2018-08-08
Feste dell’Unità choc nella rossa Emilia: «Siam qua a lavorare ma non votiamo Pd»
Una troupe di In onda trova la ex base dem ai tendoni leghisti. Gli ultimi rimasti ai vecchi raduni non vanno alle urne.Delusi. Arrabbiati. Accasati altrove e felici della nuova dimora. Sedotti da Matteo Salvini e addirittura pronti a spiegare perché. Disposti a trascorrere le loro serate alle feste blu della Lega come un tempo facevano con quelle rosse del Partito comunista. Il quadro degli elettori di centrosinistra che esce dalle feste dell'Emilia Romagna e dal viaggio in Italia del nuovo Pd a tratti è sconcertante.Mentre scorrono sullo schermo dello studio le immagini di due diversissime feste dell'Emilia Romagna, nello studio di In Onda, su La7, Graziano Delrio è stupito. A dire il vero anche io. Se non altro perché il servizio dell'inviata Chiara Billitteri colpisce con le sue interviste, che rivelano un umore tutto particolare e comune, anche se raccolto sotto bandiere di colore opposto. Il paradosso è questo: nella Festa della Lega (siamo a Cervia) la Billitteri trova praticamente quasi esclusivamente elettori che provengono da sinistra e che si dicono ormai disamorati dal Pd. La nuova base della Lega sembra quasi travasata da quella del partito che fu di Pier Luigi Bersani. Un popolo - come scopriremo tra poco attraverso le loro parole - di sostenitori che hanno cambiato campo e si dichiarano entusiasti della nuova scelta. Non c'è più la maggioranza silenziosa, non c'è il pudore del raccontarsi, ma addirittura il bisogno di spiegare. Questo primo fenomeno è spiazzante, certo, ma non del tutto improbabile. Il fatto curioso è che nello stesso giorno, alla festa del Pd di Villalunga di Casalgrande (in questo caso, addirittura, si chiama ancora «Festa de l'Unità» malgrado il giornale non esista più), si trovano moltissimo elettori del centrosinistra delusi: raccontano di frequentare la festa per affezione e per abitudine, ma non nascondono le loro perplessità, e in alcuni casi la loro rabbia verso il gruppo dirigente. Sostengono di essere passati al non voto. Quasi una eresia, rispetto al costume di una base militante. Non è un fenomeno nuovo. La settimana scorsa, a Scampia, un dirigente della sezione aveva addirittura criticato il segretario Maurizio Martina per la sua visita alle Vele: «Non si viene così, in una realtà territoriale. Prima devono chiedere scusa! Poi possiamo accoglierli!». Un moto di rabbia anche questo quasi stupefacente. Inconcepibile ai tempi in cui il segretario, anche se non era amato, non si metteva in discussione, men che meno in pubblico. Oggi il quadro è esattamente ribaltato. La base chiede ai suoi dirigenti un atto di contrizione, un gesto di discontinuità forte: che però non arriva. Così come il congresso, congelato, in attesa di vedere come si evolvono i rapporti di forza.Un popolo (un tempo) della sinistra sembra non perdonare queste scelte. Quelli che hanno cambiato bandiera - invece - sono quasi livorosi con il loro ex partito. Malinconia e rabbia. «Abbiamo fatto tantissime cose giuste», mi ha spiegato Martina mentre discutevano su questo punto, «ma non siamo riusciti a spiegarle». A Scampia, parlando del partito al Sud, è andato oltre: «Siamo sembrati un partito di potere, per il potere». Molti hanno storto il naso. Lo strappo è difficile per chi è stato in prima linea nella stagione renziana. Anche Delrio viaggia su questa lunghezza: «In un'altra festa del Pd, a Verona, io ho usato questa immagine... siamo come quelle madri che dicono ai figli: “Per te ho sacrificato qualsiasi cosa ma tu non mi vuoi bene!". Madri che non vengono capite né ricambiate». A Delrio chiedo se non pensa che sia necessario ammettere di aver fatto degli errori per recuperare questo moto di malcontento così radicale: «Noi abbiamo fatto tante cose positive per la gente comune, ma forse non li abbiamo coccolati abbastanza. Credo che volessero che stessimo un po' di più ad ascoltarli». Un atteggiamento che Massimo Iannone ha definito: «La teoria del deficit accuditivo».Chiedo a Delrio: ma perché passano alla Lega allora? Lui li coccola? «Perché pensano che Salvini possa risolvere i loro problemi!». Ma la sequenza delle voci che arrivano dell'Emilia Romagna è impietosa. Torniamo alla festa della Lega, all'ombra delle bandiere con Alberto da Giussano. Prima c'è una signora di mezza età: «Sono diventata elettrice della Lega da pochi anni. Prima votavo la sinistra. Mah...». Poi c'è un quarantenne con la montatura di resina azzurra: «Io fino a ieri ho sempre votato Pd. Ma ora sono qui perché mi piace Salvini. Si può dire? È un grande. Sono qui perché mi ha convinto la flat tax». Dopo di lui parla un signore di mezza età, più problematico: «Io avevo dato fiducia a Renzi. Ma il suo governo non mi è piaciuto. Sono rimasto deluso. Nessuno si è mai preoccupato degli extracomunitari, eccetera».Un'altra donna: «Io avevo votato per Renzi. Diceva che avrebbe fatto delle cose per i giovani, per i pensionati, per i lavoratori. Non ha fatto nulla di tutto ciò!». Signore anziano: «Io avevo votato per Renzi, e anche in modo convinto. Ma ora credo che sia ora di dare una svolta». Passiamo alla festa di Villalunga. Ti immagini di trovare spirito di opposizione, lo striscione all'ingresso recita «Una storia che non finisce mai». Ma già il militante delle salamelle con la maglietta rossa della festa è depresso: «Abbiamo toccato il fondo. Adesso speriamo di risalire». La cosa incredibile è che è il più ottimista che Chiara riuscirà a trovare. Un signore anziano, con i capelli bianchi: «La verità? Io sono qui, ma sono deluso». Una signora, con i capelli rossi: «Pensi. Dopo tanti anni io non sono andata nemmeno a votare. La cosa brutta è che mi hanno davvero deluso tutti quanti». Un militante baffuto: «L'ultima volta io non ho votato. Basta. Punto. Mi sono rotto le scatole. Il perché lo devi chiedere a Renzi». Un iscritto allo stand: «Dopo tre volte che questi qui ci hanno fatto perdere è ora di cambiare gruppo dirigente». Un altro volontario: «Devono rimboccarsi le maniche e mettersi a sentire la gente che lavora». Alessandra Ghisleri, per spiegare questo fenomeno ha inventato la categoria del «voto vendicativo». Vero. E questi elettori in attesa di un segno che non arriva sono ancora attraversati dalla rabbia.
Philippe de Villiers (Getty Images)
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