2024-01-02
«Sul set di “Fantozzi” arrivai dopo aver mandato a quel paese Federico Fellini»
Anna Mazzamauro (Getty Images)
L’attrice Anna Mazzamauro: «Storpiò il mio nome perché non riuscivo a doppiare una novantenne, allora sbattei la porta. Ciò colpì il suo aiuto regista, che mi chiamò quando passò con Salce».L’istrionica Anna Mazzamauro irrompe sulla scena con la sua contagiosa simpatia. Impossibile arginarla, anche quando la platea è composta da un solo giornalista che già alla prima domanda viene travolto dalla prima, spiazzante, battuta.«Il nome del tuo giornale si chiama La Verità allora invece di un’intervista sarà un interrogatorio!».Ama dire la verità nelle interviste o preferisce condire le sue dichiarazioni con un po’ di fantasia? Come Fellini che rendeva tutto mitologico…«Sempre per la verità, condita semmai con battute e ironia. Comunque, io Fellini l’ho sistemato bene. Per certi versi devo a lui il mio “Fantocci”. Ti spiego: quando ero piccola - amo dire così - ho tentato di fare doppiaggio, dove però sono una capra spaventosa, intanto perché mi dà fastidio prestare la mia voce ad altri, soprattutto alle attrici italiani, come si usava una volta. Queste attrici, chiamiamole così, dicevano, proprio alla maniera di Fellini: “Ventidue, ventiquattro, sessantotto e cinquantacinque” e io dovevo mettere sopra le parole. Impara a recitare e fattelo da solo! Infatti gli unici doppiaggi che mi piacciono sono quelli di invenzione, come la bambina di Senti chi parla e la cavalla de Gli Aristogatti».Torniamo a Fellini…«Nella società di doppiaggio per cui lavoravo è arrivato per il suo film Roma Fellini, il quale mi ha detto: “Signorina, deve doppiare questa signora che ha novant’anni…”. ”Non posso”. “Lei ci provi”. “Vabbè, ci provo”. Ovviamente la mia voce non poteva avere le storture di quella di una novantenne e ho smesso. Da dietro il vetro della regia: “Signorina Mezzamauro, vuol dire che lei…”. Non me lo avesse mai detto, mi sono voltata e ho detto: “Senta, dottor Felloni, siccome lei in famiglia ha un’attrice che per l’età potrebbe doppiare tranquillamente una novantenne”, alludendo a Giulietta Masina con cattiveria, “lo faccia fare a lei che sicuramente andrà bene”. E così me ne sono andata, sbattendo la porta, un po’ maleducata, ma coraggiosa. Fellini aveva un aiuto regista, Maurizio Mein, che è passato a Luciano Salce, il quale stava preparando il primo Fantozzi, e lui si è ricordato di questa strana creatura che aveva osato parlare in quel modo al Maestro. Quindi devo, indirettamente, a Fellini il ruolo della signorina Silvani».Lo ha più incontrato?«Mi ha mandato a chiamare per un ruolo: “Senta, signora Mazzamauro - questa volta aveva imparato il mio cognome! -, dovrebbe fare una gobba”. “Bah, io sono un’attrice, la gobba, la storpia, la cieca, tutto quello che è necessario”. “Però questa gobba dovrebbe essere nuda…”. La gobba nuda! Ovviamente ho rifiutato».In Roma compare nel finale Anna Magnani, alla quale ha dedicato due spettacoli, Raccontare Nannarella e Nannarella.«La romanità, che ci accomuna, mi ha spinto a ricordarla, anzi no: quando uno ricorda un attore, è spinto a imitarlo. Io sono più brava, quindi non dovevo imitare nessuno! Tra l’altro fino ad Anna Ma… siamo uguali! Ho tentato di capire come si diventa grandi come lei in un percorso felice ma anche doloroso, ponendo parallelamente il mio di percorso, come in uno specchio». In questo percorso deve molto a Luciano Salce, che ha avviato la saga di Fantozzi.«Salce era geniale, non un genio. C’è una piccola differenza tra il sostantivo e l’aggettivo. Geniale nel senso che non badava soltanto al ritmo per portare alla risata, ma costruiva i personaggi tentando di essere il più vero possibile anche nel divertimento. Con lui e Giorgio Albertazzi abbiamo portato in scena la commedia L’uovo di Félicien Marceau. Ho fatto l’uovo!».Come mai non reputa un genio Salce?«Quando sento la parola genio, mi viene in mente Leonardo da Vinci. Anche io sono geniale, ma non sono un genio, no? Aaahhh!».E Paolo Villaggio?«Paolo era geniale, rischiando di essere un genio. Io sono stata viziata da lui, da quel tipo di film, lo dico nel mio spettacolo Com’è ancora umano lei, caro Fantozzi: “C’è dell’arguzia intelligente, in contrapposizione a certi barzellettari che pur di avere una risata scomodano pure il sesso”. Paolo era a volte misteriosamente cattivo, non spudoratamente cattivo, il che voleva dire, apprezzandolo, essere cattivi nascosti da un’ironia a volte feroce».Mi racconta un episodio di misteriosa cattiveria da parte di Villaggio?«Una volta, siccome molto elegantemente veniva nella mia roulotte, non mi mandava a chiamare, perché era veramente un signore, ho interrotto le prove e ho detto: “Senti, Paolo, te lo voglio proprio chiedere: mi spieghi perché dopo tanti anni io e te non siamo riusciti a diventare amici?”. Lui mi ha risposto con un sorriso: “Perché io frequento solo attori ricchi e famosi”. E vaff...!».C’era dell’ironia…«Poi però questa ironia di fronte alla verità crolla. Sto usando sempre il termine verità: vi faccio pubblicità! Eravamo nei corridoi di Mediaset, Paolo stava già sulla sedia a rotelle, mi sono abbassata per essere alla sua altezza, lui mi ha preso il viso tra le mani e, guardandomi intensamente, mi ha detto: “Come sei bella!”. Questo mi ha fatto dimenticare la sensazione di racchia che ho sempre avuto nei film di Fantozzi. La patina che dovevo usare per fare il personaggio della Silvani, anche se lei aveva delle velleità estetiche, ha offuscato anche i nostri rapporti. Finalmente mi ha guardato come una persona».Con Gigi Reder, il mitico ragionier Filini, come si trovava?«Con Gigi era diverso perché recitavamo come due attori della commedia dell’arte: rappresentavamo due personaggi simili e inarrivabili. Io lo chiamavo affettuosamente Gigi Rider perché, credimi, quante risate mi sono fatta con lui sul set. Ridevamo forse per gioia o per giovinezza. Solo che queste risate a volte diventavano sghignazzi e lacrime e il truccatore, arrabbiatissimo, doveva rifare il trucco. Eravamo una famiglia cinematografica, con Giuseppe Anatrelli, il mio spasimante nei primi film, il geometra Calboni, e le due mogli di Fantozzi, prima Liù Bosisio, poi Milena Vukotic. Liù racconta sempre che ha smesso di fare Fantozzi perché una volta nel teatro di Siracusa, mentre recitava una tragedia, le hanno urlato: “A Sora Pina!”».A lei è mai capitato una cosa simile?«No, però mi sono posta il problema. Come tutte le attrici di teatro, avrei voluto interpretare Medea, però avrei dovuto dire: “Giasone, lei è una merdaccia schifosa”. Ho lasciato perdere!».Cosa si aspetta dal 2024?«Sto preparando un altro spettacolo, uno spettacolo della memoria, non nel senso di morte! La memoria di un’attrice, con tutte le cose pazze che ho fatto. Si intitolerà Brava, bravissima, anche meno».Da dove inizia questa memoria? Com’è entrata nel mondo dello spettacolo?«Era il mio destino. Ho sempre saputo che avrei fatto questo, ma all’Accademia d’arte drammatica non mi hanno voluto, pensa. Wanda Capodaglio, dopo l’esame, mi ha detto: “Che cosa vuole da noi, cara?”, “Io vorrei entrare nella scuola…”. “Ma cosa possiamo fare su di lei? Noi abbiamo bisogno di tabula rasa. Lei è talmente strana che ha già un indirizzo”. Allora mi ha fatto cadere nella disperazione più totale… ma poi ho capito che, tutto sommato, era un complimento».Cosa ha fatto come alternativa all’Accademia?«All’università, dopo tanti anni, hanno riaperto il Cut, il Centro universitario teatrale, e ho iniziato a frequentarlo con Gigi Proietti, Tonino Calenda, Virginio Gazzolo, Giancarlo Cobelli, eravamo un bel gruppo». Poi ha fondato un piccolo teatro, Il Carlino.«Era un locale notturno che aveva un piccolo palco, vicino Porta Pia, a via XX Settembre, che poi hanno trasformato in un albergo meraviglioso».Quindi hai fatto pure l’impresaria!«Fare l’impresario, se fai soltanto quello, va benissimo, se fai l’impresario facendo l’attore, è terribile. La mattina andavo all’Enpals a piangere perché non potevo versare i soldi, poi cucinavo per mia figlia, nel pomeriggio avevo le prove, la sera lo spettacolo e poi arrivavano tutti i conti e le paghe degli attori. Il primo che ho scritturato è stato Elio Pandolfi, poi i Vianella e Bruno Lauzi. Una domenica mi hanno bruciato il teatrino ed è finito tutto…». Addirittura?!«A posteriori, è stata una fortuna perché se avessi continuato a stare lì, non avrei mai fatto le cose che, credo, siano state poi importanti. Quando il teatro è andato a fuoco, il giorno dopo doveva esibirsi il Quartetto Cetra e loro ingenuamente avevano lasciato i loro strumenti nel teatro. Io, disperata, ho proposto: “Piano piano, rateizzando, vi rimborso” e loro: “Per come ami tu il teatro, vogliamo farti un regalo: non vogliamo niente”. Un applauso al Quartetto Cetra. Ora, però, fammi delle domande più carine: mi ricordi il dolore e i debiti!».I suoi genitori l’hanno sostenuta nelle sue scelte?«Io ho adorato mia madre, con la quale avevo un rapporto bellissimo, con mio padre no, non mi vergogno a dirlo. Con lui non potevo discutere, diceva sempre: “Perché no e basta!”. Però, quando è uscita la prima foto sui giornali, andava nei negozi a mostrarla orgoglioso: “Questa è mia figlia!”. E mi ha aiutata economicamente ad aprire il teatro”.Visto che Fellini le aveva storpiato il nome e all’epoca si usavano gli pseudonimi, non le hanno mai proposto un nome d’arte?«No, perché, avendo sempre detto che avrei fatto questo lavoro, volevo che tutti si ricordassimo di me. Ho fatto delle ricerche: il mio cognome deriva da capitan Matamoros, maschera della commedia dell’arte, guarda un po’ se lo cambiavo! In realtà, mi chiamo Anna Maria Mazzamauro. Quando andava a scuola dalle suore, avevo il banco sotto la finestra e guardavo il cielo, sognando la locandina con il mio nome. Anna Maria Mazzamauro era troppo lungo, avrei dovuto girare la locandina per farlo entrare tutto, allora un giorno finalmente ho risolto il problema: “Levo Maria: Anna Mazzamauro”. Ma poi diciamolo: Anna Maria è un nome troppo dolce per me!».
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.