2022-11-29
La flat tax corregge storture anti autonomi
La tassa piatta, demonizzata a sinistra, riequilibra un sistema che punisce le partite Iva: niente ferie, malattie, ma pagano maggiori contributi Inps. Falsa la leggenda che restano con più guadagni netti in tasca. E durante il Covid sono state le più penalizzate.Finalmente la manovra arriva in Aula. Ci siamo soffermati spesso sui limiti e sui passi un po’ troppo corti nell’ambito fiscale. Ad esempio, il taglio del cuneo impatterà ben poco sul rialzo dei consumi. Oppure ci siamo soffermati sull’ottimismo legato al comparto energetico. Ad esempio, immaginare che gli extraprofitti garantiscano quasi 2,6 miliardi di incassi rischia di aprire una falla nelle coperture. In fondo, come più volte ha ricordato il ministro Giancarlo Giorgetti, questa manovra non punta a creare scostamento e quindi debito. In sostanza, c’è tanto «vorrei ma non posso» salvo su un tema. Quello relativo alle partite Iva. Una categoria che meritava da tempo un riconoscimento per come si è trovata ad affrontare il lockdown durante la pandemia e un aiuto per tornare a essere un perno di questo Paese.Nel dettaglio, il testo della manovra prevede di estendere il regime forfettario al 15% fino agli 85.000 euro di ricavi. Se durante l’anno il lavoratore autonomo supera la soglia può godere ancora per una dichiarazione del regime agevolato. Fino al livello dei 100.000 euro. Se invece supera anche quest’ultima soglia allora il regime smette di essere applicato e si torna alla tassazione normale.Al tempo stesso un altro articolo della legge finanziaria consente la creazione della cosiddetta «flat tax incrementale». La nuova disposizione consente ai contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni diversi da quelli che si avvalgono del regime forfetario di applicare un’imposta sostitutiva del 15% sugli incrementi di reddito del 2023 rispetto al triennio precedente, fino a un limite massimo di 40.000 euro. L’imposta che si applica sul reddito incrementale è sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali. Alle varie categorie di autonomi, in questo caso è permesso aumentare di fatturato senza vedersi esplodere sotto il naso la pressione fiscale. Un modo per non tarpare le ali a chi vuole mettere a terra qualche investimento per crescere. Il costo della prima iniziativa è di 280 milioni per il 2023, di 340 per il 2024 e circa 370 per il terzo anno. Quello della «flat tax incrementale», invece, impatta nel solo anno fiscale 2024 per circa 800 milioni di euro. Tanto? Assolutamente no. Basti pensare che per il Giubileo di Roma la spesa stanziata a favore della capitale supera i 2,5 miliardi di euro. Sono investimenti su cui nessuno si sogna di alzare il dito nonostante toccherebbe al Comune aprire il portafogli. Al di là delle coperture e dei costi, stiamo assistendo a una polemica avvelenata da parte della sinistra e di gran parte dei dipendenti, soprattutto quelli pubblici. La critica come al solito si basa sul presupposto che le partite Iva evadano e che in proporzione siano agevolate rispetto agli altri lavoratori. Partiamo dal secondo aspetto. In caso di reddito sui 60.000 euro, il dipendente sconta contributi per il 9% e sul reddito rimanente paga una Iperf progressiva di circa 16.300 euro. Risultato gli restano in tasca 38.000 euro. Il lavoratore autonomo a parità di reddito paga alla gestione separata Inps contributi pari al 25% e per il resto versa una flat tax di circa 6.700 euro. Alla fine dei giochi gli restano in tasca circa 38.000 euro. La stessa cifra che percepisce un lavoratore dipendente. Se gli importi scendono, l’autonomo è persino penalizzato. Ne consegue che la flat tax è addirittura una scelta, anche se non organica, mirata a riequilibrare i netti incassati. Esattamente l’opposto dello storytelling di questi giorni. Senza contare un altro aspetto ancor più importante. La partita Iva non ha welfare. Se è una donna e decide di aver un figlio, non gode della maternità. Se si ammala, non incassa e non fattura. Il rischio d’impresa è incluso nei ricavi, perché se un cliente non paga non ha modo di intervenire e al tempo stesso non può - e in ogni caso non dovrebbe - rivalersi sui fornitori. Inutile dire che il lavoratore dipendente non ha rischio d’impresa, salvo che la medesima impresa fallisca. E può sempre appellarsi ai sindacati. Tutti motivi che, anche a parità di incassi netti, fanno propendere l’ago della bilancia a sfavore dei lavoratori autonomi. C’è poi un tema più ampio, prettamente politico. Con il Covid si sono perse circa 345.000 partite Iva. Nei due anni successivi si è tornati ad assistere a nuove aperture, ma il tessuto non si è ancora cicatrizzato. Il centrodestra adesso ha l’occasione di distribuire un po’ di antibiotico e lasciare che la piccola economia torni a crescere e distribuire ricchezza. Va dato atto che soltanto Lega e Fratelli d’Italia nel corso degli ultimi decenni hanno prestato attenzione a una categoria che per definizione è frammentata e non può far pesare i propri voti. Ed ecco che qui - sul bacino elettorale - scatta l’accusa continua della sinistra di evasione fiscale. È vero ci sono autonomi che evadono. Come ci sono tanti dipendenti pubblici che fanno il doppio lavoro ed essi evadono molto di più delle partite Iva. Quando nel 2014 i vertici di Prada furono indagati per aver eluso 470 milioni di euro, nessuno si stracciò le vesti firmate. Gran parte dei quotidiani relegò la notizia a piccoli francobolli. Quando ci fu l’accordo con l’Agenzia delle entrate ci fu chi titolò sulla «volontà di tornare a investire in Italia». È quindi chiaro che le partite Iva sono un ostacolo intrinseco per l’avanzata della sinistra. Il Pd, come i 5 stelle, preferisce distribuire sussidi e tarpare le ali alla libertà d’impresa. Soprattutto quella minuscola e capillare.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)