2021-05-17
Il «Fatto» si rassegni: non ci piace la censura
Antonio Padellaro, ex direttore dell'Unità e del Fatto quotidiano, è preoccupato. Il collega teme che la destra si appropri di uno dei cavalli di battaglia della sinistra, ovvero la battaglia contro i censori. Ne ha scritto ieri, sul giornale che ha diretto e che ora è affidato alle cure di Marco Travaglio.A scuotere l'animo sensibile dell'ex numero uno della testata comunista è il fatto che io, per criticare il presidente della Corte costituzionale, abbia citato un intervento di Palmiro Togliatti che risale ai tempi dell'assemblea costituente.Voglio subito tranquillizzare Padellaro. Le parole del caporione del Pci le usavo a proposito della Consulta già vent'anni fa. Infatti, la tendenza dei giudici della legge a esondare dal proprio compito, invadendo quello del Parlamento, non è di ieri. Giancarlo Coraggio, l'ennesimo presidente (in 65 anni ne abbiamo avuti 44, all'incirca uno ogni anno e mezzo, mentre in America in poco meno di due secoli e mezzo ne hanno avuti 17), l'altroieri ha messo i piedi nel piatto, dicendo che se le Camere non approveranno una norma a tutela delle minoranze, ossia il ddl Zan, la Corte non rimarrà «inerte». Poi, siccome forse temeva di non essere stato sufficientemente chiaro, a una domanda dei giornalisti presenti ha risposto che il disegno di legge contro l'omofobia è opportuno. Che un signore, sconosciuto ai più, si permetta di dire ciò che è opportuno e minacci un intervento della Corte costituzionale su una materia che è di esclusiva competenza del Parlamento, a me è parso grave e per questo ne ho scritto, dicendo che la Consulta tifa per la legge bavaglio. Non lo avessi mai fatto. A Padellaro si sono rizzati i capelli, perché «la destra adopera le stesse parole della sinistra». Non solo. L'ex direttore dell'Unità si lamenta, perché in passato «abolire la libertà di opinione (e possibilmente qualsiasi) era la loro missione della vita». Secondo Padellaro, i «giornalisti di destra (in realtà i giornalisti de La Verità non sono di «destra», ma semplicemente indipendenti, soprattutto dal conformismo di sinistra, ma questo è un concetto difficile da comprendere per chi sia cresciuto a piombo e martello, dove per piombo si intende quello della tipografia e non quello delle pistole, ndr) tifavano appassionatamente per la censura e se la censura esitava a togliere di mezzo i film “sporcaccioni" ci pensavano i camerati a inscenare gazzarre (e a mollare ceffoni) nei cinema che proiettavano Pasolini».Ora, si dà il caso che, per quanto mi riguarda, ai tempi di Salò e le 120 giornate di Sodoma, il film scandalo dell'autore di Ragazzi di vita, non fossi neppure maggiorenne e dunque non solo non andassi in giro a «mollare ceffoni» a nessuno, ma nemmeno tifassi appassionatamente per la censura. Aggiungo di più, e cioè che, negli ultimi trent'anni, tra l'indifferenza generale, soprattutto dei cosiddetti compagni, della censura, io sono stato vittima: accusato due volte di vilipendio al capo dello Stato (che guarda caso era un ex comunista di nome Giorgio Napolitano), licenziato un paio di volte dalla direzione dei quotidiani che mi erano stati affidati per aver osato pubblicare notizie sgradite, infine trascinato in tribunale da un ex presidente della Camera che sperava di imbavagliarmi e si augurava di sbancarmi con i risarcimenti delle cause civili (gli andò male). No, non ho mai tifato per la censura, ma semmai l'ho subita. Tuttavia, questo non mi ha impedito di continuare a fare il mio mestiere senza condizionamenti e di segnalare, proprio con le parole di Togliatti, cioè di un comunista, anzi di uno stalinista, il degenerare di una corte di pochi nominati, i quali vorrebbero sostituirsi agli eletti, cioè ai rappresentanti del popolo. Per l'ex segretario comunista, si rischiava una deriva anti democratica, un pericolo per un Paese che era appena uscito dalla dittatura.Denunciare tutto ciò, scrivere che la Consulta tifa per la legge Zan e che si vuole introdurre un reato per punire con il carcere le opinioni diverse sull'utero in affitto, l'identità di genere, la difesa della famiglia da un maschio e una femmina, per Padellaro è un piagnisteo. In realtà, l'ex direttore del Fatto ritiene che parlare di censura sia un suo diritto esclusivo e di quelli che la pensano come lui. Chi, come il sottoscritto, si preoccupa di difendere «i diritti costituzionali» e la libertà di pensiero e di stampa sarebbe un usurpatore, che addirittura vorrebbe rubare ai compagni «il lavoro». Tranquillo, caro collega. Non c'è pericolo. Per quanto mi riguarda quel lavoro non lo voglio fare. Non sono il guardiano dell'ideologia. Alla Verità siamo solo i difensori della libertà. E per questo ci schieriamo sempre contro chiunque ci voglia imbavagliare. Che si tratti di una legge, di una Consulta o di un giornalista «comunista».