2023-05-18
Prima lodi, poi insulti. Ai politici francesi la Meloni dà alla testa
Emmanuel Macron parla di cooperazione sui migranti per avere sponde sul patto di Stabilità, ma Gerald Darmanin getta altro fango sul premier.Il prossimo capitolo del giallo italo-francese si svolgerà a Hiroshima, in Giappone, in occasione del G7, mentre il capitolo precedente ci riporta in Islanda, a Reykjavik, dove si è svolto il vertice dei capi di stato e di governo del Consiglio d'Europa. Ricorderete che l’altro ieri Emmanuel Macron, pur senza pronunciare le due parole necessarie («chiedo scusa») dopo gli attacchi a freddo che nei giorni scorsi erano stati scagliati contro il governo italiano dal suo ministro dell’Interno Gerald Darmanin, aveva comunque cercato un qualche riavvicinamento. Dopo il saluto tra Macron e Giorgia Meloni che c’era stato prima dell’inizio dei lavori, il presidente francese, interpellato dai giornalisti, aveva insistito sulla necessità di «non lasciare sola l’Italia» a fronteggiare l’emergenza immigrazione. «Sicuramente vedrò Meloni», aveva aggiunto l’inquilino dell’Eliseo: «La vedrò e discuteremo». E ancora, incalzato sui problemi tra i due paesi rispetto al dossier migranti, Macron era parso desideroso – per una volta – di gettare acqua sul fuoco: «C’è necessita di cooperare per proteggere le nostre frontiere comuni. Spero di poter cooperare con il governo italiano perché non sottostimo che l’Italia, come paese di primo arrivo, subisce una fortissima pressione e non può essere lasciata sola».Dinanzi a questo tira e molla, la Meloni era stata garbata ma prudente, senza correre ad annunciare imminenti incontri bilaterali, e limitandosi a chiosare: «Sono lunghe giornate nelle quali tutti quanti parleremo con tutti». E ancora: «Il come e il quando non è materia che mi interessi particolarmente. Mi interessano le questioni che in questa fase la comunità internazionale deve avere la forza di affrontare e ribadire senza tentennare. Il resto sono questioni di politica interna e le lasciamo alla politica interna».E in effetti è stato sufficiente attendere un giorno per assistere a un’altra sgradevolissima sceneggiata francese, con il ritorno in scena proprio di Darmanin, l’uomo che il 4 maggio scorso aveva accusato il governo italiano di avere un approccio «disumano e inefficace». I lettori ricorderanno che, a seguito di questa scomposta sortita, Antonio Tajani aveva annullato una sua visita in programma a Parigi proprio per quel giorno.Ma ieri, in una intervista a France Inter, è arrivata la nuova raffica di Darmanin: «Quando fai promesse sconsiderate, quando sei membro dell’estrema destra, e la signora Meloni non è francamente una progressista di sinistra, ti rendi conto che la realtà è più dura». E ancora: «Il mio attacco non è contro gli italiani ma contro personalità politiche. Abbiamo il diritto di dire che Le Pen e Meloni non hanno il buon modello». A questo punto, delle due l’una. O Macron e Darmanin recitano consapevolmente e di comune accordo la parte del poliziotto buono e del poliziotto cattivo, sincronizzando finte aperture e reali polemiche. Oppure – al contrario – Darmanin ha scelto di agire da piromane anche per attaccare Macron e consolidare le proprie ambizioni di futura scalata all’Eliseo: mostrandosi all’opinione pubblica interna francese come il più intransigente di tutti contro la Meloni, la destra italiana, e – di conseguenza – la destra transalpina. In questo secondo caso, tuttavia, toccherebbe a Macron rimettere in riga il ministro. La verità è che Macron stesso è combattuto – potremmo dire: lacerato – da due esigenze opposte. Da un lato, razionalmente, avrebbe bisogno di combattere fianco a fianco con l’Italia la partita più importante del secondo semestre di quest’anno, e cioè il negoziato sulla riforma del Patto di stabilità. La Francia cresce poco e ha un debito alto: la bozza predisposta dalla Commissione Ue è certamente negativa per Roma, ma non è per nulla rassicurante nemmeno dal punto di vista di Parigi. Ergo, il realismo politico suggerirebbe di fare squadra con il governo italiano. Ma dall’altro lato, c’è un’esigenza politica uguale e contraria. Macron è terrorizzato dal successo dell’esperimento politico del governo Meloni, ed è ancora più spaventato da ciò che potrebbe accadere alle Europee del 2024, con l’eventuale alleanza Ecr-Ppe e un’ipotetica maggioranza di centrodestra al Parlamento europeo (e di conseguenza nella costruzione politica della nuova Commissione), con relativa marginalizzazione sia dei socialisti sia dei macronisti, che invece in questi anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo. Questo terrore politico porta Macron a detestare la Meloni e – di conseguenza – a dire sì a tutte le scelte che possano creare problemi all’Italia, e invece a restare freddo su tutte le misure (coinvolgimento europeo serio sull’immigrazione, in primo luogo) che possano giovare a Roma.Poi l’Africa ha fatto il resto: mentre la Francia arretra ovunque e sembra sempre meno capace di mantenere un suo protagonismo in quel Continente, il dinamismo della Meloni (piano Mattei, iniziative in materia energetica, ecc) rende possibile per l’Italia sperare di essere il paese perno rispetto al Mediterraneo e complessivamente rispetto al fianco Sud della Nato. E questo fa letteralmente impazzire di rabbia Parigi.
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