2020-08-10
Famiglia: l’ultima presa in giro
Per i pochi che osano ancora mettere su casa, solo elemosine e misure spot. Gli inutili voucher del decreto Rilancio confermano l'andazzo bipartisan.A differenza delle tragedie del passato, questa non innescherà alcuna impennata della natalità. Anzi, nei prossimi mesi con i posti di lavoro l'Italia perderà altri bebè.Lo speciale contiene due articoli.Da anni si vendono più pannoloni che pannolini. Gli ultimi dati dell'Istat hanno certificato il fallimento di decennali politiche per la famiglia. Ogni governo ha rastrellato consensi promettendo la soluzione magica per far ripartire le nascite, sono stati varati bonus a pioggia, creati ministeri ad hoc e comitati scientifici, lanciati mirabolanti Family act, stipendiati persino i nonni per fare i baby sitter, allungati i congedi parentali agli uomini. Un menù variegato, di impatto mediatico ma proprio per questo frammentato e di scarsa efficacia. E i risultati sono certificati dalle periodiche rilevazioni sulle nascite: dal 2008 c'è stato un calo di 140.000 unità. Nel 2019 solo 420.000 culle a fronte di 634.000 decessi. La famiglia non si tocca, diceva Amintore Fanfani. Ed è stato preso in parola. Negli ultimi 40 anni la politica ha messo la famiglia la centro dei programmi elettorali, salvo poi spingerla ai margini delle manovre di bilancio.Durante la prima Repubblica la misura principale era rappresentata dagli assegni familiari basati sul numero dei figli, dice Rocco Buttiglione, protagonista di quegli anni. «Con la seconda Repubblica sono stati introdotti dei limiti di reddito sempre più irrealistici. Mentre i sindacati strappavano aumenti salariali per proteggere il potere d'acquisto dei lavoratori, eroso dall'inflazione, il tetto di reddito per gli assegni familiari restava uguale, con la conseguenza che diminuivano le famiglie che li percepivano. A lungo andare gli assegni familiari si sono depotenziati e sono rimasti solo per redditi molto bassi, configurandosi come una specie di elemosina più che un diritto».«Non c'è mai stata una vera politica a sostegno della natalità, ma si è preferito procedere in modo improvvisato, con sventagliate di bonus» aggiunge la parlamentare Paola Binetti, promotrice di tante battaglie a favore della famiglia. La strada dei bonus è stata percorsa da tutti i governi, perché più facili da concepire e di impatto immediato a livello di consensi. Ma spesso per la fretta, la politica ha partorito norme pasticciate, iperburocratizzate, peraltro rivolte a redditi molto bassi, ignorando il ceto medio impoverito. Più che promuovere la natalità, i bonus hanno svolto il ruolo di un sostegno sociale di corto respiro. Talvolta i criteri di reddito per accedere agli aiuti erano così restrittivi che pochi genitori ne hanno usufruito. Nel 2015, il governo Renzi, con la legge di Stabilità, vara il provvedimento degli 80 euro al mese (960 l'anno) per coprire l'acquisto, per 12 mesi, di tutto il necessario per il neonato, dai pannolini alle pappe, fino ai biberon. È rivolto a famiglie con reddito sotto i 25.000 euro. Il bonus annunciato con grande enfasi è un flop. Nel 2015 solo 204.000 famiglie presentano la richiesta, un terzo meno dei 330.000 aventi diritto previsti.I bonus bebè, riproposti da tutti i governi, talvolta hanno generato situazioni paradossali. È il caso dell'assegno da 1.000 euro previsto dalla Finanziaria 2006 per i bambini nati nel 2005-2006 da genitori con reddito non superiore a 50.000 euro. Le famiglie in possesso dei requisiti ricevettero direttamente a casa una lettera dalla presidenza del Consiglio dei ministri, che comunicava il diritto a riscuotere il bonus presso l'ufficio postale. I «fortunati» si recarono allo sportello, compilarono l'autocertificazione sul possesso del requisito reddituale e ritirarono la somma. Dopo venne fuori che, nella fretta, erano stati commessi alcuni errori, a cominciare dall'invio delle lettere anche a stranieri extracomunitari e a italiani residenti all'estero, iscritti all'Aire. Inoltre, siccome la norma era poco chiara, alcune famiglie interpretarono i 50.000 euro di tetto reddituale come netto invece che lordo. La conseguenza è che di lì a poco il governo ha chiesto la restituzione dei mille euro a chi li aveva riscossi non avendone diritto. Scattarono processi penali per i malcapitati che si ritrovarono sulla testa l'accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato, indebita percezione di erogazioni, falso del privato in atto pubblico e la minaccia di sanzioni amministrative di 3.000 euro. Anni dopo c'è stato il tentativo di metterci una toppa, consentendo a chi non aveva ancora restituito il bonus di tenersi la somma, penalizzando però chi era stato più zelante a restituire i soldi. I procedimenti giudiziari sono andati avanti per anni e solo nel 2011, con un decreto, lo Stato ha disposto che, restituendo l'importo del bonus entro il 16 dicembre di quell'anno, le famiglie incappate in questa trappola, non sarebbero state soggette a sanzioni amministrative né penali.«Non c'è mai stato un disegno organico di sostegno alle famiglie» afferma Gigi De Palo, presidente del Forum delle famiglie, che punta il dito contro «la discriminazione fiscale dei nuclei con figli, equiparati ai single». Il Forum si batte da tempo per il «quoziente familiare», ma si è trovato contro i sindacati che lo considerano un disincentivo per il lavoro femminile.Un altro caso di bonus pasticciato è scoppiato con il decreto Rilancio, che ha reso incompatibili il voucher baby sitting con i congedi parentali. Si è creata una situazione assurda: se un papà o una mamma avevano chiesto a marzo o aprile, in pieno Covid, il congedo per 15 giorni per stare a casa con i figli (a metà stipendio), a giugno potevano chiederne altri 15 e sempre con stipendio dimezzato. Non potevano però sostituire i 15 giorni aggiuntivi di congedo con il bonus babysitter. E viceversa. Le due misure non potevano intrecciarsi, con un danno per le famiglie. Siccome il congedo riduce lo stipendio, una coppia avrebbe preferito affidarsi a una babysitter. Inoltre chi aveva rinnovato i 15 giorni di congedo non poteva usare i 600 euro del baby sitting per i centri estivi. Le associazioni delle famiglie hanno scatenato un putiferio e alla fine è intervenuto l'Inps che ha consentito di usare il bonus babysitter in alternativa al congedo parentale. La norma però continua ad essere complicata: chi ha già usufruito di 15 giorni di congedo può chiedere il bonus, ma chi ha chiesto più di 15 giorni di congedo non può cambiare idea. Un caos. Come reagiscono le famiglie? De Palo riferisce le esperienze di tanti genitori: «Piuttosto che entrare nel girone delle norme, confuse, macchinose, che richiedono di affrontare lungaggini burocratiche, file al Caf, peraltro per pochi soldi, preferiscono stringere la cinghia».Altra presa in giro è il bonus vacanze 2020 che dovrebbe aiutare le famiglie a basso reddito a passare qualche giorno fuori città. Sembra fatto apposta per non funzionare. Oltre al meccanismo complicato per il rimborso dello sconto praticato agli ospiti, che disincentiva gli albergatori (finora solo il 46% lo ha accettato), il solito percorso burocratico che impone lo Spid o la carta di identità digitale, il voucher arriva al massimo a 500 euro. Non importa se hai uno, tre o più figli. E per poterne usufruire non si deve superare un reddito di 40.000 euro. Tra i fuochi d'artificio dei bonus, continuano ad essere ignorati i genitori con partita Iva, considerati di serie B. Forse perché elettoralmente poco interessanti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/famiglia-lultima-presa-in-giro-2646932927.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dopo-il-virus-il-boom-di-culle-vuote" data-post-id="2646932927" data-published-at="1597003539" data-use-pagination="False"> Dopo il virus il boom. Di culle vuote
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