2023-07-01
Ancora violenze, Macron «chiude» la Francia avvelenata dal meticciato
Scontri a Nanterre, periferia di Parigi (Ansa)
Lo scrittore Laurent Obertone: «Si credeva, con la sottomissione, di disinnescare la rivolta. Ovviamente è successo il contrario. Il governo pagherà a lungo il prezzo della sua debolezza». Lo stesso buonismo fa danni in Italia.È fin troppo facile, oggi, fare l’elenco di coloro che avevano previsto tutto: la rabbia delle banlieue, le auto in fiamme, le battaglie nelle strade, il governo che tenta di mostrare le zanne con grottesco ritardo. Il romanziere Laurent Obertone ha raccontato con anni di anticipo quando sta accadendo in questi giorni per le strade di Nanterre. Il primo capitolo della sua trilogia Guerriglia risale al 2016, e questo giornale ne aveva pubblicato alcuni capitoli al momento della pubblicazione in Italia da parte dell’editore Signs. In effetti, la coincidenza tra il libro e la realtà impressionante. «Sì, le somiglianze sono sorprendenti», dice oggi Obertone a Yann Vallerie. «Il governo è altrettanto codardo, le periferie altrettanto pronte ad incendiarsi, il cittadino altrettanto passivo, la polizia altrettanto imbavagliata, i media e altri imbroglioni di sinistra altrettanto perfetti nella loro attiva complicità... Non so se si tratti di una prova generale o di una vera e propria guerriglia, ma come dico da tempo questo Paese è una tanica di benzina a cui manca solo una scintilla. E non sto parlando di una guerra civile: la popolazione indigena si accontenterà di guardare la partita in tv, prima di asciugarsi la fronte e pagare il conto. Ci saranno forse alcune vittime che saranno dimenticate, come i signori Le Chénadec e Irvoas nel 2005. E quelle non avranno un minuto di silenzio all’Assemblea». Il riferimento è alle vittime dimenticate della rivolta delle banlieue del 2005. Jean-Jacques le Chenadec, 61 anni, abitante di Stains, era sceso in strada per fermare alcuni giovani che stavano dando fuoco ai bidoni della spazzatura. Fu ammazzato per questo (l’assassino se la cavò con 5 anni di carcere). Jean-Claude Irvoas, 56 anni, stava scattando foto a Epinay-sur-Seine. Gli spacciatori del quartiere pensarono che fosse un poliziotto mandato a controllarli: in quattro lo pestarono a morte. Vale la pena ricordare questi episodi per comprendere che il disastro di queste ore era ampiamente annunciato, frutto marcio delle politiche liberal progressiste. La formula, in fondo, è sempre la stessa: immigrazione selvaggia prima in nome del meticciato e del multiculturalismo, disagio a pioggia poi nel momento in cui gli immigrati vengono confinati nei ghetti periferici. Il vittimismo e le inutili (ma cospicue) spese per l’integrazione hanno fatto il resto, decretando il fallimento dell’assimilazionismo alla francese. Ad alzare le fiamme ci si è messo, in aggiunta, l’identitarismo di ritorno: come ebbe a scrivere Olivier Roy, abbiamo assistito alla «islamizzazione del radicalismo». Più in generale chi si sentiva ai margini della società francese, immerso in una cultura notevolmente diversa, ha accentuato le differenze rifugiandosi in una alterità estremizzata. Si tratta sostanzialmente della stessa ipocrisia con cui da anni abbiamo a che fare in Italia. Una volta creata ad arte la situazione di disagio potenzialmente esplosiva, le autorità reagiscono con ridicolo buonismo, evitando di prendere provvedimenti severi quando servirebbe. Salvo poi cercare la soluzione militare e repressiva quando la rabbia dei quartieri è già deflagrata. Nel caso di Nanterre è difficile giustificare l’assassinio del diciassettenne Nahel, anche se guidava un’auto da 70.000 euro senza patente su una corsa preferenziale. Ed è difficile negare che la rabbia sociale abbia motivazioni persino condivisibili, tanto che le proteste ormai da tempo non coinvolgono solo i simil proletari delle banlieue ma pure la classe media in via di cancellazione. Tuttavia è troppo facile cavarsela crocifiggendo il singolo agente. «Sul fatto che sia stato premuto il grilletto», dice Laurent Obertone, «è difficile giudicare. La vigliaccheria politica e giudiziaria permette che ogni giorno la polizia affronti casi simili, che a volte finiscono con la morte di passanti innocenti. Quello che osservo è che le conseguenze politiche e mediatiche sono eloquenti. Si credeva, con la sottomissione, di disinnescare la rivolta. Ovviamente è successo il contrario. Il governo pagherà a lungo il prezzo della sua debolezza. Ma è già così quotidianamente, con questo disastroso lassismo giudiziario interpretato come licenza di impunità. Finché colpisce solo il cittadino onesto, al governo non interessa. L’esecutivo potrebbe riguadagnare popolarità se rispondesse con vera fermezza. Ma è terrorizzato dalla situazione, dalle possibili vittime e dalle campagne mediatiche. L’unica cosa che gli interessa, come sempre, è insabbiare lo scandalo, in attesa di un momento più favorevole. Ci saranno quindi solenni promesse e discorsi, progetti di legge... Poi tutto continuerà come sempre, fino al prossimo episodio». Quella di Obertone non è sfiducia: è realismo. Sulle periferie francesi si ragiona da decenni, e sempre negli stessi termini. Quando Guerriglia fu pubblicato, il romanziere venne accusato di soffiare sul fuoco e fomentare l’odio razziale. Eppure ha avuto ragione lui. Persino Il Manifesto, ieri, parlava di rivolta di classe e razziale. Il fatto è che le identità - ci piaccia o meno - non si possono cancellare. E se vengono messe a bagno nel brodo unto del disagio sociale diventano feroci, capaci di creare guerre civili. Anzi, guerriglie.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)