2025-03-25
Addio all’intellettuale controcorrente, che con la diserzione sfidava le regole
Il pensatore Francesco Benozzo è morto a 56 anni nella sua casa sull’Appennino. Durante il Covid fu l’unico accademico ad opporsi al green pass.«La libertà non è affrancamento da qualcosa, ma è condizione primeva». Prima ancora di scriverle nel suo splendido Piccolo manuale di diserzione quotidiana (appena pubblicato da La Vela), Francesco Benozzo ha testimoniato queste parole con la sua voce e soprattutto con la sua carne viva. È morto l’altra notte a 56 anni, nella sua casa sugli appennini emiliani che amava, che lo riparavano e che erano la sua trincea intellettuale.La retorica bolsa che abbiamo ereditato da troppi film scontati e da troppo articoli pomposi ci ha fatto credere che gli intellettuali siano la muta di cani da guardia che tiene sotto scacco il potere, che siano individui liberi e forti, pronti a rischiare tutto per le loro idee e la realizzazione di queste. La realtà di pietra, invece, ci ritrascina sul fondo e ci mostra uno spettacolo pietoso di cortigianeria e compiacenza. Gli intellettuali, lo insegnava Jacques Ellul, sono di solito i primi a ingurgitare la propaganda, ad assimilarla prima ancora di riprodurla. Sono schiavi di sé stessi, del proprio ego, del riconoscimento sociale che ottengono. Più di tutto temono di perderlo, dunque si avvolgono nel discorso dominante, lo alimentano e si convincono che sia vero. Su di essi, il pensiero unico fa maggior presa che sul proverbiale uomo della strada il quale mantiene, se non altro, un minimo legame con la durezza del reale.Francesco Benozzo è stato diverso. Ha tessuto l’elogio della diserzione, e ha dimostrato come fosse tutt'altro dalla vigliaccheria. Lui, infatti, è stato il più coraggioso di tutti. Di un coraggio granitico, incomprensibile a tanti, forgiato nella disponibilità al combattimento. Nella disposizione alla lotta, ma non alla guerra che egli rifiutava. La sua diserzione era, semmai, un passaggio al bosco (anche concreto, vissuto). Non per nulla citava Ernst Junger: «Il Ribelle è il singolo, l’uomo concreto che agisce nel concreto. Per sapere cosa sia giusto, non gli servono teorie, né leggi escogitate da qualche giurista di partito. Il Ribelle attinge alle fonti della moralità ancora non disperse nei canali delle istituzioni».Già: la morale di Benozzo non si poteva ridurre alla legge. Il suo è stato un rifiuto totale, fisico, del potere più stupido e oppressivo. Un rifiuto teorizzato e inevitabile: «Oggi più che mai, nel regime emergenziale permanente imposto dal dispositivo di soggiogamento, il disertore è un individuo condannato e additato. Egli è, etimologicamente, una persona messa al bando, un bandito».Raffinatissimo studioso di letteratura e filosofia, conoscitore profondo dell’antropologia e dello sciamanesimo, musicista antico e ontologicamente poeta (noi esseri umani lo siamo tutti, diceva), Benozzo è stato il solo accademico italiano (assieme a un illustre collega) a contestare l’imposizione del green pass. Non lo ha solo criticato: ha rifiutato di esibirlo, di utilizzarlo, di tollerarlo. Per questo ha perso il lavoro e si è guadagnato gli attacchi feroci di tanti, troppi colleghi timorosi e titubanti, che odiavano la sua integrità più della sua fierezza. A Benozzo si addice il motto dannunziano: io ho quel che ho donato, perché lui ha donato sé stesso e la sua arte, ha messo a rischio la sua sopravvivenza e giocato la sua carriera in nome della libertà. È stato l’intellettuale che i più non potranno mai essere.Con la forza di un William Burroughs ha smontato il linguaggio, le parole-potere, per liberarsi la mente. «L’intrico in cui le vite dei singoli individui vengono ingarbugliate (in latino sertum, participio passato di serere “intrecciare”, originariamente “intrecciato”, poi diventato anche, in forma di sostantivo, “corona, serto”)», scriveva, «è presentato come una “corona” di cui fregiarsi come uomini evoluti, ma nella sua essenza è un’imposizione non necessaria a cui a poco a poco si comincia ad adattarsi confondendola con la propria natura».La sua natura coincideva invece con la libertà. Si battezzava disertore, ma il suo sottrarsi non era arretramento o fuga, era anzi una forma di opposizione combattente. Estremamente pericolosa: e del rischio era ben consapevole. «Il disertore, in quanto creatura che si è liberata e si libera costantemente dall’intrico, diventa un corpo estraneo rispetto all’intrico e finisce per trasformarsi, senza volerlo essere e senza esserlo, in una minaccia», diceva. «In termini mitologici, il disertore rappresenta il Puer aeternus, il fanciullo divino, la tensione innata verso questa infanzia sottratta, il sole che si rigenera continuamente, la pulsazione del ritmo primordiale, la musica di ciò che accade». Rivolta solare, la sua, giocosa. Nel tempo in cui gli uomini si fanno ridurre a bambini piagnucolosi, lui non frignava, anzi del bambino aveva l’innocenza giocosa, epperò prendeva il gioco estremamente sul serio. Era libertario, anarchico stirneriano, ma anche uomo del legame: con la natura e con gli altri uomini. Si sottraeva, ma restava nella comunità, in comunione con il prossimo. «Per quanto bandito dalla società, il disertore non deve confondere questa sua condizione con la pro-pria natura, che è pre-sociale e non è anti-sociale, è pre-comunitaria e non è anti-comunitaria», spiegava.Francesco Benozzo è stato un grande teorico, un pensatore e un poeta. Soprattutto però è stato ciò che tanti vorrebbero e non sanno essere: un esempio, un baluardo. Un vento di libertà che ha dato respiro alla nostra terra riarsa e arida. Un vento sonoro e caldo, come il raggio di sole che trapassa gli alberi nel folto del bosco.