2024-10-03
Sindrome di Fukushima archiviata. Tokyo riavvia le centrali nucleari
Il governo di Shigeru Ishiba ha dichiarato che il Giappone intende rimettere in funzione gli impianti chiusi dopo il terribile tsunami del 2011. Intanto la Svizzera si prepara a vendere la sua energia all’Unione europea.Due Paesi distantissimi tra loro e dalle culture profondamente diverse, Giappone e Svizzera, stanno sviluppando sull’energia alcune strategie interessanti, mentre l’Unione europea è invischiata nei costi e nei vincoli della transizione energetica. L’ideale asse Tokyo-Berna si ispira soprattutto alla sicurezza energetica.Cominciamo dall’Estremo Oriente. Ieri il neoministro dell’Economia, del Commercio e dell’Industria giapponese, Yoji Muto, parte del nuovo governo guidato dal primo ministro Shigeru Ishiba, ha affermato che il Giappone intende continuare a riavviare in sicurezza le centrali nucleari, chiuse dopo lo tsunami del 2011 che provocò l’incidente di Fukushima. «Possiamo utilizzare al massimo l’energia rinnovabile e riattiveremo l’energia nucleare, quella sicura, il più possibile», ha detto Muto durante un incontro con i giornalisti.Si tratta, intanto, di una scelta pragmatica che scavalca i timori relativi ad uno dei grandi rischi che il Giappone si trova ad affrontare, cioè i terremoti. Non a caso Muto ha insistito sul concetto di sicurezza.In secondo luogo, si tratta di una inversione di marcia rispetto ai proclami di Ishiba, che prima di essere nominato primo ministro si era battuto per eliminare del tutto l’energia nucleare. Evidentemente, una volta al governo, c’è stata la presa d’atto che la sicurezza strategica del Paese inizia dalla sicurezza energetica. Oltretutto, non è escluso che si voglia evitare una eccessiva esposizione alle tecnologie green, il cui mercato mondiale è dominato dalla Cina. Il Giappone, potenza economica con una banca centrale indipendente, è una sorta di portaerei occidentale nel Pacifico. La sua prossimità alla Cina lo rende particolarmente sensibile alle questioni legate alla sicurezza nazionale, di cui l’energia è un capitolo fondamentale. Ad oggi, circa i due terzi dell’energia elettrica consumata in Giappone derivano da gas e carbone. Il Giappone dispone di 54 reattori nucleari, ma solo undici sono in attività oggi, per una potenza di 10.700 MW e un volume fornito di energia elettrica pari al 9% del fabbisogno nazionale. Dopo l’incidente di Fukushima del 2011, tutti i reattori sono stati chiusi e solo il 10% di questi sono stati gradualmente riaperti a partire dal 2015. Le graduali riaperture degli impianti nucleari hanno permesso al paese di ridurre la propria dipendenza dal gas naturale liquefatto (Gnl). Le importazioni di Gnl lo scorso anno sono scese a 66,2 milioni di tonnellate (corrispondenti a 92,8 miliardi di metri cubi), in calo dell’8% rispetto al 2022, dopo aver toccato un massimo nel 2014 a 88,5 milioni di tonnellate. Dunque, sì alle fonti rinnovabili, dice il governo giapponese, ma senza energia nucleare il Paese non può funzionare e non è al sicuro.La Svizzera, dal canto suo, ha deciso di non uscire dal trattato Energy Charter Treaty, mentre l’Unione europea ne uscirà alla fine di quest’anno. Si tratta di un trattato che risale al 1994 e che aveva lo scopo di coinvolgere i Paesi dell’Est europeo (Russia compresa), fino a pochi anni prima stretti nel patto di Varsavia, nel mercato del gas europeo. L’Ue ne uscirà perché il trattato effettivamente è in netto contrasto rispetto alle politiche green dell’Unione, in alcune clausole in particolare.Ma se l’Unione europea ha già dato disdetta dal trattato (l’Italia ne era già uscita nel 2016), alcuni Paesi europei ritengono che con alcune modifiche esso possa restare in vigore. Anche la Svizzera, che è parte del trattato ma non dell’Ue, è schierata tra i Paesi che ritengono di poter emendare il trattato e renderlo compatibile con le politiche green. La Svizzera ritiene che il ritiro dal trattato non sarebbe nell’interesse della Confederazione per quanto riguarda la protezione degli investimenti e il diritto multilaterale sugli investimenti. Una posizione giustificata da un caso reale: in base al Trattato l’Azienda elettrica ticinese (Aet) l’anno scorso ha citato in giudizio il governo tedesco in relazione alla sua decisione di abbandonare il carbone, avendo investito 35 milioni di franchi in una centrale a carbone in Germania.Nel frattempo, grazie ad un accordo con l’Ue, la Svizzera potrebbe presto diventare una sorta di grande batteria elettrica al centro dell’Europa. Nel Paese, più del 55% dell’energia elettrica prodotta è da fonte idroelettrica, con una dozzina di grandi centrali che dispongono di complessi sistemi di pompaggio. Questi costituiscono una fonte di accumulo di energia a buon prezzo, con investimenti già più che recuperati in decenni di esercizio. Sinora, questo potenziale è stato in parte limitato dalla non perfetta integrazione della Svizzera nel sistema elettrico europeo. Mentre in Ue esiste un meccanismo di allineamento in sincrono dei mercati regolamentati all’ingrosso, la Svizzera importa ed esporta energia in base al sistema di aste della capacità di trasporto su base annuale o infrannuale. È alle viste un accordo tra Svizzera e Ue che permetterebbe l’accesso dell’energia svizzera al mercato europeo, consentendo così alla Confederazione di fornire sistemi di accumulo di cui l’Unione europea ha estremo bisogno. Se ne avvantaggerebbe soprattutto la Germania, che dispone di molta produzione eolica nel mare del Nord ma che ha i maggiori centri di consumo in Baviera. La disponibilità di accumuli geograficamente prossimi ridurrebbe i costi del sistema tedesco e allo stesso tempo, per la Svizzera, vi sarebbe un maggiore sfruttamento delle capacità di accumulo, rendendo più sicuro l’intero sistema elettrico europeo.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)