
Moltissimi fra i favorevoli ai vaccini sono percorsi da interrogativi reali. Ma invece di risposte, si dà loro la patente di impresentabiliIl 12 novembre 2019 ricevetti un'email da una redattrice di un altro giornale per cui scrivo (o scrivevo, non è chiaro), nella quale mi si chiedeva di recensire un film di Elisabetta Sgarbi intitolato Vaccini. 9 lezioni di scienza. Non era possibile mandarmene semplicemente un video, perché la regista insisteva che la sua opera poteva essere propriamente goduta e valutata solo su un grande schermo. In realtà, con il senno di poi, mi resi conto che non avrebbe perso nulla se l'avessi visionata sul mio cellulare; ma, per non creare complicazioni, mia moglie e io acconsentimmo a una proiezione privata in una sala del cinema Anteo di Milano. Qualche giorno dopo, inviai alla giornalista la mia recensione, in cui per carità di patria evitavo di discutere i meriti (?) artistici del film e mi concentravo sul suo messaggio. Qui di seguito ne do uno stralcio. «Il rapporto fra verità e democrazia è da sempre tormentato. Al suo processo, Socrate dichiarò di dire la verità; l'assemblea democratica che lo giudicava lo condannò a morte. Pettegolezzi e calunnie avevano avuto la meglio. Platone raccomandò allora una dittatura illuminata, in cui se opportuno si mentisse al popolo per il suo bene. Varie ricette alternative sono state proposte, ma una sola strada è sempre rimasta aperta: una paziente, ininterrotta opera di educazione che metta tutti in grado di decidere con cognizione di causa. Il sonno della ragione, e della conoscenza, genera mostri. È un tema di sconcertante attualità, in tempi in cui la Rete ha rinverdito una democrazia diretta come quella ateniese, non più mediata da partiti o istituzioni, basata su quanto fa tendenza in un determinato, ed effimero, momento. Circolano bufale di ogni genere; la resistenza all'immunizzazione ne è un caso eclatante. Elisabetta Sgarbi lo prende di mira nel documentario Vaccini. 9 lezioni di scienza. Le intenzioni sono lodevoli; il risultato lascia perplessi. A una cattedra si susseguono augusti personaggi, identificati dalle loro luminose credenziali, che diramano in pochi minuti parole di verità. Sei sono medici; una si occupa di semiotica; due (incluso l'immancabile Massimo Cacciari) ricevono il ridicolo appellativo di filosofo. Per ravvivare lo spettacolo ci sono segnali inquietanti: un cranio con notazioni di frenologia (un esempio di scienza tanto sciagurato quanto l'astrologia), un pupazzo che urla alla Munch e molti giocattoli. I quali sono inquietanti perché stabiliscono il tono della conversazione: da una parte i cattedratici, depositari della verità; dall'altra il pubblico, costituito da bambini cui bisogna spiegare le cose con immagini al loro livello. Se questo vuole essere un discorso a favore dell'autorevolezza della scienza, come afferma la regista, non funziona. Primo, la scienza non esiste; esistono progetti di ricerca molteplici e spesso contrastanti. Secondo, questi progetti a volte commettono errori marchiani. Terzo, se i fatti non sono democratici, noi però non siamo in possesso dei fatti ma solo delle nostre opinioni (per quanto articolate e strutturate) sui medesimi». Quella recensione redatta in un momento per me non sospetto mi è sembrata acquisire, a posteriori, un senso profetico. Ogni giorno nei quasi due anni successivi non ha fatto che confermare la mia conclusione di allora: «Mi piacerebbe vedere la migliore informazione disponibile davvero condivisa, nei dettagli e con rispetto dei propri interlocutori, con umiltà e non con decreti apodittici e apocalittici». Io ho sempre sostenuto l'utilità dei vaccini, sulla mia pelle e su quella dei miei figli. In tempi recenti, sono stato vaccinato contro il tetano, l'epatite B, la polmonite e perfino il fuoco di Sant'Antonio. Quando però persone ragionevoli e informate sollevano dubbi sulle tracce di ingredienti pericolosi che vi sarebbero presenti, o sui rischi di somministrarli a bambini troppo piccoli, o troppi tutti insieme, mi aspetterei che in un Paese civile le loro obiezioni fossero prese sul serio, che vi si svolgesse sopra una conversazione pacata e approfondita e si cercasse di arrivare insieme, non a un'impossibile assoluta verità, ma a un accordo fondato sul buonsenso. Mi aspetterei che questo fosse l'atteggiamento dei ricercatori e del governo, se gli uni e l'altro fossero davvero interessati alla nostra salute, fisica e psichica. Quel «film» esibiva invece paternalismo e arroganza: gli stessi tratti che hanno dominato i provvedimenti «scientifici» e «politici» che gli sono seguiti (le virgolette stanno a indicare che tali provvedimenti non hanno avuto nulla di scientifico o di politico). Alle legittime preoccupazioni di onesti cittadini nei confronti di terapie sperimentali buttate sul mercato senza adeguate verifiche, e del proliferare di evidenze sulla loro inefficacia e sui danni che procurano, si risponde con l'insulto e con lo scherno, con l'arbitrario esercizio del potere e l'oscuramento di ogni opinione alternativa. Mia moglie e io non potevamo saperlo, ma in quel pomeriggio di novembre 2019, nella saletta riservata del cinema Anteo, stavamo assistendo a una piccola prova generale dei tristi mesi a venire. La mia recensione non fu mai pubblicata. Di lì a poco, la giornalista che mi aveva invitato a scriverla pubblicò un libro presso la casa editrice diretta da Elisabetta Sgarbi. Per finire, una doverosa correzione. Una lettrice mi ha segnalato che, in contrasto con quanto ho affermato nel mio ultimo articolo, Trump è stato curato con un protocollo diverso da quello Zelenko, che prevedeva due antivirali e uno steroide. Avendo indipendentemente verificato l'informazione, accetto la correzione e ringrazio la lettrice. Rimane vera la sostanza di quel che dicevo: (a) Trump è stato curato nella prima fase della malattia, non assoggettato a criminale, vigile attesa e poi ad avere i polmoni arrostiti dai respiratori, (b) il protocollo che gli è stato somministrato non era accessibile ai comuni mortali. E rimane vero che migliaia di pazienti sono stati curati con successo dal protocollo Zelenko.
Elly Schlein (Ansa)
La leader Pd dice che la manovra «favorisce solo i ricchi», come se avere un reddito da 50.000 euro lordi l’anno fosse da nababbi. In realtà sono fra i pochi che pagano tasse dato che un contribuente su due versa zero Irpef. Maurizio Landini & C. insistono con la patrimoniale. Giorgia Meloni: «Con me mai». Pure Giuseppe Conte non ci sta.
Di 50.000 euro lordi l’anno quanti ne finiscono in tasca a un italiano al netto di tasse e contributi? Per rispondere è necessario sapere se il contribuente ha moglie e figli a carico, in quale regione viva (per calcolare l’addizionale Irpef), se sia un dipendente o un lavoratore autonomo. Insomma, ci sono molte variabili da tener presente. Ma per fare un calcolo indicativo, computando i contributi Inps al 9,9 per cento, l’imposta sui redditi delle persone fisiche secondo i vari scaglioni di reddito (al 23 per cento fino a 28.000 euro, al 35 per la restante parte di retribuzione), possiamo stimare un netto di circa 35.000 euro, che spalmato su tre dici mensilità dà un risultato di circa 2.600 euro e forse anche meno. Rice vendo un assegno appena superiore ai 2.500 euro al mese si può essere iscritti d’ufficio alla categoria dei ricchi? Secondo Elly Schlein e compagni sì.
Elly Schlein e Vincenzo De Luca (Ansa)
Dopo aver sfidato lo «sceriffo di Salerno» il segretario dem si rimangia tutto. E per Roberto Fico conta sui voti portati dal governatore, che impone ricompense per il figlio. Sulla partita veneta, Ignazio La Russa apre a Luca Zaia nel governo.
«Vinciamo»: il coordinatore regionale di Forza Italia in Campania, Fulvio Martusciello, capodelegazione azzurro al Parlamento europeo, lo dice alla Verità e sembra convinto. L’ennesima manifestazione elettorale di Fi al centro di Napoli è un successo clamoroso: centinaia di persone, il ritratto di Silvio Berlusconi troneggia nella sala. Allora crede ai sondaggi più ottimisti? «No», aggiunge Martusciello, «credo a quello che vedo. Siamo riusciti a entrare in tutte le case, abbiamo inventato il coordinatore di citofono, che si occupa di curare non più di due condomini. Parcellizzando la campagna, riusciremo a mandare a casa una sinistra mai così disastrata». Alla remuntada in Campania credono tutti: da Giorgia Meloni in giù. Il candidato presidente del centrodestra, Edmondo Cirielli, sente aria di sorpasso e spinge sull’acceleratore.
Matteo Zuppi (Ansa)
Il cardinale Matteo Zuppi, in tv, svela la fonte d’ispirazione della sua dottrina sociale sui migranti: gli «industriali dell’Emilia-Romagna». Ai quali fa comodo la manodopera a buon mercato, che riduce le paghe medie. Così poi la sinistra può invocare il salario minimo...
Parafrasando Indro Montanelli, viene da pensare che la Chiesa ami talmente i poveri da volerne di più. Il Papa ha appena dedicato loro un’esortazione apostolica, ma le indicazioni di politica economica ai cattolici non arrivano da Leone XIV, bensì dai capitalisti. E vengono prontamente recepite dai vescovi. Bastava ascoltare, venerdì sera, il presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Zuppi, intervistato a Propaganda live: l’immigrazione, ha insistito il cardinale su La 7, «è necessaria. Se si parla con qualsiasi industriale in Emilia-Romagna dice che non c’è futuro senza».
Il Carroccio inchioda i sindacati: «Sette mobilitazioni a novembre e dicembre. L’80% delle proteste più grosse si è svolto a ridosso dei festivi. Rispettino gli italiani».
È scontro politico sul calendario degli scioperi proclamati dalla Cgil. La Lega accusa il segretario del sindacato, Maurizio Landini, di utilizzare la mobilitazione come strumento per favorire i cosiddetti «weekend lunghi», sostenendo che la maggioranza degli scioperi generali indetti nel 2025 sia caduta in prossimità di giorni festivi o di inizio e fine settimana.





