2025-02-18
Sì all’arresto: molla il sindaco caro a De Luca
Finalmente, dopo che la Cassazione ha confermato i domiciliari, Franco Alfieri, primo cittadino di Capaccio Paestum, ha lasciato la poltrona. È decaduto anche da presidente della Provincia di Salerno. Il «re delle fritture» è coinvolto in un’inchiesta sugli appalti pilotati.Non voleva mollare le poltrone, nemmeno con le restrizioni disposte dal giudice che l’aveva privato della libertà disponendo gli arresti domiciliari. Franco Alfieri, il sindaco di Capaccio Paestum e presidente della Provincia di Salerno incappato in un’indagine su presunti appalti truccati per la pubblica illuminazione, ha rassegnato le dimissioni da primo cittadino, decadendo automaticamente dalla carica di presidente provinciale, solo quando la Corte di cassazione gli ha sbattuto la porta in faccia, confermando la detenzione. L’ultimo atto di una sceneggiata durata quattro mesi, tra sospensioni, pressioni politiche, richieste dell’opposizione e un silenzio imbarazzante da parte dei suoi padrini politici, a partire dal governatore della Campania Vincenzo De Luca. Di De Luca Afieri era stato capo della segreteria politica, tanto che il governatore lo elogiò pubblicamente come maestro dell’arte della clientela in occasione del referendum costituzionale che costò il posto da premier a Matteo Renzi: «Franco, portali a votare, offri una frittura di pesce, fai quel che vuoi, ma porta voti». E chi meglio di Alfieri sapeva come fare? Eletto con percentuali bulgare, l’87,3%, il sindaco, stando all’inchiesta, ha dimostrato di saper maneggiare il consenso (e non solo) come pochi. Poi, da capopopolo, ha guidato i sindaci della sua zona in piazza, a Roma, per chiedere al governo lo sblocco dei fondi di Coesione e sviluppo, nel giorno in cui De Luca apostrofò come «stronza» Giorgia Meloni. E, sicuro del suo consenso, anche dopo l’arresto, il 3 ottobre, per l’inchiesta della Procura di Salerno che lo accusa, insieme con la sorella e al suo ex capo dello staff, di corruzione e turbativa d’asta, Alfieri ha tentato in tutti i modi di restare aggrappato alle sue postazioni. Anche quando la Procura ha chiesto il rito immediato, ritenendo che nelle carte raccolte ci fosse l’evidenza della prova.Venerdì scorso, però, la Cassazione ha rigettato la sua richiesta di revoca della misura cautelare. Game over. Ora bisognerà attendere le motivazioni. Sotto la lente sono finite due gare per l’illuminazione pubblica a Capaccio-Paestum, aggiudicate alla Dervit spa, società che secondo gli inquirenti sarebbe riconducibile alla famiglia del sindaco. Negli atti giudiziari (oltre 22.000 pagine) si parla di procedure negoziate, di aziende amiche invitate a partecipare solo per far numero, con una sceneggiatura già scritta fin dall’inizio. Di ribassi minimi rispetto all’asta, quel tanto che basta per rispettare le formalità, ma che lasciavano la porta aperta a ulteriori «perizie di variante». E per rendere le cose ancora più limpide, il sindaco, per non perdere un finanziamento pubblico, dichiarò ufficialmente alla Regione Campania che il Comune gestiva in house l’impianto di illuminazione, quando invece era gestito da un’associazione temporanea di imprese. Eppure, nel suo addio, Alfieri si dipinge come una vittima sacrificale, travolta da un’inchiesta ingiusta e costretto a farsi da parte per «responsabilità». Nella sua lettera di dimissioni parla di «sofferenza e tristezza» e ringrazia tutti, dai dipendenti comunali ai cittadini. Per poi aggiungere: «Enti e comunità che debbono proseguire il cammino di progresso, sviluppo e crescita avviati in questi faticosi ma avvincenti anni, senza essere condizionati dalle mie azioni, decisioni e comportamenti per tutto e in particolare per questi mesi, di mia assenza». Infine l’annuncio: «Il tempo restituirà la verità». Le dimissioni da sindaco diventeranno irrevocabili dopo 20 giorni dalla presentazione. A quel punto il prefetto di Salerno Francesco Esposito potrà avviare l’iter per lo scioglimento del Consiglio comunale di Capaccio e per la nomina del commissario prefettizio che resterà in carica fino alla prima tornata elettorale utile. Procedura diversa, invece, riguarderà la Provincia di Salerno dove si tornerà al voto per l’elezione del solo presidente entro 90 giorni dalla data delle dimissioni e quindi, presumibilmente, entro metà maggio. Intanto, però, in virtù del rito immediato, davanti al Tribunale di Salerno si è già svolta la prima udienza (il 4 febbraio scorso) del processo sui presunti appalti pilotati e sui favoritismi. Nel frattempo, nel Pd si è consumata l’ennesima farsa. Il commissario campano Antonio Misiani, fedele al segretario Elly Schlein e in rotta di collisione con il gruppo De Luca (il governatore di recente ha affermato che il commissario ha «sequestrato il Pd in Campania»), ha sottolineato che Alfieri doveva dimettersi per «rigore e rispetto dell’opinione pubblica». La situazione deve essere stata valutata come particolarmente imbarazzante, visto che Misiani si è sentito costretto ad affermare: «Lo dico nel rispetto del principio di presunzione di innocenza, perché questo è un tema di rigore e di faccia di questo partito, non di caccia alle streghe». Peccato che dalla federazione provinciale del Pd di Salerno, che è ancora stretta attorno al governatore, non abbiano battuto ciglio.
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