2022-11-18
Il G20: «Green pass per sempre»
I grandi della Terra ci hanno preso gusto con il controllo. Al punto 23 della carta di Bali hanno teorizzato la necessità del passaporto sanitario aggiornato per poter viaggiare. «Standard tecnici e verifiche condivise» per concederci un diritto che avevamo già prima.Un «successo». Hanno scritto proprio così, i potenti della Terra. E di cos’è che hanno tessuto le lodi, i grandi riunitisi al G20 di Bali, tanto da impegnarsi a «capitalizzare» e a «costruire sopra» quel trionfo memorabile? Del green pass. Sì, del codice a barre con il quale, in Italia ma non solo in Italia, i governi hanno ricattato i cittadini che avrebbero dovuto proteggere. Costringendo i dubbiosi a porgere il braccio alle siringhe, alla faccia di decenni di menate progressiste su «il corpo è mio e lo gestisco io». Ciò dimostra che è tutt’altro che archiviata la stagione del passaporto sanitario, il simbolo di una discriminazione che correva dall’autobus al bancone del bar, fino a fabbriche, uffici, ospedali e case di riposo (dove, almeno nel nostro Paese, esso è ancora richiesto ai visitatori).Citiamo il punto 23 del documento uscito dal summit indonesiano. I leader mondiali volevano trarre qualche insegnamento dalla pandemia. Ma credete che, per questo, abbiano rinnegato la persecuzione dei dissidenti? Pensate che Justin Trudeau, l’uomo che, in Canada, bloccava i conti ai camionisti in protesta contro l’obbligo vaccinale, abbia giurato: «Nevermore», mai più? Che Emmanuel Macron, l’inventore della carta verde da esibire al ristorante, abbia ammesso: «Je me suis trompée», ho fatto una fesseria? Manco per idea. La lezione che hanno imparato le élite non è stata «più libertà», bensì «più controllo». Così, alla fine, i capi di Stato hanno firmato un testo che celebra «l’importanza di standard tecnici condivisi e metodi di verifica, nella cornice del Regolamento sanitario internazionale (2005), per facilitare viaggi internazionali senza restrizioni». Una gabola geniale: se ci impongono di dimostrare che siamo al passo con le iniezioni - a proposito, quante? Due? Tre? Cinque? Solo anti Covid o pure antinfluenzali? - è perché vogliono garantirci un diritto che già avremmo dovuto avere. Il diritto di muoverci. A tale scopo, i numeri uno del globo si sono aggrappati alla trovata più bieca dell’età del coronavirus: le «soluzioni digitali e non digitali, inclusi i certificati di vaccinazione». Un mezzo utile, a loro avviso, anche per «rafforzare la prevenzione e la risposta a future pandemie».Meno male che era un complottista, chi temeva fossimo precipitati nell’era delle emergenze perenni e dei dispositivi pervasivi di vigilanza. Qui, il G20 mette nero su bianco l’agenda politica del futuro: green pass per sempre. Grazie alla blockchain, la Cina è sempre più vicina.Al punto 24, poi, i leader hanno cristallizzato l’altra colonna del loro progetto. Tra un appello retorico all’«inclusione digitale» e un anelito a un «ambiente online resiliente», i pezzi da novanta hanno proclamato: «Riconosciamo l’importanza di contrastare le campagne di disinformazione». Una formula abbastanza generica per includere la lotta agli ubiqui hacker russi, come la censura di chi scrive sui social che i vaccini hanno effetti collaterali. Cosa volete: viviamo nel tempo delle «permacrisi» (lo dice l’Oms), nell’«era delle pandemie» (lo dice Ursula von der Leyen). La libertà, la privacy, la sovranità su sé stessi, la facoltà di spostarsi e lavorare ed esprimersi ed esistere, senza che serva un permesso del Leviatano 2.0, sono orpelli passati di moda. Al contrario, a sentire il G20, andrà molto di moda la tecnologia a mRna, da organizzare in strutture «hub and spoke» che bisognerà trasferire «in tutte le regioni del mondo». Un mondo bellissimo, eh: ognuno con il suo vaccino di nuova generazione, ognuno tenuto a mostrare prova di relativa inoculazione, pena la morte sociale. Immunizzare e premiare. Sorvegliare e punire. Dal canto suo, Giorgia Meloni aveva sollevato una cruciale questione di principio: di fronte alle situazioni di pericolo impreviste, aveva ammonito, non bisogna «cedere alla facile tentazione di sacrificare la libertà dei nostri cittadini in nome della tutela della loro salute». Si vede che i suoi omologhi la pensano diversamente. A certe condizioni, diventa complicato sottrarsi alla pressione del «consenso globale», alle spinte delle organizzazioni sovranazionali. Tanto che, nello stesso discorso, il premier ribadiva la propria fedeltà all’approccio One health dell’Oms, l’agenda che propone di collegare sanità e cura dell’ambiente. Bellissimo sulla carta, rischiosissimo nella pratica, se con la scusa di salvarci la vita arrivassero a lasciarci in mutande. In nome dell’ecologia. Ad ogni modo, la Meloni qualcosa lo può fare. Nel nostro Paese esiste una legge, varata dal governo Draghi, con la quale la validità del Qr code del green pass è stata prorogata di quasi tre anni. Il tesserino non è richiesto quasi più da nessuna parte, eppure il dispositivo tecnico per riproporlo resta attivo. Il governo cominci liberando nosocomi e Rsa dall’immotivata cappa del passaporto verde. Dopo, cancelli definitivamente il codice a barre. Se non lo fa - vista l’aria che tira nell’orbe terracqueo - saremo indotti a pensar male. Siamo seduti di fronte a un severo guardiano, che tiene una sul tavolo una pistola col colpo in canna. Magari non la vuole usare. Ma è sempre meglio scaricargliela.
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)