2021-06-30
Francia a casa: con 17 Paesi d’origine è un’impresa anche trovare la strada
Kylian Mbappé dopo il rigore sbagliato contro la Svizzera (Getty Images)
La selezione transalpina è vittima del multiculturalismo forzato. I campioni non servono, se manco si parlano. Alla fine lite in tribuna fra la madre di Rabiot e i parenti di Pogba e Mbappé, la realtà infrange i sogni buonisti.Sono tornati a casa con la baguette sotto l'ascella. Oggi il più abbacchiato dopo Kylian Mbappé è il rapper militante con la crocchia che un mese fa aveva inventato l'inno parallelo buonista, antifa, multicult. Il brano era stato adottato dall'équipe de France in ritiro e Youssoupha (ognuno ha il Fedez che si merita) ha avuto un ritorno d'immagine pazzesco, soprattutto dopo che Marine Le Pen si era affrettata a dire: «È un insulto, non rappresenta nessuno». La prima zuffa politica. Il primo segnale di un avvelenamento del clima dentro lo squadrone di Didier Deschamps; il presidente della federazione Noël Le Graët aveva preso le distanze dalla canzonetta («Non merita commenti, questa è politica») per parare il colpo. Quello che non è riuscito a Hugo Lloris contro la Svizzera. E la Torre di Babele è crollata.«Anéantis», titola L'Équipe. I campioni del mondo, più presuntuosi che forti, sono stati annientati dalla piccola Svizzera mai doma, ma prima ancora dalla loro superbia. Dalla certezza tossica di chi vuole salire fino al dio del pallone parlando lingue calcistiche diverse, non pensando con la stessa umiltà, prigioniero dell'ego ipertrofico. Antoine Griezmann, Paul Pogba, Adrien Rabiot sono membri onorari del club dell'ombelico, simboli di un individualismo autolesiosistico. In questi Europei la loro somma non ha mai fatto tre, ma due e mezzo. E se l'unico a inseguire tutti è N'Golo Kanté, alla lunga lo sfianchi e perdi. La Francia torna a casa perché è una collezione di grandi giocatori di 17 paesi d'origine, senza un destino comune. Senza ciò che gli svizzeri allo specchio hanno mostrato in abbondanza: coesione e identità. D'intenti, di valori, di metodi per raggiungere l'obiettivo. Oggi la Tour Eiffel è rossocrociata. Nella notte di Bucarest si è capito che per vincere non basta ammucchiare diversità e spacciare per liberalismo la perdita d'identità come piace a Enrico Letta e a Laura Boldrini. Serve un'uguale percentuale di sacrificio, una distinzione di ruoli, un'armonia di fondo fra chi macina chilometri e chi tira il rigore decisivo (e magari lo sbaglia). Il modello di «selezione globale» che nel 2018 in Russia era un vanto, oggi ha fallito. Oggi vanno a mille Svizzera e Repubblica Ceca, Danimarca e Svezia. E l'Italia che vince soffrendo è perfetta per affrontare l'altra corazzata global dei buoni per decreto, il Belgio inginocchiato di Romelu Lukaku. Così presuntuosi, i francesi, da litigare tutti con tutti. Brutto spettacolo alla fine, quando la mamma di Rabiot ha preso a male parole in puro stile campetto di periferia i parenti di Pogba («Come ha fatto a perdere quella palla?») e il padre di Mbappé, che secondo la sulfurea Veronique «dovrebbe dire al figlio d'essere meno arrogante». Ne è nata una gazzarra da ballatoio alla Défense, segnale di un malessere profondo. Eppure Emmanuel Macron, che tre anni fa aveva cavalcato il trionfo multietnico per placare le banlieues, nella sua visita a Clairefontaine a inizio giugno aveva intuito il pericolo. «Siamo i più forti ma non lasciate nulla al caso. Vincerà chi metterà il gruppo davanti alle individualità. La forza vera è sacrificarsi l'uno per l'altro». Bastava ascoltarlo ma i pennelloni in blu si stavano sparando nelle cuffie tutto Youssoupha. L'unico collante della Torre di Babele.C'è l'egoismo da parata e c'è la politica deteriore, dentro questa Francia avvelenata. Un esempio è Karim Benzema. Quattro gol in quattro partite, talvolta immarcabile, non veniva convocato da sei anni per una torbida vicenda di tentati ricatti nei confronti dell'ex compagno di squadra Mathieu Valbuena (il centravanti del Real Madrid rischia una condanna a cinque anni). Torna a vestire la casacca bleu e immediatamente riaffiora la vecchia polemica sulla Marsigliese. Un giorno disse: «Non canto l'inno perché l'Algeria è il mio paese e la Francia solo il posto dove faccio sport». Ricordandosi di quell'uscita, il senatore Stéphane Ravier lo ha definito «francese di carta», non meritevole di essere convocato.Il rapper divisivo, il mito dell'immigrazione senza integrazione, la mistica della periferia arrabbiata: dinamite che ha fatto passare in secondo piano una polemica di campo. Kylian Mbappé e Olivier Giroud non si parlano da un mese. Comincia la punta del Chelsea: «Chiamo i palloni ma mi arrivano solo dal centrocampo, potevamo segnare di più». La star del Paris Saint Germain si sente tirata in mezzo e convoca una conferenza stampa per attaccare il compagno, poi la annulla su intervento di Deschamps. Ma la tribù dei Musi lunghi ha un guerriero in più.Lo squadrone si è sgretolato davanti all'Europa degli umili che hanno festeggiato la caduta degli dei spocchiosi. Al gol del 3-3, dalle finestre italiane sono usciti boati da derby; la supponenza al camembert ha avuto ciò che si meritava. Non erano passati inosservati i commenti sprezzanti sulla nostra Nazionale da parte di icone francesi. Patrick Vieira (ex Milan, Juventus, Inter): «L'Italia ha giocato partite facili, uscirà presto e non arriverà alla fine». Fabien Barthez (portiere campione del mondo 1998): «Non farà strada, non mi piace. Ha battuto squadre non all'altezza». Come la Svizzera (3-0), la stessa che ha rispedito in Francia les bleus con la baguette sotto le ascelle. E che domani, se fosse coerente, dovrebbe ricominciare a vendere il mitico Moretto alla Migros. Ne ha il diritto.
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