2018-12-25
«Fa risparmiare la carta» e «combatte l'evasione Iva»: tutte le falsità delle Entrate sulla e-fattura
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Elimina il consumo dei fogli, può essere eseguita gratuitamente, rende più rapido il processo di contabilizzazione e semplifica i rapporti fra cliente e fornitore. Questi sarebbero i vantaggi della fatturazione elettronica secondo il manuale «La fattura elettronica e i servizi gratuiti dell'Agenzia delle entrate» pubblicato dall'Amministrazione fiscale. Abbiamo verificato promessa per promessa... e non è così. Per quanto riguarda «l'eliminazione del consumo della carta», bisogna specificare che se la società decide di delegare un intermediario alle operazioni di e-fattura, questo dovrà archiviare ogni singola delega, cartacea, fatta dal cliente. Inoltre, la fattura elettronica dovrà essere stampata anche per tutte le operazioni contabili. E questo sarà necessario perché quando si inseriscono i dati a bilancio, da una parte bisogna avere la fattura e dall'altra l'impianto delle scritture contabili. Con un solo schermo queste due operazioni non saranno possibili da fare contemporaneamente. E dunque, o si comprerà un altro schermo o si stamperà la fattura elettronica per lavorarla. Ma non finisce qua perché «noi intermediari», spiega Giuliano Mandolesi, commercialista e membro dell'Odcec Roma, «siamo sotto stress per via dell'impossibilità di chiedere telematicamente (con la delega massiva) l'abilitazione al portale fatture e corrispettivi, per un'amplissima platea di contribuenti (per tutti coloro che sono senza dichiarazione Iva 2017)». Questo ha costretto gli intermediati a presentare il modello cartaceo o ad inviare i documenti via Pec. L'Agenzia delle entrate, da parte sua spinge ad usare la Pec, ma quest'ultima risulta essere bloccata per via dei troppi invii, e dunque il processo risulta essere fermato. Nonostante le evidenti lacune del sistema, il documento dell'Agenzia continua ad elencare i vantaggi della fattura elettronica. Il secondo riguarda infatti la gratuità della e-fattura, nel caso in cui si aderisse al servizio messo a disposizione dell'Amministrazione fiscale. Sì è vero, ma si sono dimenticati di specificare come il servizio dell'Agenzia delle entrate, per sua natura, non risulta essere integrato con i sistemi informatici della società. La non integrazione fa sì che la e-fattura dovrà essere compilata da zero ogni volta, con il conseguente raddoppio dei tempi di creazione ed emissione. Se si vuole ovviare a questo problema la società dovrà dunque comprarsi un sistema informatico, spendendo dei soldi. Altro vantaggio, scritto sul manuale dell'Agenzia delle entrate, riguarda il fatto di «rendere più rapido il processo di contabilizzazione». Affermazione falsa perché la fattura elettronica non permette la contabilizzazione istantanea. E dunque non semplifica il lavoro dell'amministrazione, anche perché l'impiegato tratterà la fattura elettronica nello stesso modo di quella cartacea. La sua mole di lavoro sarà infatti la stessa. La contabilizzazione immediata sarà invece possibile solo quando si svilupperà un sistema informatico in grado di farlo automaticamente. Innovazione che per il momento non esiste. La fattura elettronica, inoltre, «incrementa l'efficienza nei rapporti commerciali fra clienti e fornitori essendo chiara la data di emissione e consegna delle fatture elettroniche». Anche questo vantaggio, annunciato dall'Agenzia delle entrate, non è vero. A oggi, infatti, le due controparti commerciali si inviano la fattura in Pdf via email o via Pec. E in entrambi i casi è possibili sapere se l'altra parte ha ricevuto/aperto il documento e anche quando. La e-fattura mette in piedi un sistema di interscambio informatico che se mai dovesse crashare renderà più complicati tutti i rapporti tra le due controparti. Infine, più di una volta è stato affermato come la fattura elettronica fosse necessaria per cercare di sconfiggere l'evasione Iva. Il gap iva italiano risulta infatti essere abbastanza sostanzioso: 35,8 miliardi di euro (uno dei più alti e livello Ue). Circa 26 miliardi sono da imputare all'evasione Iva legata al cliente finale. Somma, che non sarà scalfita dalla fattura elettronica perché questa ha l'obiettivo di andare a colpire l'evasione di chi non dichiara nulla. Di chi, dunque, già adesso non compila nessun tipo di fattura cartacea. Operazione che risulta essere abbastanza complicata e poco redditizia.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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