2025-03-24
«Favola Juve Stabia? Dietro c’è la gavetta ma anche leggerezza»
Guido Pagliuca (Getty Images)
Il mister Guido Pagliuca, maestro di promozioni e premiato oggi con la panchina d'oro di Serie C: «Partire dalle categorie inferiori ti insegna a gestire gli uomini. La mia vita? Tutta calcio e famiglia».Maestro di promozioni, con due campionati di serie D e uno di C vinti, Guido Pagliuca è uno di quegli allenatori che a 49 anni di strada ne ha fatta tanta e molta altra intende farne. Dopo una carriera da calciatore interrotta troppo presto per un grave infortunio, a 28 anni ha deciso di sedersi in panchina e cominciare una lunghissima trafila alla guida di formazioni giovanili e appunto di serie D e C, firmando delle vere e proprie imprese, come la prima storica partecipazione tra i professionisti del Borgo a Buggiano nel 2011, o il ritorno in Lega Pro della Lucchese nel 2014. Ma il vero capolavoro, il tecnico di Cecina lo ha realizzato lo scorso anno riportando la Juve Stabia nel campionato cadetto dopo una cavalcata trionfale nel girone C della serie C 2023/2024. Un capolavoro che a dirla tutta è ancora in corso d’opera, perché oggi la squadra di Castellammare non solo è la rivelazione del campionato di serie B, ma con l’attuale sesto posto in classifica è in corsa per qualificarsi ai playoff.Mister, riavvolgiamo il nastro. Un anno fa, di questi tempi, vi preparavate a festeggiare la promozione in serie B. Qual è il ricordo più dolce che ha di quella cavalcata?«Quando siamo rientrati da Benevento quella sera e l’aver condiviso con tutta Castellammare un momento bellissimo. Non solo per tutti noi di campo, ma anche per le persone che hanno dato il proprio apporto al raggiungimento di qualcosa di grande».È l’impresa più bella della sua carriera da tecnico?«Sì. Perché quando raggiungi un obiettivo importante, che sia la salvezza o la vittoria di un campionato, significa che ci sono dei valori importanti all’interno della squadra e che la somma delle parti ha fatto la differenza».E un anno dopo siete in corsa per i playoff e tutti parlano di rivelazione.«Essendo noi una squadra giovane con tanta ambizione, penso si debba parlare di un’opportunità di crescita per continuare il nostro percorso con una classifica che ti genera entusiasmo e ti dà anche un pochino di consapevolezza. Senza però trascurare una delle nostre qualità più importanti che è l’umiltà. Questo ti permette di lavorare con serenità restando focalizzati sul miglioramento, anche perché non possiamo permetterci di abbassare il livello di attenzione se vogliamo continuare a crescere. Se iniziamo a pensare alla classifica, all’obiettivo playoff o alla salvezza, rischiamo di perderci in cose che non dipendono da noi».In molti parlano di favola Juve Stabia, ma come si costruisce una favola?«Penso sia il coronamento del lavoro di tante componenti, di tante persone. In primis dei nostri giocatori, della società, del direttore, ma anche delle persone meno visibili, ma che sono presenti e che lavorano per la Juve Stabia. È un insieme che ci dà qualcosa in più e che ci porta a fare un percorso come il nostro che agli occhi di tutti può risultare una favola».A livello di mentalità, come si passa in così poco tempo, da una stagione all’altra, a competere per obiettivi diversi?«Un po’ mi ha aiutato il percorso che ho fatto. Quando ti devi salvare hai una mentalità dove il punto ti deve generare entusiasmo, quando ti trovi a lottare per vincere il campionato quel punto ti deve portare alla vittoria la domenica dopo perché hai la necessità di rimanere aggrappato alle prime, quindi vincere deve diventare una cosa normale e tutto questo devi riuscire a farlo mantenendo sempre la leggerezza, perché il calcio è un gioco. Responsabile e organizzato, ma pur sempre un gioco dove devi far provare al giocatore il divertimento».Per lei la B era una novità. Come si è approcciato alla nuova categoria da esordiente?«Grazie alle difficoltà che ci sono nel campionato e grazie alla bravura degli allenatori e delle squadre forti che ci giocano. Confrontarsi con loro mi porta a studiare, a passare tanto tempo davanti alla lavagna per mettere i miei giocatori nelle condizioni migliori di esprimersi».Il direttore sportivo Lovisa ha detto che è un piacere osservare i suoi allenamenti perché da lei si impara molto. Quanto è importante avere un ds così?«Ho un grande rapporto con lui. È un ragazzo ambizioso che studia tantissimo, guarda molte partite, si aggiorna sui profili dei giocatori. Per noi è uno della squadra che vive la nostra quotidianità e per noi questo è un aiuto importante».Com’è la sua vita al di fuori del calcio?«Ho una famiglia, mia moglie Laura e mio figlio Niccolò, che mi supporta e mi sopporta sempre. Il calcio mi assorbe tantissimo tempo, passo tantissime ore a studiare perché è una cosa che mi piace e mi appassiona. Diciamo che oltre al calcio e alla famiglia mi concedo poco altro».Lei ha fatto della gavetta un punto di forza. Come giudica il suo percorso?«Quando ho deciso di smettere di giocare sentivo di avere già dentro la voglia di fare questo percorso. Un percorso che ho iniziato senza sapere dove potessi cascare, perché non essendo stato un ex giocatore importante, non sapevo se avessi avuto gli agganci o le possibilità per farcela. Così, grazie ai giocatori e alle società che ho avuto, ma anche grazie allo studio e alla passione che metto in questo lavoro, ho fatto il mio percorso e ho avuto le mie possibilità, cercando attraverso gli errori e le cose fatte meglio di crescere e formarmi sia caratterialmente che tecnicamente».Dividendosi tra campo e lavoro.«Sì, perché ho iniziato parecchio giovane ad allenare e quando alleni in serie D non sempre gli stipendi ti permettono di poter vivere di calcio. Cercavo di far conciliare il lavoro nell’impresa di famiglia con la passione di allenare, fino a quando poi è partito il percorso fatto solo di calcio e ho potuto scegliere la passione».Quanto è importante per un allenatore affrontare un percorso del genere?«Lo è specialmente nella gestione delle risorse umane, perché ti accorgi che nelle categorie inferiori ci sono vari aspetti di cui tener conto che alcune volte vanno oltre al fatto del professionista e ti trovi a dover gestire diverse situazioni, tante sfaccettature che ti legano ai calciatori anche a livello umano ed emotivo».Nel calcio di oggi conta meno fare la gavetta?«Penso che ognuno sia fatto per quello che è e per quello che ha vissuto. Magari la possibilità di andare subito in serie A viene data a un ex calciatore con un vissuto in determinati ambienti. Per quanto riguarda figure come la mia, che vengono da un calcio giocato meno importante, c’è bisogno di una gavetta anche per avere un percorso dal quale attingere nei momenti di necessità, mentre chi ha già vissuto determinate situazioni penso sia giusto che abbia le possibilità di andare subito in una grande squadra, anche se sono convinto che aver fatto le varie categorie possa aiutare».È stato vice di Marco Baroni (oggi alla Lazio, ndr) a Cremona, un altro tecnico che di gavetta ne ha fatta. Si aspettava arrivasse così in alto?«Oltre a essere un allenatore forte sul campo, è una persona di uno spessore e qualità assoluta. È un amico che stimo tantissimo e mi dà consigli. Ha un potenziale illimitato, la sua umiltà e il suo essere sempre dentro un contesto equilibrato, secondo me, l’ha portato oggi a essere uno degli allenatori più forti della serie A».Oggi si discute molto su quanto incida la mano dell’allenatore. Lei come la vede?«Il calcio di oggi è in continua evoluzione. È cambiato tanto rispetto a prima e penso che ci debba essere dell’organizzazione e questa la porta un allenatore che studia e si aggiorna, però ci devono essere le qualità dei giocatori che riescono a divertirsi e che hanno grande ambizione e disponibilità».In questi giorni i campionati sono fermi per la pausa Nazionali. A proposito, le piace questo nuovo corso avviato da Spalletti dopo il flop agli Europei?«Sì, perché reputo Spalletti un genio in queste cose qui, oltre che sul campo e sull’aspetto tattico, è un allenatore che ti dà sempre spunti per studiare, molto bravo anche nella comunicazione e nel formare gruppi che danno emozioni. Penso che sia veramente la persona giusta al momento giusto per la Nazionale italiana».Voi avete molti giovani e di qualità nella vostra rosa. Ce n’è qualcuno che l’ha stupita particolarmente per talento e potenzialità?«Ci sono tanti giovani in serie B, l’unica cosa che mi sento di dire ai nostri è che il lavoro quotidiano li può portare a un miglioramento che in un equilibrio generale li può far emergere più o meno degli altri. Devono avere l’ambizione di arrivare e abbinarla alla consapevolezza e all’umiltà, senza che una cosa prevalga sull’altra».Come sta vivendo questa sosta?«Avevamo bisogno di un po’ di riposo. È naturale che noi dello staff siamo in continuo aggiornamento per migliorare, ma alla squadra serviva un po’ di leggerezza perché a livello cognitivo siamo stati impegnati bene fin qui e ora ripartiamo focalizzati sul finale di stagione».Anche perché adesso si entra nella fase cruciale.«Sì, penso che con il rientro dalla sosta tutte le squadre ripartiranno con gli equilibri assestati e questo renderà ancora più difficili le ultime otto partite di campionato».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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