza, con migliaia di morti tra i civili palestinesi».Anche Medici senza frontiere ha usato parole dure: «Abbiamo assistito a un ulteriore tragico evento in un flusso infinito di violenze inconcepibili. I ripetuti attacchi contro ospedali, ambulanze, aree densamente popolate e campi profughi sono vergognosi. Quante persone devono morire prima che i leader mondiali si sveglino e chiedano un cessate il fuoco? L’attacco mortale davanti al cancello dell'ospedale è terribile. Si tratta di un attentato letale davanti all’ospedale più frequentato di Gaza, dove il nostro personale lavora ogni giorno», si legge in un comunicato diffuso dalla Ong. A raccontare quanto accaduto è stato Mohammed Obeid, medico di Msf che presta servizio all’ospedale Al Shifa e che si trovava fuori dall’al-Nasser: «Eravamo dentro al cancello quando l’ambulanza è stata colpita davanti ai nostri occhi. C’erano corpi insanguinati ovunque. Molti sono morti sul colpo, mentre altri sono stati portati d’urgenza in sala operatoria». Dal canto suo Israele, si è difesa dalle accuse di aver volutamente bombardato obiettivi civili, dicendo che Hamas utilizza quelle ambulanze per nascondere i propri miliziani e trasportare delle armi. Versione, quest’ultima, supportata anche da fonti americane, secondo cui «Hamas ha cercato di far uscire con le ambulanze i suoi combattenti da Gaza via Rafah, rallentando così gli sforzi per evacuare gli stranieri». Inoltre, Il portavoce dell’Idf, dopo aver accusato Hamas di «sparare sulla strada per gli sfollati», avrebbe comunicato in arabo ai civili che l’esercito avrebbe permesso il passaggio sulla strada Salah al-Din dalle 13 alle 16 per spostarsi verso Suda: «Se hai a cuore te stesso e i tuoi cari, vai a Sud. Siate certi che i leader di Hamas si stanno già preoccupando di proteggersi». Intanto, secondo quanto riportato dalla Cnn, nei prossimi giorni la strategia militare di Israele vedrà diminuire i raid aerei per intensificare le operazioni tattiche di terra. Herzi Halevi, capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, ieri ha svolto all’interno della Striscia una riunione con le forze presenti sul posto, guidate dal comandante della divisione generale numero 162, Itzik Cohen. Ieri nel quartiere di Tel al-Hawa, a Sud di Gaza City, sono entrati i carri armati dell’esercito israeliano, dando vita a un violento scontro con i miliziani delle brigate al-Qassam. Per quanto riguarda invece il fronte a Nord, al confine con il Libano, le forze armate israeliane fanno sapere di aver colpito due commando di Hezbollah che stavano provando a lanciare razzi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gaza-cronaca-2666152385.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-hamas-blocca-luscita-agli-stranieri" data-post-id="2666152385" data-published-at="1699139361" data-use-pagination="False"> E Hamas blocca l’uscita agli stranieri Dopo il bombardamento sul convoglio di ambulanze all’ingresso dell’ospedale per bambini a Gaza City da parte dell’esercito israeliano, non si è fatta attendere la reazione di Hamas. Il gruppo terrorista che secondo Israele tiene in scacco la popolazione della Striscia, usandola come scudo umano, impedendo di rifugiarsi in aree sicure e a cui ruba cibo, acqua e carburante, ha bloccato il transito dei cittadini stranieri, impedendo loro di fatto di lasciare l’enclave palestinese attraverso il valico di Rafah al confine con l’Egitto. Secondo la Cnn, che ha citato un funzionario americano, questa decisione rimarrà in vigore fino a quando Israele non garantirà il passaggio delle ambulanze dalla Striscia alla frontiera egiziana. Dopo l’apertura dei giorni scorsi che aveva permesso un primo esodo verso il Sinai che riguardava civili muniti di doppio passaporto e palestinesi feriti gravemente, il governo egiziano aveva annunciato che avrebbe fatto passare altre 7.000 persone in lista di attesa. Ieri sarebbe dovuto essere il quarto giorno consecutivo di apertura del valico, con poco più di 780 stranieri pronti a lasciare la Striscia, tra cui 55 egiziani, 386 americani, 151 tedeschi, 112 inglesi e 77 francesi, ma stando a quanto riferito dalla Bbc tutti coloro che si sono recati a Rafah hanno trovato i cancelli della frontiera sbarrati. Dall’esercito israeliano hanno fatto sapere inoltre che i miliziani di Hamas avrebbero sparato colpi di mortaio e missili anticarro sulla strada Salah Al Din, l’unico passaggio che l’Idf aveva lasciato libero per favorire il trasferimento dei civili da Nord a Sud della Striscia: «Questo dimostra ulteriormente come Hamas sfrutti la popolazione di Gaza e le impedisca di agire nell’interesse della propria sicurezza», ha affermato il portavoce delle forze militari israeliane. Secondo Haaretz, i terroristi di Hamas avrebbero anche provato a far uscire da Gaza alcuni combattenti cercando di confonderli tra i feriti: «Un alto funzionario statunitense ha detto che Hamas ha cercato di far uscire di nascosto i suoi combattenti da Gaza in ambulanze via Rafah, ritardando gli sforzi per evacuare i cittadini stranieri», ha scritto il quotidiano israeliano, secondo cui gli stessi funzionari americani avrebbero scoperto anche che un terzo dei nomi scritti sulla lista con le persone da evacuare dalla Striscia erano combattenti di Hamas. Il segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres, ha rilasciato una dichiarazione al Guardian dicendo che «ormai nessun posto è sicuro a Gaza», aggiungendo di «non dimenticare gli attentati terroristici commessi in Israele da Hamas e gli omicidi, le mutilazioni e i rapimenti, anche di donne e bambini. Ma ora tutti gli ostaggi detenuti a Gaza devono essere rilasciati immediatamente e senza condizioni». La Cnn ha fornito una stima elaborata dall’inviato americano per le questioni umanitarie in Medio Oriente, David Satterfield, secondo cui un numero compreso tra le 800.000 e un milione di persone avrebbe già lasciato il Nord di Gaza ed è arrivato a Sud, con l’obiettivo di mettersi in salvo attraverso il valico di Rafah. Intanto dal vertice diplomatico andato in corso ieri ad Amman, in Giordania, a cui hanno partecipato il segretario di Stato americano Antony Blinken, il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, e l’omologo giordano, Ayman Safadi, è trapelata una notizia per quel che riguarda l’ingresso di carburante all’interno della Striscia. Secondo Satterfield sarebbe stato raggiunto un meccanismo concordato per portare la benzina a Gaza soltanto quando sarà finita. Un’eventualità fino a questo momento sempre respinta dal governo di Benjamin Netanyahu, preoccupato che il carburante possa finire nelle mani dei miliziani di Hamas, anziché per alimentare gli ospedali.
In alto a sinistra una «Rettungsboje» tedesca. Sotto, la boa Asr-10 inglese e i rispettivi esplosi
Nei mesi della Battaglia di Inghilterra, iniziata nel luglio 1940 dopo la rapida caduta della Francia, la guerra aerea fu l’essenza della strategia da entrambe le parti. La Luftwaffe, con i suoi 2.500 velivoli in condizioni operative, superò inizialmente la Royal Air Force, che in quel periodo iniziò un enorme sforzo industriale per cercare di ridurre il «gap» numerico e tecnologico (nacquero in quel periodo i fortissimi caccia Hawker «Hurricane» e Supermarine «Spitfire» che saranno decisivi per l’esito finale della battaglia). Se le fabbriche sfornavano centinaia di velivoli al mese (i tedeschi con i Messerschmitt Bf 109, gli Heinkel 111 e i Dornier Do17), i comandi delle due aviazioni non potevano formare altrettanti piloti in così poco tempo, rendendo la figura dell’aviatore un bene preziosissimo da preservare il più possibile viste le ingenti perdite in battaglia. Un aspetto così delicato in un momento così drammatico per l’esito della guerra fu affrontato per primo dagli alti comandi della Luftwaffe. La necessità era quella di salvare il più alto numero di equipaggi in un teatro di operazioni principalmente localizzato nello specchio di mare della Manica, sopra il quale nel picco dei combattimenti dell’agosto 1940 volavano quotidianamente oltre 1.500 aerei.
La soluzione per il salvataggio degli aviatori in caso di ammaraggio con sopravvissuti venne da un ex asso della Grande Guerra, il generale di squadra aerea Ernst Udet. L’ufficiale, secondo solamente al «Barone Rosso» Manfred von Richtofen per numero di abbattimenti, era stato da poco nominato responsabile per la logistica e gli appalti della forza aerea del Terzo Reich. Fu nel picco delle operazioni dell’estate 1940 che Udet sviluppò la sua idea: una boa «abitabile», posizionata nei tratti di mare statisticamente più soggetti agli ammaraggi e ancorata al fondale. I piloti potevano leggerne la posizione sulle carte aeronautiche in dotazione. Di forma esagonale, la «Rettungsboje» (letteralmente boa di soccorso) aveva una superficie abitabile di 4 metri quadrati. Lo scafo aveva un’altezza di 2.5 metri ed era sovrastato da una torretta finestrata di ulteriori 1,8 metri. Verniciata in giallo, presentava una visibile croce rossa (standard della Convenzione di Ginevra) sui lati della torretta. All’interno dello scafo potevano trovare alloggio sicuro quattro aviatori, con due cuccette a castello ancorate alla struttura per rimanere stabili nel mare agitato. Riscaldata da una stufa ad alcool, la boa offriva razioni d’emergenza e acqua ma anche cognac, sigarette e carte da gioco. Negli armadi erano presenti il kit di primo soccorso ed abiti asciutti, mentre le comunicazioni erano fornite da una radio ricetrasmittente. All’interno c’erano anche una pompa per eventuali falle e un canotto per raggiungere i soccorsi una volta giunti nei pressi della boa. Completavano l’equipaggiamento razzi di segnalazione e una macchina per i fumogeni di emergenza. Il personale ospitato dalle boe poteva resistere protetto dall’ipotermia e dai marosi anche per una settimana nell’attesa che un idrovolante di soccorso o una nave li raggiungesse.
Circa 50 furono le «Rettungsbuoje» dislocate nella Manica, contribuendo al salvataggio di un numero imprecisato di aviatori. Gli inglesi realizzarono un mezzo simile nello stesso periodo, seppure molto differente nella forma. La boa ASR-10 (Air Sea Rescue Float) assomigliava molto ad un motoscafo, seppur priva di propulsore. Era studiata per facilitare l’accesso da parte dei naufraghi in balia delle onde, con la poppa digradante verso l’acqua. L’equipaggiamento era molto simile a quello della boa tedesca. Dipinta in rosso e arancio vivaci, fu realizzata in 16 esemplari ancorati nel braccio di mare tra Inghilterra e Francia tra il 1940 ed il 1941. Oggi un esemplare è conservato presso lo Scottish Maritime Museum.
Le boe tedesche, dopo la fine della Battaglia di Inghilterra, furono spostate presso le Channel Islands, il piccolo arcipelago occupato temporaneamente dai tedeschi e utilizzate come punti di vedetta o di difesa dopo essere state munite di una mitragliatrice. A causa della loro vulnerabilità furono quasi tutte affondate dagli aerei della Raf. Un esemplare recuperato nel 2020 dopo essere rimasto per decenni arenato e insabbiato a Terschelling nelle isole Frisone occidentali è conservato al «Bunkermuseum» dell’isola olandese.
Ernst Udet, dopo l’esito infausto della Battaglia d’Inghilterra per la Luftwaffe, già in preda all’alcolismo cadde in depressione. Si tolse la vita a Berlino il 17 novembre 1941, forse anche per le conseguenze della pressione psicologica che Hermann Göring esercitò sull’ufficiale dell’aeronautica addossandogli la responsabilità della sconfitta.
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Stanno comparendo in diverse città italiane, graditi soprattutto alle giunte di centro sinistra e in particolare ai fanatici delle zone con limitazione di traffico a 30kmh. Basta una nottata e grazie a una serie di tasselli inseriti nell’asfalto l’installazione è fatta. Tutto bello? Non proprio: a ben guardare la normativa riguardante tale soluzione è Incompleta, poiché In Italia non sono previsti nel dettaglio dal Codice della Strada e questo rende la loro adozione più complicata sul pano della burocrazia. In pratica, per ora la loro installazione avviene solo tramite sperimentazione autorizzata dal Ministero dei Trasporti. Ci sono poi alcune questioni tecniche: andrebbero installati soltanto sulle strade con bassa densità di traffico e, appunto, laddove il limite è già 30 km/h, e questo giocoforza li rende una soluzione praticabile soltanto in alcune zone. Inoltre, i cuscini berlinesi devono essere posizionati a una distanza tale da curve e incroci per permettere ai veicoli più grandi di potersi raddrizzare completamente dopo aver effettuato la svolta prima di valicarli. Il peggio però è altro: se chi è distratto da aver superato di poco il limite, finendoci sopra rischia di danneggiare la vettura e ciò accadrà ancora di più se essa è poco rialzata da terra. Ma se la distrazione o le condizioni psicofisiche del conducente sono alterate al punto che egli non si sta rendendo conto della sua velocità, e questa è elevata, egli può facilmente perdere il controllo, ad andare bene finendo per sbattere contro altri mezzi, peggio finendo per travolgere delle persone. E non mancano neppure i problemi di manutenzione, poiché nel tempo si usurano a causa delle pressioni ma anche dell’irraggiamento solare e degli sbalzi di temperatura. Laddove sono stati applicati in modo diffuso è in Francia e nel Regno Unito, nazioni che ne hanno definito le specifiche riprendendo a loro volta quelle tedesche. Il Dipartimento per i trasporti del Regno Unito già nel 1984 aveva fissato la pendenza massima degli elementi al 12,5% per le rampe longitudinali di ingresso e di uscita dai cuscini, ed il rapporto del 25% per le rampe trasversali laterali. Stando a quanto si trova online, la Francia prevede rampe longitudinali con pendenze molto più elevate: le rampe devono essere lunghe 20 cm per cuscini alti 5 cm (con una pendenza del 25%), 25 cm per cuscini alti 7 cm (con una pendenza del 28%). Rampe così ripide devono essere adottate con cautela: indagini condotte dal Dipartimento dei trasporti britannico hanno mostrato che, con rampe longitudinali dalla pendenza maggiore del 17%, i veicoli rischiavano di toccare il con il fondo riportando seri danni: dalla distruzione dell’impianto di scarico fino alla rottura della coppa dell’olio con annesso sversamento del fluido e inquinamento. Di conseguenza essi devono essere particolarmente ben segnalati – tipicamente con verniciature gialle – ma anche tale caratteristica tende ovviamente a degradarsi con il tempo. E stante il livello di manutenzione delle nostre strade è facile prevedere che dovremo confidare nell’attenzione di chi guida e nell’illuminazione pubblica. Una delle questioni è anche come gli automobilisti reagiscono quando si accorgono in ritardo della loro presenza: frenate improvvise e repentine deviazioni di traiettoria sono all’ordine del giorno. Stando ai dati raccolti dalle municipalità che in Europa li stanno utilizzando da tempo la velocità media di superamento dei cuscini berlinesi di è di poco superiore ai 22 km/h per larghezze di 1,9 metri, mentre sale a 30 km/h per quelli più stretti, che quindi provocano nei conducenti meno apprensione per l’impatto sotto gli pneumatici. E di conseguenza illudono che l’effetto di un attraversamento accelerato sia inferiore. Invece il botto è garantito. Pur sapendo che taluni lettori non saranno d’accordo, chi scrive pensa che la sicurezza (stradale in primis), nasca dalla cultura della consapevolezza e non dalle costrizioni. E che più una strada è sgombra, più ridotto è il rischio di fare incidenti.
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Giovanni Malagò (Getty Images)
Adesso si trova in Campania, dopo esser passata tra Lazio, Umbria Toscana, Sardegna, Sicilia e Calabria. Molte regioni verranno ripercorse di nuovo, in lungo e in largo. Il 26 gennaio tornerà invece, dopo 70 anni esatti dalla Cerimonia d’Apertura dei Giochi, a Cortina d’Ampezzo e concluderà il suo tragitto a Milano facendo il suo ingresso allo Stadio di San Siro, la sera di venerdì 6 febbraio 2026. 10.000 tedofori la stanno conducendo tra volti noti e persone comuni. I primi volti noti dello spettacolo e dello sport sono il cantante Achille Lauro, Flavia Pennetta, icona del nostro tennis, vincitrice degli US Open 2015 e di 4 Billie Jean King Cup e Francesco Bagnaia, due volte campione del mondo di MotoGP e una in Moto2. Tantissimi altri ancora e altri ce ne saranno. Anche perché la storia del Viaggio della Fiamma è piena di leggende, come Muhammad Alì ad Atlanta 1996, Cathy Freeman a Sydney 2000 e poi ancora la fondista Stefania Belmondo, ultima tedofora di Torino 2006 vent’anni fa nell’ultima edizione invernale italiana, dopo le frazioni di altri campioni olimpici azzurri come Alberto Tomba, Manuela Di Centa, Silvio Fauner e Deborah Compagnoni (nella foto di copertina). Quattro anni prima, invece, l’intera squadra statunitense di hockey maschile del “Miracolo sul ghiaccio” di Lake Placid 1980 che accese il braciere di Salt Lake City 2002 tra la commozione del pubblico statunitense.
La fiamma olimpica nasce con le prime olimpiadi nell'antica Grecia, dove il fuoco sacro ardeva in onore degli dèi durante i Giochi originali. La tradizione moderna è stata reintrodotta con l'accensione del braciere ai Giochi Olimpici di Amsterdam nel 1928 e la prima staffetta della torcia a Berlino nel 1936. Le torce di #MilanoCortina2026 sono un omaggio al design italiano con uno stile che mette al centro la fiamma. Eleganti. Iconiche. Sostenibili. Si chiamano Essential e portano con sé lo spirito dei Giochi che verranno.
La fiamma paralimpica partirà invece il 24 febbraio 2026 e si concluderà il 6 marzo 2026, giorno della cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici all’Arena di Verona. Sfilerà nelle mani di 501 tedofori per 2.000 chilometri in 11 giorni. “La fiamma paralimpica verrà accesa il 24 febbraio a Stoke Mandeville in Inghilterra, storico luogo di nascita dello sport Paralitico - dichiara Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Fondazione Milano Cortina 2026 -. L’arrivo in Italia coinciderà con l’inizio di un viaggio che focalizzerà l’attenzione e l’entusiasmo verso le Paralimpiadi, amplificandone i messaggi di rispetto e inclusività, e generando un volano di entusiasmo, attesa e partecipazione intorno agli atleti paralimpici”. Dopo l'accensione nel Regno Unito, la fiamma paralimpica animerà 5 Flame Festival dal 24 febbraio al 2 marzo a Milano, Torino, Bolzano, Trento e Trieste, con la cerimonia di unione delle Fiamme il 3 marzo a Cortina d’Ampezzo. Dal 4 marzo, la fiamma raggiungerà Venezia e Padova, per fare il suo ingresso il 6 marzo all’Arena di Verona per la cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici.
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Tra Natale ed Epifania il turismo italiano supera i 7 miliardi di euro di giro d’affari. Crescono presenze, viaggi interni ed esperienze artigianali, con città d’arte e montagne in testa alle preferenze.
Le settimane comprese tra il Natale e l’Epifania si confermano uno dei momenti più redditizi dell’anno per il turismo italiano. Secondo le stime di Cna Turismo e Commercio, il giro d’affari generato tra feste, fine anno e Befana supera i 7 miliardi di euro. Un risultato che non fotografa soltanto l’andamento economico del settore, ma racconta anche un’evoluzione nelle scelte e nelle aspettative dei viaggiatori.
Nel periodo festivo sono attesi oltre 5 milioni di turisti che trascorreranno almeno una notte in una struttura ricettiva: circa 3,7 milioni sono italiani, mentre 1,3 milioni arrivano dall’estero. A questi si aggiunge una platea ben più ampia di persone in movimento: oltre 20 milioni di individui si sposteranno per escursioni giornaliere, soggiorni nelle seconde case o visite a parenti e amici.
Per quanto riguarda i flussi internazionali, la componente europea resta prevalente, con arrivi soprattutto da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Fuori dal continente, si segnalano presenze significative da Stati Uniti, Canada e Cina. Le preferenze delle destinazioni confermano una tendenza ormai consolidata. In cima alle scelte ci sono le città e i borghi d’arte, seguiti dalle località di montagna. Due modi diversi di vivere le vacanze natalizie: da un lato l’attrazione per il patrimonio culturale, i mercatini e le atmosfere urbane illuminate dalle feste; dall’altro la ricerca della neve, degli sport invernali e di un contatto più diretto con l’ambiente naturale.
Alla base di questo successo concorrono diversi fattori. L’Italia continua a esercitare un forte richiamo quando si parla di tradizioni natalizie: dai presepi, in particolare quelli napoletani, ai mercatini dell’arco alpino, passando per i centri storici addobbati e le celebrazioni religiose che trovano a Roma uno dei loro punti centrali. Un insieme di elementi che costruisce un’offerta culturale difficilmente replicabile. Proprio la dimensione religiosa e identitaria del Natale italiano rappresenta un elemento di attrazione per molti visitatori nordamericani e per i turisti provenienti da Paesi di tradizione cattolica, spesso alla ricerca di un’esperienza percepita come più autentica rispetto a celebrazioni considerate eccessivamente commerciali. A questo si aggiunge la varietà climatica del Paese: temperature più miti al Sud e nelle isole per chi vuole evitare il freddo, condizioni ideali sulle Alpi per gli amanti dello sci e della montagna. Un segnale particolarmente rilevante arriva dalla crescita delle cosiddette esperienze, soprattutto quelle legate all’artigianato. Sempre più viaggiatori scelgono di affiancare alla visita dei luoghi la partecipazione diretta ad attività tradizionali: dalla preparazione della pasta fresca alle lavorazioni del vetro di Murano, fino alla ceramica umbra e toscana. È un approccio che indica un cambiamento nel modo di viaggiare, meno orientato alla semplice osservazione e più alla partecipazione.
Questo interesse incrocia diverse tendenze attuali: il bisogno di autenticità in un contesto sempre più standardizzato, la volontà di riportare a casa un’esperienza che vada oltre il souvenir e l’attenzione verso il “saper fare” italiano, riconosciuto come patrimonio immateriale di valore internazionale.
Sul piano economico incidono anche fattori più generali. La ripresa del potere d’acquisto delle classi medie in Europa e negli Stati Uniti, dopo anni di incertezza, ha sostenuto la propensione alla spesa per le vacanze. Il rafforzamento del dollaro favorisce i turisti statunitensi, mentre la fase di stabilizzazione successiva alla pandemia ha contribuito a ricostruire la fiducia nei viaggi. Il periodo natalizio rappresenta inoltre uno degli esempi più riusciti di destagionalizzazione, obiettivo perseguito da tempo dagli operatori del settore. Le strutture ricettive registrano livelli di occupazione elevati in settimane che in passato erano considerate marginali. Anche i collegamenti giocano un ruolo chiave: l’espansione dei voli low cost e il miglioramento dell’offerta ferroviaria rendono più accessibili non solo le grandi città, ma anche destinazioni meno centrali, favorendo una distribuzione più ampia dei flussi.
Accanto ai dati positivi emergono però alcune criticità. La concentrazione dei visitatori rischia di mettere sotto pressione alcune mete, mentre altre restano ai margini. Il turismo di prossimità, rappresentato dai milioni di italiani che si spostano senza pernottare in alberghi o strutture ricettive, costituisce un bacino ancora parzialmente inesplorato. Allo stesso tempo, la crescente domanda di esperienze personalizzate richiede investimenti in formazione e una maggiore integrazione tra operatori locali.
Le festività di fine anno restano comunque un motore fondamentale per l’economia del turismo, in grado di coinvolgere l’intera filiera: ristorazione, artigianato, trasporti e offerta culturale. Un patrimonio che, per continuare a produrre risultati nel tempo, richiede una strategia capace di innovare senza snaturare quell’autenticità che rappresenta il vero punto di forza del sistema italiano.
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