2020-06-23
Figuraccia di Conte sui manager donna. Il voucher (pilotato) gli si ritorce contro
Prima la gaffe: «500 euro per la formazione». Poi si corregge: «35.000 euro a 500 candidate». E le business school ringraziano.No, decisamente non è andata in porto l'operazione-rosa, la «charme-offensive» escogitata da Giuseppe Conte per accattivarsi la simpatia del pubblico femminile, con particolare riguardo alle donne desiderose di affermarsi come manager. Tutto è partito dalla conferenza di domenica scorsa con cui il premier ha chiuso la kermesse degli Stati generali. A corto di cartucce e in cerca di titoli, Conte ha buttato lì un annuncio, peraltro incartandosi nell'esposizione: «Ci è stato presentato, e accogliamo un suggerimento, un progetto di un voucher di 500 euro per tre anni per le donne che aspirano a diventare manager. Nelle prime 100 imprese solo il 6% è guidato da donne». Già in diretta, su Facebook e Twitter, era prevalso lo sconcerto. Fulminante Salvatore Lattanzio (@salva_lat): «L'imponibile medio di una donna con qualifica di dirigente è 91.000 euro. Quindi non aveva idea di cosa stesse dicendo». Chirurgica Paola Zadra (@paola_zadra): «Se aspirassi a diventare donna manager, i 500 euro sarebbero sufficienti appena per “aspirare". Appunto». Insomma o pleonastico o inutile. Praticamente nessuno ha spezzato una lancia a favore del premier. Resisi conto del pasticcio comunicativo (ma non ancora dell'accoglienza che la proposta avrebbe avuto anche in seconda battuta), Conte e la sua macchina di propaganda hanno corretto il tiro: non più 500 euro, ma 500 donne. Ecco la versione riveduta e corretta da Palazzo Chigi, con nota notturna identificata come «lapsus»: «Non era di 500 euro il voucher per le donne manager ma il voucher per pagare a 500 donne l'anno un Mba Executive dal valore di 35. 000 euro. La proposta era delle Business School». In sostanza, dunque, il voucher pagato dallo Stato coprirebbe le spese per 500 master in amministrazione aziendale (Mba executive) da riservare ad altrettante donne. E qui ci sono tre osservazioni curiose da fare. La prima riguarda il comportamento fin troppo zelante di alcuni media (scritti, online, audiovisivi), che si sono affrettati a fornire la versione corretta da Palazzo Chigi senza dar conto del pasticcio precedente. In altri casi (e con altri interlocutori) molti si sarebbero affrettati a gridare alla «gaffe», e invece Conte continua a essere trattato in guanti bianchi. La seconda osservazione ha a che fare con una curiosa contraddizione del governo: non vuole i voucher (nemmeno in agricoltura) per non irritare i sindacati, eppure sembra pronto a inventarseli in tutt'altro contesto.La terza osservazione ha a che fare con una (ehm) singolare coincidenza. Spulciando il programma degli Stati generali del giorno precedente (sabato), alle ore 12, compaiono Giuseppe Soda (Sda Bocconi School of management), Massimo Bergami (Bologna Business School), e Paolo Boccardelli (Luiss School), cioè proprio i rappresentanti delle business school. Ecco, sarà senz'altro una coincidenza, ma colpisce il fatto che il giorno dopo Conte abbia sentito l'esigenza insopprimibile di ipotizzare 500 iscrizioni pagate (in tutto o in parte) dai contribuenti italiani. In ogni caso, anche qualche ora dopo, quindi non nelle reazioni a caldo durante la conferenza stampa, sui social Conte è stato massacrato, e proprio da donne note, impegnate, di successo, le prime a trovare offensivo questo contentino. Ecco Gaia Tortora (Tg La7): «Il voucher datelo a vostra sorella. Vogliamo essere pagate per ciò che valiamo. Quanto valiamo. Esattamente come gli uomini». Sarcastica Nathania Zevi (Tg3): «Evviva! Se ci sarà il voucher sarà un attimo diventare donna manager. Il problema era proprio quello». Demolitoria Stefania Cavallaro (Mediaset): «Il voucher? È una mancetta al figlio più lento, è l'ultima cucchiaiata di risotto avanzata, è una pezza peggio del buco. Amici, il voucher datelo a chi ha bisogno adesso di un aiuto, non alle donne tagliate fuori dalla competizione». Sposta il bersaglio Laura Ravetto (deputata Fi): «Invece di blaterare di voucher per aspiranti donne manager, chi è al governo (e questo vale per tutti, presenti e futuri) inizi a nominare qualche donna ai vertici delle partecipate». Lapidaria Maria Cristina Caretta (deputata Fdi): «Siamo al delirio da annunci». Insomma, l'operazione-simpatia del premier non solo non ha funzionato, ma si è trasformata in un clamoroso e atroce boomerang. E peraltro, in un clima di ipersensibilità alle parole e al loro uso, ad ogni sfumatura di significato, ad ogni ipotetica ombra di sessismo, sorprende che nessuno (anzi: nessuna) abbia sollevato l'obiezione lessicale più clamorosa: perché parlare di «voucher» quando, indipendentemente da ogni giudizio di merito su questa bislacca iniziativa, l'espressione più adatta sarebbe stata «borsa di studio»? Insomma, il povero Conte è finito nel mezzo del più classico cortocircuito politicamente corretto: voleva fare il paladino della cosiddetta «gender equality» (a spese dei contribuenti), e invece ha sparato un annuncio sgradito alle interessate, e perfino discriminatorio sia nella sostanza, sia nella forma, sia nel nome. Ritenta, Giuseppi!
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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Silvia Salis (Imagoeconomica)