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2022-07-24
Dal fisco all’Ue, agenda per il centrodestra
Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi (Ansa)
L’agenda Draghi è un trucco politico, ma di programmi c’è bisogno eccome. O almeno, chi ambisce a governare una situazione come quella italiana di fine 2022 ha l’onere di proporre approcci e risposte realistiche su una serie di urgenze. Abbiamo provato, in un inizio di campagna elettorale fin qui costruita su accuse e personalismi, a identificare quattro macro-temi, provando non a fornire sterili ricette ma suggerendo un perimetro di questioni non eludibili. Il primo è il rapporto con l’Ue: ruolo della Bce, problema dei titoli di Stato, eventuale collocazione internazionale dell’ex premier, posizione sul Patto di stabilità e alleanze sono la precondizione per qualunque politica. Secondo: il fisco. Terzo: l’energia. Quarto: la pandemia, perché Speranza sia il passato.
Il piano per affrontare l’emergenza senza inseguire il green a ogni costo

Ansa
Le campagne elettorali raramente si focalizzano sul tema energetico, considerato forse troppo specialistico o marginale, almeno fino a quando le bollette prosciugano il portafoglio dei cittadini. In quel caso, all’improvviso, ci si accorge che qualcosa non va e certamente, oggi, c’è molto che non va. Il governo uscente lascia una situazione a metà tra l’incompiuto e l’inconsistente, anche se non si può accusarlo di non avere fatto nulla: sono state avviate relazioni per avere gas da fornitori alternativi alla Russia, sono stati acquistati due rigassificatori e stanziati 33 miliardi di euro per abbassare le bollette, altri 4 per lo sconto sulle accise praticate sui carburanti. È stata imposta una tassa sui cosiddetti extraprofitti delle società energetiche e sono state riavviate le procedure per lo sfruttamento di un paio di giacimenti di gas. Il problema di tutte queste misure è che si tratta di toppe messe per pratica a situazioni mal gestite sin dall’inizio, con costi altissimi e senza un disegno.
Il governo di Mario Draghi ha sottovalutato la crisi sin dall’inizio, si è trovato sempre in ritardo sul tema, reagendo a posteriori con provvedimenti-tampone, ha aderito ciecamente alle indicazioni dell’Ue, tra cui quella di abbandonare le forniture di gas dalla Russia, senza mai riuscire a incidere sulle cause della crisi energetica che sono precedenti alla guerra in Ucraina. Dopo il tragicomico do ut des draghiano «aria condizionata o pace», abbiamo sentito parlare per mesi di una proposta italiana per mettere un tetto al prezzo del gas russo, che si è persa nei corridoi dei palazzi di Bruxelles e a cui in realtà ben pochi credevano.
Visto che il nuovo governo si formerà all’inizio di un autunno che rischia di essere assai critico dal punto di vista energetico (oltre che economico), cosa hanno intenzione di fare i partiti per riportare sotto controllo la situazione dell’energia? Vediamo quali sono i nodi principali.
1) La nuova maggioranza proseguirà nella rincorsa ideologica del green a tutti i costi o deciderà innanzitutto di porre in sicurezza energetica il Paese? In altri termini, si intende (o no) lavorare alla sicurezza degli approvvigionamenti senza preclusioni sulle fonti, per avere energia sicura e a costi contenuti per famiglie e imprese? Meglio ancora: si intende ricercare un equilibrio realmente ottimale tra le fonti di energia, lavorando sui vincoli geopolitici e senza barriere ideologiche?
2) Legata alla prima domanda è la seconda: quale politica estera si intende adottare, considerando che la corsa all’energia verde ci rende dipendenti in larga parte dalla Cina e che lo strappo con la Russia ci ha lasciato senza sufficiente gas, mentre l’Algeria è diventata il nostro maggiore fornitore aprendo un nuovo fronte di rischio e la Libia è di nuovo nel caos?
3) Come intendono gestire i partiti della futura maggioranza il rapporto con l’Unione europea sulla questione energetica? A un embargo su carbone, petrolio e gas russi, come quello imposto dalla Ue, chiaramente non può che conseguire una carenza di energia: si intende mettere in discussione questa strategia, che sinora ha fatto più male al sanzionante che al sanzionato?
4) Il nuovo governo sfrutterebbe compiutamente le riserve di gas naturale presenti sotto i fondali marini che circondano l’Italia, facendo ripartire la produzione di gas nazionale?
5) Il passaggio dal motore a scoppio all’auto elettrica è un fattore destabilizzante per l’indotto italiano dell’automobile, fatto soprattutto di piccole e medie imprese. I partiti sono in grado di disegnare un piano per il settore dell’automobile italiano, che lo preservi e lo rilanci?
6) Un nuovo governo avrebbe un approccio laico alle tecnologie per la generazione elettrica, considerando quindi anche il nucleare tra le fonti su cui è possibile investire? I partiti sono in grado di indicare un budget pluriennale per la ricerca scientifica pubblica sulle fonti energetiche?
Questi sono solo alcune tra le tante domande possibili. Sarebbe interessante conoscere le risposte dei partiti.
Serve una linea tributaria unica per l’Italia dei prossimi 10 anni

Ansa
Con la fine anticipata della legislatura è venuta meno la possibilità di portare a termine la riforma fiscale, o meglio la legge delega inclusiva del pericoloso intervento sul catasto. La cosa non ci dispiace affatto. Il percorso della delega è stato funestato da una serie di ricatti politici (la balla della correlazione con i fondi del Pnrr) e da una mediazione che per definizione non poteva che essere al ribasso. Nonostante il centrodestra - bisogna ammetterlo - si sia mosso unito, sono comunque emersi due aspetti negativi e forse inevitabili. Il primo era insito nella necessità di mediazione alla base della ampia maggioranza di governo: avere a che fare con la sinistra del Pd o, peggio, con Leu, porta automaticamente al tavolo strenui sostenitori di patrimoniali e minacce alla proprietà privata. L’altro aspetto sbagliato ab origine sta invece nella forma stessa del percorso di delega. Mai delegare a un governo futuro. Soprattutto se non si ha la minima idea di quale colore lo tingerà. Si sa soltanto che avrà le mani libere di fare ciò che vuole.
Adesso è quindi il caso di tirare una linea e chiedere al centro destra che sui temi del fisco, del lavoro e della tutela della proprietà privata faccia una sintesi al rialzo e non al ribasso. Agli elettori che hanno partite Iva oppure sono proprietari di piccole o piccolissime imprese interessa conoscere al più presto (e in ogni caso ben prima del 25 settembre) quale sarà la linea sulla riforma tributaria. Vale anche per i lavoratori dipendenti, e pure per i pensionati. Su questo, però, i tre partiti che andranno a comporre la coalizione fino ad oggi si sono mossi su filoni contigui ma in molti casi filosoficamente distanti. Fdi si è speso per sostenere il taglio del costo del lavoro e gli incentivi alle aziende che assumono. Ne consegue un approccio critico e fortemente riformista del reddito di cittadinanza. La Lega ha lavorato per spalleggiare le partite Iva, creando una sorta di flat tax ma al tempo stesso ha accettato che la spesa per il Rdc salisse in modo spropositato. Forza Italia si è impegnata per il taglio di Irap e Irpef, e per il sostegno alle famiglie. Nessuno dei tre partiti si è impuntato per spiegare agli elettori come abbia intenzione di riformare il sistema di riscossione e l’intera macchina dell’Agenzia delle entrate, in modo da impedire che si utilizzi quasi sempre (anche una volta è fin troppo) l’inversione dell’onere della prova nei confronti del cittadino/contribuente.
La pandemia ha insegnato che in Italia, come in tutti i Paesi dove ci sono comunisti nel governo o a rischio di infettarsi di quel virus, la proprietà privata è in pericolo. I bar e i ristoranti sono stati chiusi a forza di leggi vistate da una sola persona, il presidente del Consiglio. La scelta della gestione Covid ha ucciso una buona fetta della piccola imprenditoria italiana. Abbiamo accettato di sostituire la libertà della partita Iva con semplici elemosine chiamate bonus. La riforma del fisco va fatta tenendo presente questi elementi conservatori. C’è ancora un pezzo di Italia che non desidera l’aiuto dello Stato ma preferisce che quest’ultimo gli stia il più possibile lontano, per la precisione esattamente alla distanza concordata attraverso un patto che, più che mai ora, deve essere un patto elettorale.
È logico aspettarsi dal centrodestra unito una linea comune. Quanto verrà messo a budget per il taglio delle imposte? Quali imposte saranno tagliate? Via i bonus? Oppure quali bonus resteranno? Ci saranno politiche attive del lavoro? Come si farà a sostenere la produttività e quindi il rialzo dei salari? Infine, come ci porremo di fronte alle richieste dell’Ue che chiaramente ha detto di voler spostare la pressione fiscale dalle persone alle cose? Sappiamo bene che la richiesta serve semplicemente per aggredire il patrimonio immobiliare italiano che in Europa resta anomalia da debellare. Tutte le leggi sulla transizione ecologica porteranno in questa direzione. Non a caso attorno alla riforma del catasto si è scatenata una chiusura incomprensibile se non come elemento portante per un cambio sostanziale dell’Italia. Ecco, quel modello non è conservatore, non è del centrodestra. In campagna elettorale interessa leggere parola per parola quale sarà il modello fiscale che sosterrà la società italiana nei prossimi 10 anni.
Quale futuro per Draghi nella Ue? Aiutarci contro il cappio monetario

Mario Draghi (Ansa)
Molto probabilmente il prossimo autunno sarà il più difficile degli ultimi 40 anni. Inflazione reale intorno al 10%, debito pubblico altissimo, produttività delle aziende ai minimi e mercato del lavoro fermo agli anni Novanta. Se non bastasse a peggiorare la situazione c’è la fine della globalizzazione come l’abbiamo intesa a partire dal Duemila, e quindi fortissime tensioni (anche di prezzo) sulle materie prime. In tutto ciò l’euro si sta dimostrando strutturalmente debole. Non solo verso il dollaro o il franco svizzero, ma anche nei confronti di molte valute minori. Le nostre aziende, però, non potranno cavalcare l’onda della svalutazione.
Non saranno in grado di produrre (per mancanza di materie prime) e spesso, anche quando saranno in grado di farlo, avranno marginalità molto basse. Volenti o nolenti, nei prossimi mesi l’inflazione andrà combattuta con la geopolitica e con le mosse della Bce. Una gamba del problema si affronta con la politica monetaria, l’altra con la diplomazia o la forza militare. Sarà sempre più importante cercare di esercitare influenza verso i Paesi africani che esportano materie prime, così come sarà cruciae il riallineamento delle mosse della nostra banca centrale europea con quelle della Fed.
L’Italia purtroppo ha già un cappio (monetario) attorno al collo. Le scelte annunciate tre giorni fa da Christine Lagarde attorno allo schema anti spread sono così vaghe da rivestire una enorme valenza politica. Al tempo stesso l’esercizio del programma Pepp di acquisto in corso sui titoli sovrani rende Francoforte sia termometro che cura del nostro debito pubblico e, quindi, ci riporta al punto di partenza. Servirà l’ok della Commissione per avere salvagente o per non averlo. La nostra autonomia dal punto di vista della politica fiscale è dunque limitata dal vincolo accettato implicitamente con l’avvio del Pnrr e del Recovery fund. Pena l’arrivo di un modello di intervento non troppo difforme dalla Troika. È bene che il centrodestra non nasconda questi problemi. Anzi, li affronti in modo trasparente e trovi, pure in questo campo, unità d’intenti. Ad esempio, per essere più terra terra, quale sarà la posizione dei tre partiti, Lega, Fdi e Forza Italia, rispetto a un futuro ruolo di Mario Draghi? Se le indiscrezioni non sono fasulle, c’è aperta una strada che porta in direzione Nato. Potrebbe essere una scelta da sostenere? Oppure, potrebbe esserci un altro percorso che porta a un ruolo primario dentro la compagine europea. Non è nemmeno questo un segreto.
Draghi potrebbe prendere il posto di Charles Michel, al vertice del Consiglio Ue, in scadenza il prossimo anno. Potrebbe essere uno step intermedio verso il gradino più alto, adesso occupato da Ursula von der Leyen. Probabilmente troppo presto per studiare le strategie, ma soprattutto è chiaro che tali mosse non verrebbero certo esternate. Ciò che è importante capire è però se il centrodestra vorrà portare avanti una politica di rottura verso l’Ue, come spesso ha fatto la Lega sui temi dell’euro, oppure cambiare passo e avviare una politica di dialogo. Con l’obiettivo di cercare di sfilare il collo dal cappio o non farselo stringere troppo forte. In ogni caso, Draghi è non solo un tema ma anche una figura politica che sarebbe un vero peccato non prendere in considerazione. Per due motivi. Primo, ha una storia molto più vicina al centrodestra che al Pd. Secondo, è chiaramente in contrasto con Sergio Mattarella, il quale non sosterrà mai e poi mai un governo di centrodestra sia in patria che a Bruxelles. Su questo tema c’è posizione comune? Sarebbe interessante scoprirlo, a cominciare dalle alleanze dentro l’Europarlamento. La partita andrebbe avviata in contemporanea con la campagna elettorale.
Quattro impegni sulla stagione Covid che segnino una cesura con Speranza
Inutile far finta di guardare da un’altra parte o negare ipocritamente l’esistenza del problema. Per tanti elettori resta letteralmente indimenticabile (e non è un complimento, ma un sinonimo di «incancellabile») il comportamento di molti esponenti di centrodestra in tempo di pandemia. E più ancora dei voti parlamentari a sostegno delle misure di Roberto Speranza, più ancora delle mancate battaglie in senso contrario, più ancora dello schiacciamento sulla linea di Speranza anche delle regioni governate dal centrodestra, pesa il ricordo delle (evitabilissime) esibizioni mediatiche di non pochi parlamentari di centrodestra, campioni di zelo nel difendere l’indifendibile: elogi lirici del green pass e dell’obbligo vaccinale surrettizio (con relativa impossibilità di lavorare e portare il pane a casa per i «reprobi»), sostegno alle restrizioni più feroci e inutili, criminalizzazione dei dissenzienti, silenzio perfino rispetto all’approccio chiusurista che ha massacrato commercio-ristorazione-turismo-consumi.
Lo scriviamo non per riaprire polemiche o per esacerbare divisioni. Al contrario, la chiarezza è nel più totale interesse del centrodestra, che - alle prossime elezioni del 25 settembre - deve in primo luogo temere l’astensione, la non partecipazione di quote di elettori che potenzialmente non voterebbero a sinistra, ma che sono rimasti colpiti - nell’ultimo biennio - dalle ambiguità di molti parlamentari, e dalla indistinguibilità dei loro orientamenti e scelte rispetto a quanto veniva proposto e imposto dal titolare del dicastero della Salute. Meglio dunque chiarire prima le intenzioni dello schieramento in pole position per vincere: proprio per evitare che un segmento significativo (e magari decisivo) di elettori scelga di stare a casa.
Dunque, non si tratta - qui - di recriminare sul passato o di chiedere abiure politiche a chicchessia (ci mancherebbe), ma il punto è ragionare laicamente e pragmaticamente sul futuro, sulla stagione che si prepara, chiedendo a tutto il centrodestra quattro impegni pubblici, trasparenti, da onorare con serietà.
Primo. Siamo entrati (da tempo, anche se troppi fanno finta di non capirlo) nella fase che le persone più ragionevoli indicavano da tempo: quella in cui bisogna «convivere con il Covid». Dunque, in primo luogo, il centrodestra deve impegnarsi a un approccio razionale, non emotivo, non ansiogeno, non tremendista, non chiusurista, che non terrorizzi l’opinione pubblica, che non alimenti la logica emergenziale.
Secondo. Il centrodestra deve impegnarsi a non far ripartire lo strumento liberticida del green pass, e meno che mai a farne - com’è successo in passato - il cavallo di Troia per colpire la libertà delle persone, il loro diritto di muoversi e lavorare, di non essere punite e discriminate per una loro eventuale diversa scelta personale e sanitaria.
Terzo. Il centrodestra, in vista dell’autunno, deve impegnarsi a una consecutio (logica e cronologica) inversa rispetto a quella caldeggiata da Speranza. Razionalità suggerisce (prima) di sapere quali nuovi vaccini saranno disponibili, (quindi) di capire che tipo di copertura avranno tali vaccini rispetto alle varianti esistenti, e (infine) di offrire tali vaccini a chi vorrà liberamente farne uso. Ribadiamo: offrire, non obbligare. Naturalmente informando i cittadini in modo corretto e completo, segnalando in particolare agli anziani e ai fragili cosa sia più opportuno per loro. Ma senza obblighi, né diretti né surrettizi.
Quarto. Per questi motivi, è essenziale sapere preventivamente chi sia la persona che Fdi-Lega-Fi candideranno, in caso di vittoria, al ministero della Salute.
Domandare è lecito, rispondere è cortesia.
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Altro che metodo Draghi, chi vuol governare faccia proposte sui temi chiave. Il Pd sposterà la campagna elettorale su atlantismo e guerra. Ci vuole invece un programma d’urto sulla crisi. Fdi, Lega e Forza Italia affrontino ciò che interessa alla gente: salari, gestione Covid, bollette e rapporto con l’Ue.Pd e centrosinistra hanno già avviato una campagna elettorale basata su due schemi. Il primo è il tentativo di rafforzare i mini partiti di centro con l’intento di indebolire il centrodestra, nella speranza che i Calenda di turno portino via un po’ di voti (o attraggano pezzi) di Lega o di Forza Italia. D’altro canto, il centrosinistra punterà tutto sul tema dell’atlantismo. O meglio, del rischio che in caso di vittoria di Lega, Fdi e Fi si spezzi l’equilibrio Nato e si favorisca l’avanzata dei russi. Arriveranno alcune accuse generiche e altre più puntuali. Non va escluso il peso e l’impatto di eventuali inchieste giudiziarie. Chi ha l’ambizione di governare il Paese non potrà restare succube di questa narrativa. Accompagnando il dibattito della campagna elettorale, giornalisticamente ci interessa il presidio di temi cruciali che rischiano di essere oscurati da personalismi e accuse rivolte alla genesi del «draghicidio». E cioè: come affrontare la crisi d’autunno? Quale politica energetica attuerà il Paese? Come ci muoveremo di fronte alle pressioni Ue sulla transizione energetica? Poi c’è la necessità di una riforma fiscale degna di tale nome, che impari dagli errori di metodo e merito degli ultimi mesi. Ci sarà da affrontare il dramma della inflazione e maneggiare con cura i rapporti con la Bce. Infine, l’enorme capitolo del Covid. Non basterà cacciare Speranza e il suo entourage. Immaginare una alternativa implica una presa di posizione sulla pandemia e sui futuri vaccini. L’adozione del green pass e l’obbligo prima surrettizio e poi per legge (vedi gli over 50) di vaccinarsi ha spezzato la società in due. Lega e Forza Italia sono stati in quella maggioranza di governo e ora non possono più nascondersi dietro Draghi: dovranno trovare una linea comune e farsene carico davanti agli elettori.Lo speciale contiene quattro articoli.L’agenda Draghi è un trucco politico, ma di programmi c’è bisogno eccome. O almeno, chi ambisce a governare una situazione come quella italiana di fine 2022 ha l’onere di proporre approcci e risposte realistiche su una serie di urgenze. Abbiamo provato, in un inizio di campagna elettorale fin qui costruita su accuse e personalismi, a identificare quattro macro-temi, provando non a fornire sterili ricette ma suggerendo un perimetro di questioni non eludibili. Il primo è il rapporto con l’Ue: ruolo della Bce, problema dei titoli di Stato, eventuale collocazione internazionale dell’ex premier, posizione sul Patto di stabilità e alleanze sono la precondizione per qualunque politica. Secondo: il fisco. Terzo: l’energia. Quarto: la pandemia, perché Speranza sia il passato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/fisco-ue-agenda-centrodestra-2657717918.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-piano-per-affrontare-lemergenza-senza-inseguire-il-green-a-ogni-costo" data-post-id="2657717918" data-published-at="1658620865" data-use-pagination="False"> Il piano per affrontare l’emergenza senza inseguire il green a ogni costo Ansa Le campagne elettorali raramente si focalizzano sul tema energetico, considerato forse troppo specialistico o marginale, almeno fino a quando le bollette prosciugano il portafoglio dei cittadini. In quel caso, all’improvviso, ci si accorge che qualcosa non va e certamente, oggi, c’è molto che non va. Il governo uscente lascia una situazione a metà tra l’incompiuto e l’inconsistente, anche se non si può accusarlo di non avere fatto nulla: sono state avviate relazioni per avere gas da fornitori alternativi alla Russia, sono stati acquistati due rigassificatori e stanziati 33 miliardi di euro per abbassare le bollette, altri 4 per lo sconto sulle accise praticate sui carburanti. È stata imposta una tassa sui cosiddetti extraprofitti delle società energetiche e sono state riavviate le procedure per lo sfruttamento di un paio di giacimenti di gas. Il problema di tutte queste misure è che si tratta di toppe messe per pratica a situazioni mal gestite sin dall’inizio, con costi altissimi e senza un disegno. Il governo di Mario Draghi ha sottovalutato la crisi sin dall’inizio, si è trovato sempre in ritardo sul tema, reagendo a posteriori con provvedimenti-tampone, ha aderito ciecamente alle indicazioni dell’Ue, tra cui quella di abbandonare le forniture di gas dalla Russia, senza mai riuscire a incidere sulle cause della crisi energetica che sono precedenti alla guerra in Ucraina. Dopo il tragicomico do ut des draghiano «aria condizionata o pace», abbiamo sentito parlare per mesi di una proposta italiana per mettere un tetto al prezzo del gas russo, che si è persa nei corridoi dei palazzi di Bruxelles e a cui in realtà ben pochi credevano. Visto che il nuovo governo si formerà all’inizio di un autunno che rischia di essere assai critico dal punto di vista energetico (oltre che economico), cosa hanno intenzione di fare i partiti per riportare sotto controllo la situazione dell’energia? Vediamo quali sono i nodi principali. 1) La nuova maggioranza proseguirà nella rincorsa ideologica del green a tutti i costi o deciderà innanzitutto di porre in sicurezza energetica il Paese? In altri termini, si intende (o no) lavorare alla sicurezza degli approvvigionamenti senza preclusioni sulle fonti, per avere energia sicura e a costi contenuti per famiglie e imprese? Meglio ancora: si intende ricercare un equilibrio realmente ottimale tra le fonti di energia, lavorando sui vincoli geopolitici e senza barriere ideologiche? 2) Legata alla prima domanda è la seconda: quale politica estera si intende adottare, considerando che la corsa all’energia verde ci rende dipendenti in larga parte dalla Cina e che lo strappo con la Russia ci ha lasciato senza sufficiente gas, mentre l’Algeria è diventata il nostro maggiore fornitore aprendo un nuovo fronte di rischio e la Libia è di nuovo nel caos? 3) Come intendono gestire i partiti della futura maggioranza il rapporto con l’Unione europea sulla questione energetica? A un embargo su carbone, petrolio e gas russi, come quello imposto dalla Ue, chiaramente non può che conseguire una carenza di energia: si intende mettere in discussione questa strategia, che sinora ha fatto più male al sanzionante che al sanzionato? 4) Il nuovo governo sfrutterebbe compiutamente le riserve di gas naturale presenti sotto i fondali marini che circondano l’Italia, facendo ripartire la produzione di gas nazionale? 5) Il passaggio dal motore a scoppio all’auto elettrica è un fattore destabilizzante per l’indotto italiano dell’automobile, fatto soprattutto di piccole e medie imprese. I partiti sono in grado di disegnare un piano per il settore dell’automobile italiano, che lo preservi e lo rilanci? 6) Un nuovo governo avrebbe un approccio laico alle tecnologie per la generazione elettrica, considerando quindi anche il nucleare tra le fonti su cui è possibile investire? I partiti sono in grado di indicare un budget pluriennale per la ricerca scientifica pubblica sulle fonti energetiche? Questi sono solo alcune tra le tante domande possibili. Sarebbe interessante conoscere le risposte dei partiti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/fisco-ue-agenda-centrodestra-2657717918.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="serve-una-linea-tributaria-unica-per-litalia-dei-prossimi-10-anni" data-post-id="2657717918" data-published-at="1658620865" data-use-pagination="False"> Serve una linea tributaria unica per l’Italia dei prossimi 10 anni Ansa Con la fine anticipata della legislatura è venuta meno la possibilità di portare a termine la riforma fiscale, o meglio la legge delega inclusiva del pericoloso intervento sul catasto. La cosa non ci dispiace affatto. Il percorso della delega è stato funestato da una serie di ricatti politici (la balla della correlazione con i fondi del Pnrr) e da una mediazione che per definizione non poteva che essere al ribasso. Nonostante il centrodestra - bisogna ammetterlo - si sia mosso unito, sono comunque emersi due aspetti negativi e forse inevitabili. Il primo era insito nella necessità di mediazione alla base della ampia maggioranza di governo: avere a che fare con la sinistra del Pd o, peggio, con Leu, porta automaticamente al tavolo strenui sostenitori di patrimoniali e minacce alla proprietà privata. L’altro aspetto sbagliato ab origine sta invece nella forma stessa del percorso di delega. Mai delegare a un governo futuro. Soprattutto se non si ha la minima idea di quale colore lo tingerà. Si sa soltanto che avrà le mani libere di fare ciò che vuole. Adesso è quindi il caso di tirare una linea e chiedere al centro destra che sui temi del fisco, del lavoro e della tutela della proprietà privata faccia una sintesi al rialzo e non al ribasso. Agli elettori che hanno partite Iva oppure sono proprietari di piccole o piccolissime imprese interessa conoscere al più presto (e in ogni caso ben prima del 25 settembre) quale sarà la linea sulla riforma tributaria. Vale anche per i lavoratori dipendenti, e pure per i pensionati. Su questo, però, i tre partiti che andranno a comporre la coalizione fino ad oggi si sono mossi su filoni contigui ma in molti casi filosoficamente distanti. Fdi si è speso per sostenere il taglio del costo del lavoro e gli incentivi alle aziende che assumono. Ne consegue un approccio critico e fortemente riformista del reddito di cittadinanza. La Lega ha lavorato per spalleggiare le partite Iva, creando una sorta di flat tax ma al tempo stesso ha accettato che la spesa per il Rdc salisse in modo spropositato. Forza Italia si è impegnata per il taglio di Irap e Irpef, e per il sostegno alle famiglie. Nessuno dei tre partiti si è impuntato per spiegare agli elettori come abbia intenzione di riformare il sistema di riscossione e l’intera macchina dell’Agenzia delle entrate, in modo da impedire che si utilizzi quasi sempre (anche una volta è fin troppo) l’inversione dell’onere della prova nei confronti del cittadino/contribuente. La pandemia ha insegnato che in Italia, come in tutti i Paesi dove ci sono comunisti nel governo o a rischio di infettarsi di quel virus, la proprietà privata è in pericolo. I bar e i ristoranti sono stati chiusi a forza di leggi vistate da una sola persona, il presidente del Consiglio. La scelta della gestione Covid ha ucciso una buona fetta della piccola imprenditoria italiana. Abbiamo accettato di sostituire la libertà della partita Iva con semplici elemosine chiamate bonus. La riforma del fisco va fatta tenendo presente questi elementi conservatori. C’è ancora un pezzo di Italia che non desidera l’aiuto dello Stato ma preferisce che quest’ultimo gli stia il più possibile lontano, per la precisione esattamente alla distanza concordata attraverso un patto che, più che mai ora, deve essere un patto elettorale. È logico aspettarsi dal centrodestra unito una linea comune. Quanto verrà messo a budget per il taglio delle imposte? Quali imposte saranno tagliate? Via i bonus? Oppure quali bonus resteranno? Ci saranno politiche attive del lavoro? Come si farà a sostenere la produttività e quindi il rialzo dei salari? Infine, come ci porremo di fronte alle richieste dell’Ue che chiaramente ha detto di voler spostare la pressione fiscale dalle persone alle cose? Sappiamo bene che la richiesta serve semplicemente per aggredire il patrimonio immobiliare italiano che in Europa resta anomalia da debellare. Tutte le leggi sulla transizione ecologica porteranno in questa direzione. Non a caso attorno alla riforma del catasto si è scatenata una chiusura incomprensibile se non come elemento portante per un cambio sostanziale dell’Italia. Ecco, quel modello non è conservatore, non è del centrodestra. In campagna elettorale interessa leggere parola per parola quale sarà il modello fiscale che sosterrà la società italiana nei prossimi 10 anni. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/fisco-ue-agenda-centrodestra-2657717918.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="quale-futuro-per-draghi-nella-ue-aiutarci-contro-il-cappio-monetario" data-post-id="2657717918" data-published-at="1658620865" data-use-pagination="False"> Quale futuro per Draghi nella Ue? Aiutarci contro il cappio monetario Mario Draghi (Ansa) Molto probabilmente il prossimo autunno sarà il più difficile degli ultimi 40 anni. Inflazione reale intorno al 10%, debito pubblico altissimo, produttività delle aziende ai minimi e mercato del lavoro fermo agli anni Novanta. Se non bastasse a peggiorare la situazione c’è la fine della globalizzazione come l’abbiamo intesa a partire dal Duemila, e quindi fortissime tensioni (anche di prezzo) sulle materie prime. In tutto ciò l’euro si sta dimostrando strutturalmente debole. Non solo verso il dollaro o il franco svizzero, ma anche nei confronti di molte valute minori. Le nostre aziende, però, non potranno cavalcare l’onda della svalutazione. Non saranno in grado di produrre (per mancanza di materie prime) e spesso, anche quando saranno in grado di farlo, avranno marginalità molto basse. Volenti o nolenti, nei prossimi mesi l’inflazione andrà combattuta con la geopolitica e con le mosse della Bce. Una gamba del problema si affronta con la politica monetaria, l’altra con la diplomazia o la forza militare. Sarà sempre più importante cercare di esercitare influenza verso i Paesi africani che esportano materie prime, così come sarà cruciae il riallineamento delle mosse della nostra banca centrale europea con quelle della Fed. L’Italia purtroppo ha già un cappio (monetario) attorno al collo. Le scelte annunciate tre giorni fa da Christine Lagarde attorno allo schema anti spread sono così vaghe da rivestire una enorme valenza politica. Al tempo stesso l’esercizio del programma Pepp di acquisto in corso sui titoli sovrani rende Francoforte sia termometro che cura del nostro debito pubblico e, quindi, ci riporta al punto di partenza. Servirà l’ok della Commissione per avere salvagente o per non averlo. La nostra autonomia dal punto di vista della politica fiscale è dunque limitata dal vincolo accettato implicitamente con l’avvio del Pnrr e del Recovery fund. Pena l’arrivo di un modello di intervento non troppo difforme dalla Troika. È bene che il centrodestra non nasconda questi problemi. Anzi, li affronti in modo trasparente e trovi, pure in questo campo, unità d’intenti. Ad esempio, per essere più terra terra, quale sarà la posizione dei tre partiti, Lega, Fdi e Forza Italia, rispetto a un futuro ruolo di Mario Draghi? Se le indiscrezioni non sono fasulle, c’è aperta una strada che porta in direzione Nato. Potrebbe essere una scelta da sostenere? Oppure, potrebbe esserci un altro percorso che porta a un ruolo primario dentro la compagine europea. Non è nemmeno questo un segreto. Draghi potrebbe prendere il posto di Charles Michel, al vertice del Consiglio Ue, in scadenza il prossimo anno. Potrebbe essere uno step intermedio verso il gradino più alto, adesso occupato da Ursula von der Leyen. Probabilmente troppo presto per studiare le strategie, ma soprattutto è chiaro che tali mosse non verrebbero certo esternate. Ciò che è importante capire è però se il centrodestra vorrà portare avanti una politica di rottura verso l’Ue, come spesso ha fatto la Lega sui temi dell’euro, oppure cambiare passo e avviare una politica di dialogo. Con l’obiettivo di cercare di sfilare il collo dal cappio o non farselo stringere troppo forte. In ogni caso, Draghi è non solo un tema ma anche una figura politica che sarebbe un vero peccato non prendere in considerazione. Per due motivi. Primo, ha una storia molto più vicina al centrodestra che al Pd. Secondo, è chiaramente in contrasto con Sergio Mattarella, il quale non sosterrà mai e poi mai un governo di centrodestra sia in patria che a Bruxelles. Su questo tema c’è posizione comune? Sarebbe interessante scoprirlo, a cominciare dalle alleanze dentro l’Europarlamento. La partita andrebbe avviata in contemporanea con la campagna elettorale. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem4" data-id="4" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/fisco-ue-agenda-centrodestra-2657717918.html?rebelltitem=4#rebelltitem4" data-basename="quattro-impegni-sulla-stagione-covid-che-segnino-una-cesura-con-speranza" data-post-id="2657717918" data-published-at="1658620865" data-use-pagination="False"> Quattro impegni sulla stagione Covid che segnino una cesura con Speranza Inutile far finta di guardare da un’altra parte o negare ipocritamente l’esistenza del problema. Per tanti elettori resta letteralmente indimenticabile (e non è un complimento, ma un sinonimo di «incancellabile») il comportamento di molti esponenti di centrodestra in tempo di pandemia. E più ancora dei voti parlamentari a sostegno delle misure di Roberto Speranza, più ancora delle mancate battaglie in senso contrario, più ancora dello schiacciamento sulla linea di Speranza anche delle regioni governate dal centrodestra, pesa il ricordo delle (evitabilissime) esibizioni mediatiche di non pochi parlamentari di centrodestra, campioni di zelo nel difendere l’indifendibile: elogi lirici del green pass e dell’obbligo vaccinale surrettizio (con relativa impossibilità di lavorare e portare il pane a casa per i «reprobi»), sostegno alle restrizioni più feroci e inutili, criminalizzazione dei dissenzienti, silenzio perfino rispetto all’approccio chiusurista che ha massacrato commercio-ristorazione-turismo-consumi. Lo scriviamo non per riaprire polemiche o per esacerbare divisioni. Al contrario, la chiarezza è nel più totale interesse del centrodestra, che - alle prossime elezioni del 25 settembre - deve in primo luogo temere l’astensione, la non partecipazione di quote di elettori che potenzialmente non voterebbero a sinistra, ma che sono rimasti colpiti - nell’ultimo biennio - dalle ambiguità di molti parlamentari, e dalla indistinguibilità dei loro orientamenti e scelte rispetto a quanto veniva proposto e imposto dal titolare del dicastero della Salute. Meglio dunque chiarire prima le intenzioni dello schieramento in pole position per vincere: proprio per evitare che un segmento significativo (e magari decisivo) di elettori scelga di stare a casa. Dunque, non si tratta - qui - di recriminare sul passato o di chiedere abiure politiche a chicchessia (ci mancherebbe), ma il punto è ragionare laicamente e pragmaticamente sul futuro, sulla stagione che si prepara, chiedendo a tutto il centrodestra quattro impegni pubblici, trasparenti, da onorare con serietà. Primo. Siamo entrati (da tempo, anche se troppi fanno finta di non capirlo) nella fase che le persone più ragionevoli indicavano da tempo: quella in cui bisogna «convivere con il Covid». Dunque, in primo luogo, il centrodestra deve impegnarsi a un approccio razionale, non emotivo, non ansiogeno, non tremendista, non chiusurista, che non terrorizzi l’opinione pubblica, che non alimenti la logica emergenziale. Secondo. Il centrodestra deve impegnarsi a non far ripartire lo strumento liberticida del green pass, e meno che mai a farne - com’è successo in passato - il cavallo di Troia per colpire la libertà delle persone, il loro diritto di muoversi e lavorare, di non essere punite e discriminate per una loro eventuale diversa scelta personale e sanitaria. Terzo. Il centrodestra, in vista dell’autunno, deve impegnarsi a una consecutio (logica e cronologica) inversa rispetto a quella caldeggiata da Speranza. Razionalità suggerisce (prima) di sapere quali nuovi vaccini saranno disponibili, (quindi) di capire che tipo di copertura avranno tali vaccini rispetto alle varianti esistenti, e (infine) di offrire tali vaccini a chi vorrà liberamente farne uso. Ribadiamo: offrire, non obbligare. Naturalmente informando i cittadini in modo corretto e completo, segnalando in particolare agli anziani e ai fragili cosa sia più opportuno per loro. Ma senza obblighi, né diretti né surrettizi. Quarto. Per questi motivi, è essenziale sapere preventivamente chi sia la persona che Fdi-Lega-Fi candideranno, in caso di vittoria, al ministero della Salute. Domandare è lecito, rispondere è cortesia.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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