2022-07-01
«Frumento in mano agli speculatori mentre la Cina si accaparra tutto»
Nel riquadro, Valerio Filetti (IStock)
Il presidente della Borsa merci di Bologna Valerio Filetti: «Le forniture estere restano necessarie per soddisfare i consumi interni di pasta. Pechino è passata dal 25 al 50% delle scorte mondiali. Energia e carburanti sono triplicati».La trebbiatura dei frumenti teneri e duri, nella penisola, è a un passo dalla conclusione ma, per quanto i raccolti elevino il livello del granaio nazionale, il Paese, per colmare il proprio deficit strutturale, dovrà insistere nel rincorrere i produttori esteri e dribblare gli ostacoli della difficile congiuntura. Tuttavia, l’allarme rosso sul venir meno degli approvvigionamenti delle più strategiche commodity agricole, insorto dopo il 24 febbraio 2022, inizio della guerra russo-ucraina, è parzialmente rientrato. Le quotazioni, tuttavia, sono alle stelle, mai così, a prezzi attualizzati, neanche durante le due guerre mondiali. Mentre grandi player mondiali, come la Cina, rafforzano le riserve, il problema della filiera cerealicola che resta senza concrete prospettive di soluzione riguarda i costi proibitivi di energia e carburante. È questa, in sintesi, l’opinione di Valerio Filetti, presidente della Borsa Merci di Bologna (Ager), la più importante in Italia nella contrattazione dei cereali.A che punto è la raccolta di grano in Italia?«Quella di frumento duro, soprattutto in Puglia, è sostanzialmente terminata, mentre nel Settentrione il tenero è a metà trebbiatura. Per entrambe le categorie si osserva un calo stimabile delle rese con punte del 25-30%». Nelle ultime sedute della Borsa di Bologna come si sono attestati i prezzi di grano duro, tenero e mais?«Per il duro, fino a 540 euro a tonnellata, rispetto ai 300 dell’estate 2021. In questo caso, l’effetto inflativo non è legato alla guerra, ma al calo produttivo in Canada. Il conflitto ha inciso invece sul prezzo del tenero, ora a 380 euro per quello base, quasi raddoppiato. Il mais, che si sarchierà ad ottobre, fondamentale per l’industria mangimistica, ha avuto picchi di 400 euro a tonnellata, +80%».Per quali materie prime agricole, in questo momento, si pongono problemi di approvvigionamento?«Per il grano duro Russia e Ucraina non c’entrano e l’Italia continuerà a importare da Canada e altri Paesi. Per il tenero, ci si orienta su Paesi del Centro Europa, e anche dell’Est, come Romania, Moldavia e Bulgaria. Inoltre dall’Ucraina arrivano carichi via treno e gomma. Il mais, con le deroghe Ue, si prenderà dagli Stati Uniti. Pertanto, per queste tre tipologie merceologiche non si pongono problemi di disponibilità. Il problema che sussiste è per il girasole, di cui Russia e Ucraina detengono il 70% della produzione mondiale e l’Italia deve importarne, per il suo fabbisogno, 800.000 tonnellate, a fronte di un’autoproduzione di 200.000. Al momento si sopperisce anche con olio di colza e palma o altri derivati». Si è fatto un gran parlare dell’aumento degli ettari potenzialmente coltivabili a cereali anche in Italia, deciso dall’Europa…«L’Italia importa il 50 per cento del grano. Queste decisioni, a mio avviso, non possono risolvere il problema. Se queste superfici non sono coltivabili significa che coltivarle non conviene». Appare piuttosto evidente che sono in atto forti fenomeni speculativi. Anche la Borsa di Bologna è influenzata dall’andamento del principale mercato di contrattazione, ossia Chicago? «I fenomeni speculativi, in momenti come questo, sono inevitabili. Certo, i listini di riferimento per la formazione delle quotazioni sono quelli del Chicago board of trade. L’Italia deve confrontarsi con il mercato globale e non può farne a meno, considerata la sua dipendenza dall’import. E non può pensarsi come un Paese in grado di spostare l’ago della bilancia. Inoltre i produttori, come quelli di pasta, cercano non il miglior prezzo, ma la qualità superiore, ed essa può essere individuata anche in grani esteri, non necessariamente nazionali». Il frumento tenero è una delle commodity più strategiche a livello mondiale. Chi è messo meglio?«Stiamo osservando quanto sta facendo la Cina, che da un anno a questa parte è passata da detentrice del 22-25% delle scorte mondiali di grano tenero, all’attuale 50-55%. Qualcuno potrebbe pensare che questo Paese sapesse prima ciò che sarebbe accaduto».Uno dei prodotti essenziali della tavola degli italiani è la pasta. Vista la situazione, il suo prezzo crescerà?«Se si considera che gli italiani consumano circa 20-22 chili di pasta pro capite l’anno e che il prezzo della pasta ha registrato aumenti medi di 40-50 centesimi al chilo, ciò si tradurrà in circa 8-10 euro in più all’anno. Il problema più grave da risolvere è un altro…».Quale?«I costi dell’energia e del carburante, triplicati. Gli oneri del trasporto su gomma sono cresciuti del 25-30%. Ciò sta mettendo in ginocchio le strutture di trasformazione, i molini, e i mangimifici».
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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