2021-07-23
Italia e Usa dividono il fardello green anche con i Paesi in via di sviluppo
John Kerry e Roberto Cingolani (Ansa)
G20: Cingolani e Kerry mirano ad allentare la pressione sul Pil caricando la transizione ecologica pure sugli Stati emergenti.È un asse che si va rinsaldando quello tra Italia e Stati Uniti. Prova ne è il G20 su Ambiente, clima ed energia apertosi ieri a Napoli. «È vitale che resistiamo alla tentazione di ricostruire le nostre economie sul modello pre-pandemia. Il Covid-19 ci ha offerto una possibilità di immaginare nuovi e migliori modi di organizzare le nostre società. Questo nuovo approccio richiede economie robuste, che tuttavia operino entro i limiti ambientali e sociali», ha dichiarato in apertura il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. «Le azioni chiave che dobbiamo prendere ciascuno di noi e tutti insieme», ha aggiunto, «includono soluzioni basate sulla natura per affrontare il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e la povertà; uso sostenibile e circolare delle risorse; educazione e formazione dei giovani; finanza sostenibile». Nell'occasione, il ministro ha avuto un incontro bilaterale con l'inviato statunitense per il clima, John Kerry. L'impressione è che, al di là delle dichiarazioni di intenti, l'asse tra Washington e Roma stia prendendo forma anche sotto un altro punto di vista. Ieri, il Financial Times ha infatti rivelato che Italia e Stati Uniti «intendono aumentare i loro contributi finanziari per aiutare i Paesi in via di sviluppo a combattere i cambiamenti climatici». Un focus, quello sui Paesi in via di sviluppo, che può prestarsi a differenti chiavi di lettura. In particolare, non sembra del tutto fuori luogo ritenere che i due Paesi stiano cercando di spalleggiarsi per diminuire la pressione sull'Occidente e dividere con nuovi partner il fardello green affinché risulti meno pesante per tutti.È vero che una tale interpretazione può apparire controintuitiva: sia il presidente americano, Joe Biden, sia il nostro premier, Mario Draghi, hanno infatti più volte ribadito il proprio impegno sul fronte ambientale. Eppure, se si guarda con attenzione, i dubbi non mancano. Ricordiamo che Biden ha sposato la battaglia ambientalista ai tempi della campagna elettorale, con l'obiettivo di accattivarsi le simpatie dell'ala sinistra del Partito democratico. Tuttavia parte importante del mondo industriale americano (soprattutto nel settore energetico) nutre significativi timori: timori che stanno trovando sempre più rappresentanza nel Partito repubblicano. Il che per Biden rappresenta un rischio notevole, specialmente in aree come il Texas: un rischio tanto più pressante, alla luce delle elezioni di metà mandato che si terranno a novembre 2022. Dall'altra parte, anche nel governo italiano sono arrivati degli inviti alla cautela. «Da qui a un decennio l'economia cambierà completamente, nasceranno nuovi settori, e altri -in base a questa sorta di eutanasia decisa dalla politica- moriranno: è già scritto. L'Europa ha voluto accelerare sul green, ma attenzione a non finire fuori strada», ha recentemente dichiarato il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Lo stesso Cingolani negli scorsi giorni ha fatto capire di essere intenzionato ad andare con i piedi di piombo. «È chiaro», ha dichiarato, «che c'è una grandissima opportunità nell'elettrificazione, ma pensate alla Motor Valley: la Commissione europea ha comunicato che anche le produzioni di nicchia, come Ferrari, Lamborghini, Maserati, McLaren, cioè le supersportive, dovranno adeguarsi al 2030 al full electric. Questo vuol dire che, a tecnologia costante, ad assetto costante, la Motor Valley la chiudiamo». La recente proposta di stop, arrivata dalla Commissione europea, alla vendita delle auto a benzina e diesel dal 2035 ha suscitato d'altronde irritazioni e perplessità nel settore automotive. Insomma le preoccupazioni ci sono. E acquisiscono un significato particolare soprattutto alla luce del fatto che provengano da due esponenti del governo ascrivibili ad aree politiche abbastanza differenti: segno che l'esecutivo italiano punti ad affrontare il problema in modo pragmatico, raffreddando i bollenti spiriti ecologisti dell'ala pentastellata. Del resto, la complessità della situazione è testimoniata dal caso Ilva: caso che, appena l'altro ieri, ha avuto il suo ennesimo sviluppo, con il Tar del Lazio che ha confermato il provvedimento del ministero della Transizione ecologica, in base a cui, il prossimo 31 agosto, la batteria 12 delle cokerie dovrà essere fermata. Ma gli ostacoli non si fermano qui. Se ieri si è raggiunta una posizione abbastanza coesa sull'ambiente, il G20 partenopeo dovrà oggi trovare una quadra sulla spinosa questione del clima, dove si registrano forti divisioni, oltre a reticenze da parte di Russia, Arabia Saudita e Cina. Un quadro complesso, in cui spicca il ruolo ambiguo proprio della Cina. Non a caso, martedì -parlando da Londra- Kerry aveva esortato Pechino a fare di più nei tagli alle emissioni. D'altronde, è anche con la scarsa affidabilità cinese che l'Occidente dovrà fare i conti nella sua rivoluzione verde.