2022-09-11
Il futuro è fossile. Le rinnovabili hanno costi devastanti
Secondo il nuovo libro di Alex Epstein gran parte del catastrofismo sulle energie tradizionali deriva da premesse «antiumane».Non si placa il dibattito sui combustibili fossili negli Stati Uniti. Il Congresso ha recentemente approvato l’Inflation reduction act: un mega pacchetto di misure sanitarie ed energetiche, basato di fatto su un compromesso. Da una parte è stato effettuato il più grande stanziamento di fondi alle energie rinnovabili della storia americana (ben 370 miliardi di dollari); dall’altra, sono state concesse nuove licenze di perforazione nel settore del gas e del petrolio. L’idea è in sostanza quella di coniugare ecologismo e sviluppo, evitando che la sacrosanta tutela dell’ambiente produca impatti socioeconomici perniciosi. Fatto sta che tale compromesso non è stato accettato dalle frange più radicali dell’universo ambientalista e il provvedimento è finito per questo nel mirino di numerose critiche. È in tale clima incandescente che sta facendo discutere il nuovo libro di Alex Epstein: parliamo di Fossil Future, uscito alla fine dello scorso maggio. Obiettivo centrale dell’opera è quello di mostrare come la demonizzazione delle energie tradizionali rischi di portare ad esiti particolarmente infausti. «I combustibili fossili oggi sono ampiamente descritti come una fonte di energia tra le tante, facilmente sostituibile con alternative, in particolare con le “rinnovabili” solare ed eolica», spiega l’autore. «Ma questa rappresentazione contraddice completamente la realtà. Perché alternative come il solare e l’eolico hanno cercato ferocemente di competere con i combustibili fossili per oltre cinquant'anni, eppure i combustibili fossili forniscono ancora l’80% dell’energia mondiale». In sostanza, secondo Epstein, l’idea di poter sostituire completamente le energie tradizionali con le rinnovabili non risulta praticabile, se non a costi economici e sociali devastanti. Questo poi non significa ignorare i problemi legati a petrolio e gas, cadendo in un ideologismo di segno opposto: significa semmai impostare razionalmente il problema sulla base di una considerazione costi-benefici. «Sia chiaro», scrive Epstein, «dobbiamo assolutamente studiare e considerare gli effetti collaterali negativi attribuiti ai combustibili fossili, come l’aumento delle ondate di calore, siccità, incendi, ecc. [...] Ma non possiamo prendere buone decisioni politiche su questi effetti collaterali, se non conosciamo i benefici che andranno persi nel tentativo di evitarli». Parole, queste, che dimostrano come l’etichetta di «negazionista climatico» affibbiata all’autore (anche alle nostre latitudini) non colga nel segno. È pur vero che una parte del mondo scientifico sembra andare in una direzione piuttosto catastrofista, quando si parla di energie fossili. Sotto questo aspetto, secondo Epstein, non bisogna imbracciare teorie pseudo o antiscientifiche, ma procedere con una critica epistemologica. Un determinato sistema di conoscenza, argomenta l’autore, può presentare aspetti fallimentari essenzialmente per due ragioni: o perché valuta senza tener presente l’intero contesto di un problema o perché valuta partendo da premesse teoriche fallaci (o quantomeno discutibili). Secondo Epstein, gran parte del catastrofismo sulle energie fossili deriva da premesse teoriche «antiumane». «Eliminare l’impatto umano, non far progredire la crescita umana, è l’obiettivo morale primario che guida il nostro sistema di conoscenza nel regno dell’energia», scrive Epstein. «Sia chiaro», prosegue l’autore, «eliminare l’impatto umano è un obiettivo morale antiumano. Gli esseri umani sopravvivono e prosperano influenzando la natura. Per vivere in un punto qualsiasi vicino al nostro livello attuale, abbiamo bisogno di trasformare in modo massiccio, avere un impatto sulla natura». Insomma, secondo l’autore il problema non sarebbe tanto di tipo scientifico, quanto - se vogliamo - morale e finanche metafisico. Parrebbe di capire che, se correttamente inteso, l’aspro dibattito sull’energia non sarebbe tanto da intendersi come un duello tra scienza e anti-scienza, quanto semmai come un duello tra un’impostazione etico-metafisica antiumana di marca naturalista e una favorevole allo sviluppo dell’essere umano nella sua complessità ambientale, sociale ed economica. In altre parole, lo scontro non è scientifico, ma valoriale e metafisico. Non mancano poi delle considerazioni di carattere geopolitico, soprattutto in riferimento alla questione cinese. «Mentre negli Stati Uniti ci viene detto che la Cina sta “mangiando il nostro pranzo” con il solare e l’eolico, la realtà è che la produzione di energia cinese è per l’85% da combustibili fossili. La Cina “mangia il nostro pranzo” non utilizzando l’energia solare ed eolica, ma utilizzando combustibili fossili, inclusa l’elettricità che è costituita per il 64% da carbone, per produrre l’energia richiesta dalla sua economia in crescita», scrive Epstein. Ne si condividano o meno le tesi, il libro di Epstein è interessante, ha il merito di uscire da schemi preconfezionati e influenzerà indubbiamente il dibattito americano sul tema dell’energia. L’autore è d’altronde particolarmente «attenzionato» da larga parte del mondo conservatore d’oltreatlantico: è stato recentemente intervistato dal celebre commentatore di Fox News, Tucker Carlson, e dal presidente della Heritage foundation, Kevin Roberts. Non è quindi da escludere che le tesi di Epstein possano avere in futuro un’influenza sui programmi politici del Partito repubblicano. Una questione, che dovrebbe essere posta anche in Italia, dove si scorge una certa carenza di intellettuali impegnati nel contrastare le tesi di un ecologismo politicizzato e astratto, oltre che incapace di considerare il concetto di «sostenibilità» nella sua complessità: ambientale, socioeconomica e geopolitica. Perché o si esce dall’ideologia o l’Occidente continuerà a pagare costi altissimi, ritrovandosi costantemente sotto il ricatto energetico dell’autocrate di turno.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
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Le persone sfollate da El Fasher e da altre aree colpite dal conflitto sono state sistemate nel nuovo campo di El-Afadh ad Al Dabbah, nello Stato settentrionale del Sudan (Getty Images)