Il Consiglio dei ministri non adotta l'obbligo in zona bianca, ma Comuni e Regioni si lanciano in restrizioni più dure. Dall'Alto Adige al Veneto fino al Lazio, gli amministratori scavalcano il governo e seguono l'Austria. Anche se i dati non giustificano tale allarmismo.
Il Consiglio dei ministri non adotta l'obbligo in zona bianca, ma Comuni e Regioni si lanciano in restrizioni più dure. Dall'Alto Adige al Veneto fino al Lazio, gli amministratori scavalcano il governo e seguono l'Austria. Anche se i dati non giustificano tale allarmismo.Una volta si sarebbe detto «fatta la legge, trovato l'inganno», ma il vecchio adagio necessita oggi di un aggiornamento. Perché a giudicare da quello che sta succedendo sul fronte mascherine, verrebbe da parafrasare con «trovato l'inganno ancor prima di fare la legge». Il Consiglio dei ministri di ieri pomeriggio, infatti, ha deciso che - ancora non si sa per quanto tempo - in zona bianca non ci sarà l'obbligo di indossare le mascherine all'aperto, obbligo peraltro caduto a suo tempo sotto i colpi unanimi e convergenti della comunità scientifica, che lo riteneva inutile in costanza di una robusta campagna vaccinale. Si dà il caso, però, che mentre la fazione più intransigente della maggioranza di governo e degli amministratori locali tornava alla carica per il ritorno della mascherina en plein air, la discussione sull'introdurre o meno la norma nel nuovo decreto perdeva progressivamente valore. Questo perché, a partire dall'Alto Adige, una serie di decisioni di sindaci e presidenti di provincia ha reso nei fatti superflua la determinazione del governo a escludere l'obbligo in zona bianca. Ma andiamo per ordine: nel provvedimento licenziato ieri dall'esecutivo sul super green pass che relega dal 6 dicembre al 15 gennaio (con proroga quasi sicura) i non vaccinati ai margine della vita sociale e sportiva, accordando a questi ultimi il solo diritto di lavorare e di spostarsi sui mezzi di trasporto (si presume solo per motivi di lavoro o familiari), come si è detto non c'è l'obbligo di indossare la mascherina in zona bianca. Quest'ultimo, stando alle norme vigenti, scatterà nel momento in cui una Regione passerà in giallo o in arancione, ragion per cui chi dovesse spostarsi nel periodo natalizio da una zona all'altra del Paese, dovrà riservare la massima attenzione alla situazione del «semaforo» e tenere in tasca la mascherina, se non vuole incappare nelle sanzioni previste. Tutto abbastanza chiaro, se non fosse per il fatto che, nel momento in cui scriviamo, l'Italia ha già cominciato ad assumere quella fisionomia a macchia di leopardo, che abbiamo già conosciuto nelle scorse ondate del virus, quando un manipolo di sindaci aspiranti sceriffi avevano scavalcato le disposizioni del governo centrale decretando la zona rossa per i territori sotto la loro giurisdizione. Così è successo già in Alto Adige, dove in una ventina di Comuni le ordinanze dei primi cittadini emuli dei vicinissimi austriaci hanno imposto l'obbligo della mascherina, e così sta succedendo in Veneto, dove i centri storici di Padova e Vicenza stanno per cadere sotto l'obbligo di mascherina all'aperto. Stessa storia ad Aosta e Aprilia, nel basso Lazio: nella città valdostana bisognerà indossare le mascherine da subito nei weekend, mentre in quella pontina l'obbligo è già realtà. Ma la cosa potrebbe riguardare anche le metropoli, come testimoniano le indiscrezioni lasciate filtrare dal sindaco di Milano, Beppe Sala, intenzionato per il periodo festivo a introdurre l'obbligo di mascherina all'aperto nel centro della città. Difficile immaginare, anche in virtù degli orientamenti già manifestati in passato, che una decisione del genere possa essere scartata dal sindaco della Capitale, Roberto Gualtieri. Se si parla di obblighi, poi, le parole del ministro della Salute, Roberto Speranza, e dello stesso premier, Mario Draghi, su una delle questioni più delicate in ballo per i prossimi giorni, e cioè la vaccinazione per i bambini lasciano intendere dove si andrà a parare, a dispetto della netta contrarietà espressa in merito dal leader leghista Matteo Salvini. Draghi ha infatti affermato, rispondendo ai giornalisti dopo il Cdm, che l'estensione agli under 12 «è all'attenzione del governo» e che «si sta aspettando la pronuncia dell'Ema, ma abbiamo deciso di iniziare campagna di comunicazione, perché ci possono essere resistenze sulla vaccinazione per i bambini». Come ha confermato il sottosegretario Pierpaolo Sileri: «Credo che la decisione verrà anticipata, insomma è imminente. E per loro non è previsto green pass o obbligo». Una decisione, quella dell'Ema, che quindi dovrebbe arrivare prima del previsto, favorendo l'accelerazione in questo senso. Sempre sul fronte vaccini, il Cdm di ieri ha sciolto i dubbi che persistevano sull'obbligo, che alla fine è stato esteso oltre che al personale sanitario, agli insegnanti e alle forze dell'ordine, ivi compresa la dose booster. Un contesto severissimo, che desta enormi perplessità sui controlli, soprattutto per quello che riguarda autobus, tram e metropolitane, per salire sui quali, per la prima volta dall'inizio della pandemia, occorrerà esibire il green pass. Il tutto, sullo sfondo di un quadro epidemiologico che se non può essere definito rassicurante, non giustificherebbe un giro di vite così clamoroso, almeno sul versante dei ricoveri: i dati presenti sul portale dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali indica che, a martedì scorso, la percentuale dei posti in terapia intensiva occupati dai malati di Covid era al 6 per cento, stabile negli ultimi giorni, mentre quella nei reparti ordinari era all'8 per cento.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
S’incrina il favore di cancellerie e media. Che fingevano che il presidente fosse un santo.
Per troppo tempo ci siamo illusi che la retorica bastasse: Putin era il cattivo della storia e quindi il dibattito si chiudeva già sul nascere, prima che a qualcuno saltasse in testa di ricordare che le intenzioni del cattivo di rifare la Grande Russia erano note e noi, quel cattivo, lo avevamo trasformato nel player energetico pressoché unico. Insomma la politica internazionale è un pochino meno lineare delle linee dritte che tiriamo con il righello della morale.
L’Unesco si appresta a conferire alla cucina italiana il riconoscimento di patrimonio immateriale dell’umanità. La cosa particolare è che non vengono premiati i piatti – data l’enorme biodiversità della nostra gastronomia – ma il valore culturale della nostra cucina fatta di tradizioni e rapporto con il rurale e il naturale.
Antonio Tajani (Ansa)
Il ministro degli Esteri annuncia il dodicesimo pacchetto: «Comitato parlamentare informato». Poco dopo l’organo smentisce: «Nessuna comunicazione». Salvini insiste: «Sconcerto per la destinazione delle nostre risorse, la priorità è fermare il conflitto».
Non c’è intesa all’interno della maggioranza sulla fornitura di armi a Kiev. Un tema sul quale i tre partiti di centrodestra non si sono ancora mai spaccati nelle circostanze che contano (quindi al momento del voto), trovando sempre una sintesi. Ma se fin qui la convergenza è sempre finita su un sì agli aiuti militari, da qualche settimana la questione sembrerebbe aver preso un’altra piega. Il vicepremier Matteo Salvini riflette a fondo sull’opportunità di inviare nuove forniture: «Mandare aiuti umanitari, militari ed economici per difendere i civili e per aiutare i bambini e sapere che una parte di questi aiuti finisce in ville all’estero, in conti in Svizzera e in gabinetti d’oro, è preoccupante e sconcertate».
La caserma Tenente Francesco Lillo della Guardia di Finanza di Pavia (Ansa)
La confessione di un ex imprenditore getta altre ombre sul «Sistema Pavia»: «Il business serviva agli operatori per coprire attività illecite come il traffico di droga e armi. Mi hanno fatto fuori usando la magistratura. Il mio avversario? Forse un parente di Sempio».
Nel cuore della Lomellina, dove sono maturate le indagini sull’omicidio di Garlasco e dove sono ora concentrate quelle sul «Sistema Pavia», si sarebbe consumata anche una guerra del riso. Uno scontro tra titani europei della produzione, che da sempre viaggia sotto traccia ma che, ora che i riflettori sull’omicidio di Chiara Poggi si sono riaccesi, viene riportata alla luce. A stanare uno dei protagonisti della contesa è stato Andrea Tosatto, scrittore con due lauree (una in Psicologia e una in Filosofia) e una lunghissima serie di ironiche produzioni musicali (e non solo) sul caso Garlasco. Venerdì ha incontrato Fabio Aschei, che definisce «uno con tante cose da raccontare su ciò che succedeva nella Garlasco di Chiara Poggi».






