2021-07-13
Fischi all’inno e medaglia rifiutata. Come sono poco british gli inglesi
Harry Kane (Getty images)
Pessima condotta davanti alla sconfitta: i reali disertano la premiazione, i giocatori si sfilano di dosso l'argento con sdegno e per le strade di Londra è una notte di caccia agli italiani. Poi parlano di fair play... Il fair play degli inglesi è cominciato prima ancora della partita. Hanno pensato che fosse giusto celebrare la festa dello sport calpestando la bandiera italiana. Poi devono aver ritenuto che calpestare la bandiera italiana fosse troppo poco e così hanno calpestato direttamente un italiano. L'hanno preso, l'hanno buttato a terra e l'hanno massacrato di calci e pugni. Il video ha fatto subito il giro dei social, a celebrare solennemente lo stile britannico nel tempio di Wembley. Il quale tempio, però, accidenti, anziché aprire le porte a questi gentiluomini, pretendeva di fare entrare solo quelli che avevano pagato regolarmente il biglietto. Fatto inaccettabile, si capisce, che ha richiesto l'immediato assalto ai tornelli con sfondamento delle reti di protezione. Sempre con tanto fair play, ovviamente, oltre che con parecchia birra in corpo.Poi è arrivato il momento degli inni, e i campioni del fair play, veri esempi di stile british, hanno fischiato quello di Mameli. Ovvio, no? L'avevano fatto in semifinale con i danesi, gli italiani si sarebbero potuti offendere se avessero ricevuto un trattamento diverso. L'allenatore inglese Gareth Southgate aveva pregato i suoi tifosi di non farlo, non tanto per sportività quanto perché sapeva che gli azzurri avrebbero reagito con ancor più forza e orgoglio, ma non c'è stato niente da fare. Quando il fair play chiama, il vero british non sa resistere. E così bordate di sibili e buuu ad accompagnare il momento più solenne dell'incontro. Più o meno lo stesso rumore che avevano fatto nella notte attorno all'albergo degli azzurri: del resto, si sa, anche cercare di disturbare il sonno degli avversari è un chiaro esempio di britannica sportività.Il calcio l'hanno inventato loro, no? It's coming home, sta tornando a casa, continuavano a ripetere. E invece a casa se ne sono tornati loro, piuttosto mestamente. Infatti quando è finita la partita, dopo l'ultimo rigore, hanno lasciato lo stadio. Tutti. Si capisce: mica come quei fessi che stanno lì, fino alla fine, ad applaudire chi ha vinto e a consolare chi ha perso. Macché. Via, tutti fuori, compresi il principe William, la principessa Kate e il principino George: i reali, dovendo rappresentare una nazione così sportiva, hanno scelto sportivamente di scappare per non dover premiare i campioni d'Europa. Anche perché, incredibilmente, i campioni d'Europa non erano quelli previsti dai giornali inglesi, i quali avevano già assegnato il titolo all'Inghilterra ancor prima che la partita si giocasse. Del resto, che cosa sarà mai questa mania di voler decidere sul campo chi vince e chi perde? Non è previsto dal fair play all'inglese.E così bisogna anche capire i calciatori inglesi: rimasti lì, nello stadio ormai vuoto, senza pubblico, senza la famiglia reale, e senza nemmeno quella vittoria che pensavano di avere già conquistato senza bisogno di giocare, quando si sono trovati al collo la medaglia dei secondi classificati se la sono subito levata di dosso con un gesto di disgusto. E di sdegno. «Noi secondi? Come si permettono?», si leggeva sul loro volto. E immaginiamo lo sconcerto di Matteo Berrettini, il nostro tennista, che invece ha accolto il secondo posto a Wimbledon, dopo aver lottato come un leone, con sorrisi e complimenti al vincitore Djokovic. Qualcuno ha commentato: «Sei stato davvero british». E lui: ma come? Io british? E perché? Non ho mica sputato sul secondo posto…Nel frattempo i tifosi inglesi usciti anzitempo dallo stadio, avendo una parte della serata ancora libera, hanno pensato bene di completare l'operazione di britannica sportività in eurovisione andando a sfasciare Londra e la testa di chi si frapponeva loro. Una cinquantina di arrestati, 19 agenti di polizia feriti, scontri da Piccadilly Circus a Leicester Square, e ancora tifosi italiani aggrediti dappertutto in una gigantesca caccia al tricolore. Quando si dice saper perdere. E infatti loro hanno sapute perdere. La faccia, per lo meno. Però il meglio lo hanno dato nelle ore immediatamente successive. E sì, perché per celebrare fino in fondo il trionfo dello stile british e del fair play sportivo, hanno cominciato a ricoprire di insulti e offese sui social i tre giocatori colpevoli di aver sbagliato il rigore, tanto più che costoro si permettono pure di essere neri. Non lo sanno che a Wembley la lotta al razzismo si ferma all'inizio della partita, quando ci si inginocchia in segno di rispetto per il Black Lives Matter? Dopo basta. Dopo vale tutto. E così dopo l'inginocchiamento contro il razzismo sono arrivati gli attacchi razzistici ai tre goleador mancati, Rashford, Sancho e Saka. Epiteti irripetibili. «Scimmia» e «mangiabanane» sono i più leggeri e fra i pochi pubblicabili. Anche questo, si capisce, un esempio indimenticabile di fair play. Oltre che di coerenza e di sportività.Ovviamente quest'ultima dimostrazione di stile british ha fatto infuriare tutti i british, a cominciare dal principe William che se però fosse rimasto nello stadio ad applaudire vincitori e vinti forse sarebbe stato un po' più credibile. Ma tant'è. Per fortuna abbiamo ancora negli occhi altri esempi, come Luis Enrique, l'allenatore della Spagna, semplicemente grandioso alla fine della sfida persa con l'Italia. Abbiamo negli occhi Pep Guardiola che dopo la sconfitta nella finale di Champions bacia la medaglia d'argento. E abbiamo negli occhi, l'abbiamo detto, il nostro Berrettini che butta giù l'amarezza della sconfitta senza farsi scappare neanche uno «stronzo di un serbo», come avrebbe preteso il fair play sportivo di moda oggi in Gran Bretagna. Ma, si sa, Luis Enrique, Pep Guardiola e Matteo Berrettini sono tre sportivi maledettamente mediterranei e latini. Mica british. Per fortuna.
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