2023-03-02
La Spagna fa un film su Acutis, l’Italia dorme
Un'immagine dal film su Carlo Acutis El cielo no puede esperar (Edreams Factory)
È uscito nelle sale iberiche «Il cielo non può aspettare», pellicola che ripercorre la vita del quindicenne milanese morto di leucemia e beatificato da Francesco. Un successo anche devozionale che il nostro cinema ha snobbato in nome del politicamente corretto.«La conversione non è altro che alzare lo sguardo». L’aveva scritto su un quaderno da bambino, lo ripete nel film a lui dedicato mentre osserva una notte stellata. In Spagna il beato italiano Carlo Acutis è su tutti i giornali; nello scorso weekend è uscito nelle sale El cielo no puede esperar (Il cielo non può aspettare) del regista Josè Maria Zavala, docufilm molto atteso nel mondo cattolico sul quindicenne milanese morto di leucemia fulminante e beatificato tre anni fa da papa Francesco. Per completare il concetto sullo sguardo divino, nel diario Carlo spiegava: «La tristezza è lo sguardo rivolto verso se stessi, la felicità è lo sguardo rivolto verso Dio. La conversione non è altro che lo spostamento dello sguardo dal basso verso l’alto. Basta un semplice movimento degli occhi».Da Madrid a Barcellona, la pellicola costruita sui gesti quotidiani di un ragazzo di oggi - un millennial - nel nome di Gesù sta coinvolgendo la Spagna in un piccolo vortice di devozione. «Carlo è un giovane che ci insegna come la santità sia possibile a prescindere dall’età; a 15 anni non si può essere meno santi perché tutti siamo chiamati ad esserlo», spiega a Vatican News Inès Zavala, la produttrice esecutiva dei 78 minuti del film.Il 10 ottobre 2020 stava seguendo alla televisione la cerimonia di beatificazione nella basilica di San Francesco d’Assisi e, davanti ai messaggi in chat di moltissimi amici emozionati, decise di proporre un copione su quel personaggio così raro ma famigliare. Il simbolo di una generazione. Non per nulla il sottotitolo è «Carlo Acutis, l’influencer di Dio».Carlo era un ragazzone di un metro e ottanta simile a molti altri, suprema banalità per indicare che studiava, giocava con gli amici, faceva sport e il suo baricentro era l’istituto dei gesuiti Leone XIII, uno dei più prestigiosi di Milano. In soli 15 anni ha lasciato una traccia indelebile. Era nato in una famiglia laica e benestante con poche concessioni alla religiosità: papà Andrea è manager nelle assicurazioni, il nonno era amico di Indro Montanelli.Prima che lui nascesse, la madre era andata in chiesa tre volte: il giorno della comunione, quello della cresima e quello del matrimonio. Ricorda Antonia Salzano, che oggi dedica la vita al testimoniare la memoria del figlio: «Lui è stato il salvatore di tutti noi. Fin da piccolo aveva una spiccata propensione per il sacro e davanti alle chiese mi diceva: entriamo a salutare Gesù. A sette anni volle fare la prima comunione, andava tutti i giorni a messa. È stato lui a trasmetterci la forza della fede».Carlo aveva un’altra passione che ha affascinato il Vaticano e ha indotto gli esperti della Congregazione delle Cause dei Santi a portare avanti l’iter per la beatificazione: Internet. Era ipertecnologico: computer, cinepresa, macchina fotografica digitale. Fin da bambino girava per casa con un camice e un badge da conferenza con scritto sopra «scienziato informatico». A sette anni ha chiesto la prima comunione, a otto programmava i computer come un webmaster, a 15 ha realizzato una mostra sui Miracoli eucaristici che sta facendo il giro del mondo per la terza volta. Ha diffuso la parola del Signore su Internet, il suo sito è cliccatissimo, altri centinaia parlano di lui in tutte le lingue del pianeta.È una star dei social network. Nel mondo ci sono scuole, oratori, istituti intitolati a Carlo Acutis. Dopo la morte, la sua fama è diventata virale. Il dono di capire l’informatica non fu mai fine a se stesso, con una delle frasi più celebri spiega ai coetanei che della tecnologia bisogna essere padroni, non schiavi. «Tutti nascono originali, molti muoiono fotocopie». La sindrome del gregge non lo ha mai sfiorato.Oggi quell’adolescente portato via dalla malattia è il primo beato millennial con il destino di diventare il patrono del Web. Soggetto perfetto per una sceneggiatura cinematografica, anche se scomodo per la società della comunicazione permeata di conformismo ateo, matrice dominante del progressismo mondialista. Nell’affidarlo alla carezza divina nel Sinodo dei giovani, Papa Francesco lo ha indicato come esempio di «santità nell’era digitale» con parole non equivocabili. «Sapeva molto bene che i meccanismi della comunicazione e delle reti sociali possono essere utilizzati per farci diventare soggetti addormentati, dipendenti dal consumo, ossessionati dal tempo libero, chiusi nella negatività. Lui, però, ha saputo usare le nuove tecniche di comunicazione per trasmettere il Vangelo, comunicare valori e bellezza».Qualche scettico sostiene che non ci sia un miracolo alla base della decisione, ma neppure Padre Pio poteva contare su un gesto eclatante; fu santificato per come visse le virtù.Il film funziona e per il valore riconosciuto dal ministero della Cultura spagnolo (come antidoto al bullismo, alla droga, alla pornografia) sarà proiettato anche nelle scuole. Secondo Inès Zavala, «Carlo, dall’alto, si sta muovendo come ha fatto quando era piccolo con il sito Web dei Miracoli eucaristici, così ora sta facendo con la pellicola, mettendo le vite di tanti giovani nelle mani del Signore». Presto dovrebbe arrivare in Italia. E allora ci si domanda perché il mondo del cinema italiano si è fatto soffiare l’opportunità di uscire dai recinti borgatari e dai riflessi condizionati arcobaleno con una storia così autentica e universale.La risposta è perfino elementare: il provincialismo e l’appiattimento al politically correct a senso unico costituiscono una cappa senza speranza. «Tutti nascono originali, molti muoiono fotocopie». Appunto.