2018-10-30
Far tornare in Italia Battisti si può. Bolsonaro ci prepara il «regalo»
A poche ore dalla clamorosa vittoria alle elezioni brasiliane, il figlio del presidente twitta già sull'estradizione. Per l'ex leader dei Pac potrebbe essere arrivata la fine della lunga latitanza protetta dal gotha della sinistra.«Il regalo è in arrivo!». Così, ieri mattina, ha scritto su Twitter Eduardo Bolsonaro, figlio del nuovo presidente del Brasile. Con quelle cinque parole, Bolsonaro jr ha risposto alla richiesta che sul social network aveva appena avanzato il ministro dell'Interno Matteo Salvini, chiedendo di riavere al più presto in Italia Cesare Battisti.Per l'ex leader dei Proletari armati per il comunismo, che la nostra giustizia ha condannato all'ergastolo per quattro omicidi ma che è latitante dall'ottobre 1981, finalmente in Brasile tira davvero una brutta aria. Da domenica sera, chissà, Battisti starà forse pensando a come organizzare una nuova fuga: e magari maledirà il destino, perché a Buenos Aires proprio un suo coetaneo di origini italiane, Jair Bolsonaro, ha vinto le presidenziali con il 55,3% dei voti, portando al governo la sua nuova destra, nazionalista e liberista. Tante volte, in campagna elettorale, Bolsonaro aveva confermato l'impegno «a estradare Battisti, il terrorista più amato dalla sinistra». Ora Bolsonaro ha trionfato contro Fernando Haddad, alla testa del Partito dei lavoratori (ed ex ministro dell'Istruzione negli ultimi governi di sinistra guidati da Luiz Inacio Lula da Silva e Dilma Roussef, spazzati via dalle inchieste per corruzione), proprio garantendo di «fare piazza pulita di delinquenti e corrotti». Ieri, da presidente, ha dichiarato che «non si poteva continuare a vivere con l'estremismo e il comunismo». E sempre ieri Salvini si è detto pronto «ad andare personalmente in Brasile per incontrare Bolsonaro, ma anche per prendere Battisti e per riportarlo nelle nostre galere».Condannato una prima volta negli anni Settanta per una rapina, imputato anche per reati sessuali, Battisti si «converte» alla lotta armata nel carcere di Latina e nel 1977, quando esce, si dà alla latitanza. Tutti gli inquirenti che si sono occupati di lui, a partire dal pm Armando Spataro che una volta lo ha definito «un assassino puro», si dicono convinti che a Battisti l'ideologia sia servita solo come paravento estetico: un mezzo per nobilitare una vita dedicata in realtà alla violenza e all'arricchimento personale. Di certo non hanno nulla di romantico i quattro omicidi che gli sono stati attribuiti da sentenze definitive. La sua prima vittima è Antonio Santoro, un maresciallo della polizia penitenziaria ucciso il 6 giugno 1978 a Udine. Il 16 febbraio 1979 vengono commessi altri due omicidi: a Milano viene ucciso il gioielliere Pierluigi Torregiani, e solo perché un mese prima ha sparato a un rapinatore (che a sua volta ha ferito Alberto, il figlio quindicenne del gioielliere, da allora costretto su una sedia a rotelle); vicino a Venezia muore Lino Sabbadin, un macellaio di Mestre che si oppone a una rapina. Per il delitto Torregiani, Battisti viene condannato come co-organizzatore, per l'altro i giudici lo condannano per complicità morale. L'ultimo omicidio è del 19 aprile 1979: a Milano, il terrorista fredda a colpi di pistola Andrea Campagna, un agente della Digos. Nel giugno 1979, Battisti viene arrestato a Milano. Due anni dopo, il 4 ottobre 1981, un commando di compagni assalta il penitenziario di Frosinone e lui evade. Da allora, e sono trascorsi 37 anni esatti, è il terrorista rosso più protetto nella storia. Si nasconde in Messico, poi dai primi anni Novanta viene adottato dalla «gauche caviar» parigina grazie alla protezione garantita dal presidente Francois Mitterrand, che teorizza la difesa dei nostri terroristi rossi «inseguiti dalla brutalità giudiziaria italiana». Quando poi, caduta la «dottrina Mitterrand», nel 2004 Battisti viene arrestato a Parigi, centinaia di intellettuali italiani e francesi (tra loro anche Roberto Saviano, che nel 2009 ritirerà la firma) sottoscrivono appelli per la sua scarcerazione: così riottiene la libertà e fugge in Brasile. Qui, per altri 14 anni, vive protetto da un'inverosimile Internazionale della cultura di sinistra. Perfino quando, nel 2009, il Supremo tribunal federal di Buenos Aires deve riconoscere che Battisti va estradato per i suoi crimini, i giudici lasciano l'ultima parola al presidente Lula. E il 31 dicembre 2010, nell'ultimo giorno di mandato, Lula gli concede lo status di rifugiato politico. La situazione non cambia con la nuova presidente, Dilma Roussef, che l'8 giugno 2011 torna a negare l'estradizione, sostenendo che in Italia il latitante possa «subire persecuzioni a causa delle sue idee».Nel 2016 va al potere il centrista Miguel Temer. La politica brasiliana sembra meno favorevole al terrorista. Contro di lui cominciano a giocare le troppe interviste, sempre irritanti e critiche nei confronti della giustizia italiana. Gioca soprattutto il tentativo di fuga del 4 ottobre 2017, quando Battisti viene arrestato mentre cerca di fuggire in Bolivia: finisce agli arresti domiciliari. Nel novembre 2017 sembra che la grande fuga stia per finire. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, rinnova la domanda di estradizione. C'è di mezzo anche una storia di documenti falsi, che Battisti avrebbe usato per il suo matrimonio. Ma lo scorso 25 aprile il Supremo tribunal federal, dove gode evidentemente di qualche protezione di troppo, gli restituisce la libertà. Se non sarà già scappato chissà dove, oggi Battisti rischia grosso. La speranza è che il nuovo ministro italiano della Giustizia, il grillino Alfonso Bonafede, non si sia lasciato scappare l'occasione e abbia già chiesto al suo collega brasiliano severe misure cautelari per il latitante. Nell'attesa di novità sull'estradizione, si spera anche che Bolsonaro lo stia facendo sorvegliare come si deve: una nuova fuga, questo è certo, per il neopresidente sarebbe una beffa irrimediabile.
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