2024-04-28
Pierangelo Fenzi: «Il nostro cashmere lega Mongolia e Italia»
Nel riquadro Pierangelo Fenzi, responsabile ufficio stile di Falconeri
Il responsabile dell’ufficio stile del marchio Falconeri: «Produciamo un milione di abiti l’anno grazie alle capre allevate in Oriente. La lana arriva a Biella per le fasi di pettinatura e filatura e poi finisce ad Avio, dove 300 telai la trasformano in capi a portata di tutti».«Ho sempre pensato che ogni persona avesse il diritto di indossare un capo in cashmere, perché è davvero un piccolo grande piacere della vita». Parole di Pierangelo Fenzi, responsabile ufficio stile di Falconeri, marchio della galassia di Calzedonia fondato da Sandro Veronesi, che comprende anche Intimissimi, Tezenis, Signorvino, Atelier Emé. «Garantire un prezzo corretto mantenendo un alto standard qualitativo e riconoscendo la giusta remunerazione a tutti gli attori della filiera, dagli allevatori di capre della Mongolia alle filature, non era una missione scontata».Come avete raggiunto il risultato? «All’inizio era un cashmere che acquistavamo dalle più belle aziende italiane. Poi, una delle tante intuizioni di Veronesi è stata quella di pensare a una produzione in proprio, con proprie aziende in Mongolia per creare il filo. Nel frattempo sono state acquisite altre aziende di pettinatura e filatura a Biella e, quindi, l’impegno sul cashmere è divenuto verticale. Curiamo direttamente l’acquisto, viene filato e pettinato nelle nostre aziende a Biella per essere poi trasferito nella sede di Avio, dove viene trasformato in maglieria».Quindi gli investimenti partono dalla Mongolia. «Facciamo la raccolta del pelo da questi allevatori mongoli, tutto viene convogliato nella sede di Falconeri dove viene pulito, lavato, sgrassato e sgrossato dalle fibre meno nobili, controllato per poi essere mandato a Biella dove viene fatta una ulteriore selezione e da lì parte il ciclo operativo».È questo il segreto per avere cashmere di grande qualità a un prezzo accessibile? «Abbiamo un controllo totale sulla materia prima, il fatto di averne la gestione, la produzione e la confezione ci consente di sapere tutto sul filato e su come viene trattato. Questo ci permette di avere una contrazione di costi enorme e di controllare la qualità». Quando inizia la storia di Falconeri? «È nata con me all’inizio del 2000. Ero partito da solo in questa avventura, volevo portare sul mercato questo prodotto di maglieria in alternativa ai grandi marchi che esistevano all’epoca. Piano piano l’azienda è cresciuta fino a quando, alla fine del 2008, ho conosciuto Veronesi, interessato a sviluppare un brand di maglieria. Ha prospettato progetti molto interessanti e sono entrato a far parte del gruppo Calzedonia. Nel corso di quel primo decennio avevo capito che c’era la necessità, per degli sviluppi più rapidi e meno faticosi, d’avere dei partner. Oggi c’è questa grande mania dei fondi, personalmente ho ritenuto che una azienda importante come Calzedonia, retta da una persona come Veronesi, fosse la spalla ideale per accompagnare il brand verso una crescita che poi è effettivamente avvenuta». Il nome Falconeri da dove deriva? «Quando ho iniziato questa avventura, la difficoltà è stata quella di trovare un marchio che non fosse registrato, facile da capire e legarlo a un mondo. Stavo leggendo un libro e mi aveva colpito il nome dell’antropologo Falconeri il quale aveva dato a sua volta il suo nome alla capra, Hircus Falconeri, che è poi la capra dalla quale si prende il vello, la fibra dalla quale deriva il cashmere». La sede è sempre stata ad Avio? «Quando sono entrato in Calzedonia avevamo una piccola struttura vicino a Verona ma la parte industriale è partita da Avio. Nel 2014 è stato modificato l’assetto produttivo, da calzificio è stato trasformato in maglificio e oggi qui ci sono circa 300 macchine Shima, ad alta tecnologia: si tratta delle macchine più avanzate nel mondo della maglieria. Abbiamo focalizzato l’attenzione, in particolare, sul mondo del cashmere, in particolare sul quello super fine, una fibra che non si trova facilmente sul mercato. Siamo tra i maggiori produttori di ultrafine 2.50 e ultrasoft 2.28. Ultrafine è utilizzabile anche d’estate, leggero e molto morbido, piacevole, non ha stagionalità. Si può realizzare solo con il miglior cashmere». Quante maglie producete all’anno? «Più di un milione di capi per oltre 350.000 chili di cashmere».Quanti sono i negozi Falconeri nel mondo? «Più di 200, a metà tra Italia e estero. Abbiamo molte aperture in previsione, molti i rifacimenti. C’è un progetto importante in itinere».I mercati dove siete più forti? «L’espansione è partita in Russia. Stiamo avendo un aumento di negozi in Francia, Spagna, e va particolarmente bene quello di New York. L’estero è un working progress. La Turchia è un altro mercato importante. E siamo focalizzati molto sull’Italia».Golf, sci, tennis: i vostri testimonial sono tutti sportivi. «Il nostro prodotto si addice molto a tutto il mondo dello sport. Tanti capi tecnici con, all’interno, un’anima di cashmere. Uno dei primi obiettivi è quello di farci conoscere dai giovani. Per la maggior parte, le maestranze sono formate da giovani, anima dell’azienda. Lo stesso concetto viene trasportato nel mondo dello sport. Ruggero Tita, nostro conterraneo del Trentino, convocato per le Olimpiadi di Parigi 2024 per la vela, rappresenta un ambassador che porta la nostra serietà nel mondo».
Auto dei Carabinieri fuori dalla villetta della famiglia Poggi di Garlasco (Ansa)
Volodymyr Zelensky (Ansa)