
Abbiamo lavorato insieme per dieci anni: isolato all'«Espresso», aveva ritrovato qui e a «Panorama» l'entusiasmo di un ragazzo.«Fai qualcosa o niente? Nel primo caso ti aspetto, nel secondo me ne vado, perché qui non rimango». Erano passati pochi giorni da quando ero stato licenziato e Giampaolo aveva scritto un articolo descrivendomi come la prima vittima della campagna referendaria renziana. Quella mattina di quattro anni fa lo avevo chiamato per ringraziarlo della generosa difesa, per di più sulla prima pagina della testata da cui ero appena stato allontanato. Ma Pansa non era tipo da troppe cerimonie e dunque tagliò corto: «Fai un giornale sì o no?». In realtà, il progetto di un nuovo quotidiano era poco più che una fantasia. Un paio di colleghi mi avevano instillato l'idea, ma non c'era nulla di più se non la voglia un po' velleitaria di una rivincita. Non so perché risposi di sì, cioè che il giornale l'avrei fatto. Forse per incoscienza o forse per non apparirgli pavido. Sta di fatto che Giampaolo fu da quel momento della partita. Ogni giorno mi chiamava per chiedermi quando saremmo usciti e quando avrebbe dovuto lasciare il foglio per cui scriveva una volta alla settimana il Bestiario: nonostante i suoi ottant'anni, aveva l'entusiasmo di un ragazzino.Tra me e lui era cominciato tutto molti anni prima, quando Giampaolo ancora non mi conosceva. Io ero uno studente che apriva gli occhi sul mondo della politica, del sindacato e dei grandi conflitti. Lui invece era già il celebre inviato del Corriere della Sera che aveva raccontato il disastro del Vajont e svelato lo scandalo Lockheed. Io leggevo le sue cronache delle assemblee studentesche alla Statale, lui raccontava il declino del Paese e gli albori degli anni di piombo. Passò del tempo prima che potessi stringergli la mano: dal Corriere si era trasferito a Repubblica e, scortato dal corrispondente locale del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, venne a Brescia a presentare il suo ultimo libro, Comprati e venduti, una storia sui giornali e il potere negli anni Settanta. Io cominciavo la carriera giornalistica: collaboratore di paese di un giornale di provincia, lui era a un passo dalla vicedirezione del quotidiano più brillante e dirompente che si trovasse in edicola. Ci vollero però molti anni perché Giampaolo e io ci ritrovassimo e iniziassimo a lavorare sotto lo stesso tetto. Il sangue dei vinti, cioè il racconto delle vittime dell'antifascismo, aveva avuto un successo senza precedenti, ma allo stesso tempo aveva contribuito a isolarlo all'interno del gruppo L'Espresso. Da principe del giornalismo - inventore di definizioni entrate nel linguaggio comune, come Balena bianca per la Dc e Coniglio mannaro per Arnaldo Forlani - Pansa divenne all'improvviso un reietto. Le polemiche con Giorgio Bocca sulla resistenza finirono per spingerlo ai margini, accusato come nella migliore tradizione comunista di revisionismo. Da direttore del Giornale lo invitai a cena, lui e Adele, la donna che prima lo accompagnò nel viaggio attraverso i crimini del dopoguerra e poi lo sposò. Da direttore di Panorama gli offrii di traslocare a Segrate con il suo Bestiario, andandolo a trovare nel ristorante affacciato sulla piazzetta del suo paese, da Daniela. Fu un lungo corteggiamento il mio, che si concluse nell'estate del 2009. Un anno prima Giampaolo aveva deciso di abbandonare l'Espresso, dove non si sentiva più a casa propria, accettando l'offerta di Antonio Polito, editorialista del Riformista della famiglia Angelucci. Era una sera di agosto quando mi telefonò: «Ho detto agli Angelucci che l'unico a poter salvare Libero sei tu». Risposi con una sola frase: «Io ci vado, ma tu vieni con me». Vittorio Feltri aveva lasciato per ritornare al Giornale e la direzione del quotidiano da lui fondato era vacante. Si trattava di una sfida difficilissima e rimanere a Panorama - nella casa accogliente della Mondadori - sarebbe stata la scelta più logica, ma l'idea di provarci e con un editorialista come Pansa al fianco mi parve irresistibile. Fu così che tutto cominciò, oltre trent'anni dopo il nostro primo incontro. A Libero sono stati anni entusiasmanti, anche se non l'abbiamo sempre vista allo stesso modo. Anzi, a dire il vero, su Berlusconi, Monti e Renzi abbiamo quasi sempre avuto opinioni diverse. Tuttavia, ancor più entusiasmanti sono stati gli anni della Verità. Anche qui non siamo quasi mai andati d'accordo. Una volta, per averlo difeso dalle minacce di morte sui social, per un giorno si rifiutò di parlarmi, dicendo che avevo dato troppo peso a idioti che ce l'avevano con lui per i libri sulla resistenza. Ma ai lettori questo dualismo tra noi, questo coro a più voci con cui si esprimeva il loro quotidiano, piaceva. Il Bestiario era atteso con religiosa puntualità. Un giorno Giampaolo ne scrisse uno su Renzi e la Boschi e io fui costretto ad avvertirlo: «Io lo pubblico e in tribunale verrò con te, a difenderti. Ma sappi che ciò che hai scritto sono una querela e una condanna assicurate». Brontolò un po', dicendo che nella rubrica non c'era nulla che potesse essere considerato diffamatorio, poi però, dopo essersi consultato con Adele, il suo faro, mi telefonò per dirmi di non pubblicarla. Non vedendo l'articolo i lettori si allarmarono e Giampaolo mi ordinò di dire a tutti che era malato e dunque indisposto a scrivere.Non fu l'unico screzio, perché dopo Renzi arrivò Salvini. Per me, del leader padano poteva scrivere ciò che gli pareva e quasi sempre scriveva peste e corna, perché il nuovo capo del Carroccio, con i suoi modi bruschi e le parole fiammeggianti, lo preoccupava. Parte dei lettori non apprezzava il pregiudizio antileghista, ma evitavo di mostrargli le lettere che giungevano in redazione. Tuttavia non fu sufficiente, perché un giorno mi annunciò che avrebbe sospeso la collaborazione: non gli piaceva la linea del giornale. In particolare, non aveva gradito che un giorno, a seguito della chiusura dei porti ordinata dal ministro dell'Interno per fermare gli sbarchi di immigrati, avessi scritto Forza Salvini. Provai a convincerlo a ripensarci, presentandomi sotto casa sua senza preavviso e invitando Adele e lui a pranzo, ma durò qualche settimana: alla fine decise di interrompere il Bestiario. Il nostro però non fu un addio, ma un arrivederci, perché pochi mesi dopo mi richiamò, proponendomi di ricominciare: non più alla Verità, ma a Panorama, che nel frattempo avevamo acquistato e di cui io ero di nuovo diventato direttore. «Se me darai l'occasione, farò una rubrica anarchica, che non avrà riguardi per nessuno». Purtroppo, in quei mesi non ebbe riguardi soprattutto per Salvini, per il quale pronosticava un futuro da dittatore, con conseguenti sciagure di ogni tipo per l'Italia. La sua era diventata una specie di ossessione che finì per irritare anche molti lettori, i quali minacciarono di non comprare più Panorama. Provai a spiegarglielo, ma mi rispose che anche Scalfari riceveva lettere di protesta a seguito dei suoi articoli, però non se ne curava. Questa volta, con dolore, fui io a interrompere la collaborazione. Sapevo che me ne sarei pentito e me lo sarei rimproverato, ma sapevo anche di non avere scelta: tra Giampaolo e i lettori, alla fine ho scelto questi ultimi. Ora che è morto posso solo piangerlo. È stato il giornalista che ho amato di più. Di lui mi restano i tanti insegnamenti e l'ultimo abbraccio che gli diedi sulla piazza di San Casciano, il paese dove aveva scelto di vivere con la sua Adele e dove oggi verrà sepolto.
Ansa
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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