2024-02-14
Eutanasia, il Parlamento respinge il ricatto
Marta Cartabia (Imagoeconomica)
Il presidente emerito della Consulta, Marta Cartabia, preme per un’iniziativa del governo: «Corte inascoltata? Uno sgarbo». Fi e Lega replicano: «Deputati e senatori restano sovrani». Pietro Parolin: «Soluzioni non ce ne sono».Il pressing per una legge nazionale sul fine vita diventa fortissimo: dopo che il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha provato invano a far passare una legge regionale sul tema, è arrivato il collega dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che ha addirittura utilizzato una semplice delibera di giunta per disciplinare questa delicatissima materia. Mentre il dibattito tra favorevoli e contrari continua, arriva la presidente emerita della Corte costituzionale, Marta Cartabia, ex ministro della Giustizia del governo guidato da Mario Draghi, a mettere fretta al governo e al Parlamento, con toni tutt’altro che concilianti: «Noi ci siamo abituati o rassegnati», dice la Cartabia durante l’audizione presso i Comitati per la legislazione di Senato e Camera, «al fatto che molte sentenze della Corte costituzionale non abbiano un seguito nel legislatore. È una rassegnazione che andrebbe riconsiderata e che i presidenti della Corte più volte hanno segnalato. Ed è un’anomalia che può essere considerata uno sgarbo istituzionale non tollerabile. Tra i tanti problemi che abbiamo davanti io credo che la Corte non possa essere lasciata sola. È necessaria una maggiore sinergia istituzionale. Se è vero», aggiunge la Cartabia, «che ciò che manca per sbloccare è il tema della iniziativa legislativa forse immaginare un’iniziativa vincolata dal governo potrebbe essere di aiuto».È bene ricordare che oggi come oggi in Italia la possibilità di mettere fine volontariamente alla propria vita è regolata, per l’appunto, da una sentenza della Consulta, la 242 del 2019 sul caso Cappato\Antoniani, che ha legalizzato l’accesso alla procedura ma solo a precise condizioni. Fabiano Antoniani, conosciuto da tutti come dj Fabo, reso paraplegico e cieco da un incidente d’auto nel 2014, chiese sostegno, come ricorda l’Associazione Luca Coscioni, nel gennaio 2017 a Marco Cappato perché fosse aiutato a raggiungere la Svizzera, dove chiese e infine ottenne, il 27 febbraio 2017 l’eutanasia per mezzo del cosiddetto suicidio assistito. Cappato fu rinviato a giudizio a Milano in base all’art. 580 del codice penale, denominato «Istigazione o aiuto al suicidio» perché consapevole del divieto per la legge italiana, anche del solo aiuto al trasporto in Svizzera del malato che ne faccia richiesta, si autodenunciò al ritorno in Italia. Il 22 novembre 2019 la Corte dichiarò illegittimo l’art. 580 del codice penale nella parte in cui non esclude la punibilità a determinate condizioni, di fatto in tutto simili alla condizione di Dj Fabo. Cappato fu quindi assolto. Per accedere all’aiuto alla morte volontaria, il cosiddetto suicidio assistito, secondo quanto stabilito dalla Consulta, occorre essere in possesso di determinati requisiti: essere capaci di autodeterminarsi, essere affetti da patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute dalla persona intollerabili ed essere dipendenti da trattamenti di sostegno vitale. La sussistenza di questi requisiti, insieme alle modalità per procedere, devono essere verificati dal servizio sanitario nazionale con le modalità previste dalla legge sulle Dat, ovvero le norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, previo parere del comitato etico territorialmente competente.Le pressioni della Cartabia vengono respinte al mittente da due autorevolissimi esponenti della maggioranza di centrodestra, interpellati dalla Verità: «Capisco», commenta il capogruppo al Senato di Forza Italia, Maurizio Gasparri, «ma il Parlamento resta sovrano non cartabiano»; «È compito del Parlamento fare le leggi», osserva il capogruppo della Lega a Palazzo Madama, Massimiliano Romeo. Il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, a margine del bilaterale con il governo per le celebrazioni del 95° anniversario dei Patti lateranensi, spiega che «anche il tema del fine vita si è toccato, anche se soluzioni non ce ne sono. Abbiamo constatato che le Regioni cercano di venire incontro a questa mancanza di legislazione da parte italiana per le problematiche di questo tipo», aggiunge Parolin, «ma soluzioni non ce ne sono».Per quale motivo, fino a ora, il Parlamento non ha legiferato in materia, nonostante la Consulta e il fatto che ci siano state, dal 2019 a oggi, maggioranze diverse? Probabilmente perché il tema è delicatissimo, attiene alla coscienza di ciascun parlamentare, senza contare che partiti come il Pd hanno anche al loro interno posizioni diverse, con i cattolici schierati per il «no» e la sinistra per il «sì», come si è visto in occasione della votazione in Veneto, affossata proprio per l’astensione, in dissenso dal gruppo, della consigliera regionale Annamaria Bigon. Del resto, in Italia le sentenze della Corte costituzionale sono ovviamente tutte da rispettare, ma non dovrebbero fare giurisprudenza: la Consulta altro non dovrebbe fare che giudicare la coerenza delle leggi con la nostra Costituzione. Detto ciò, la risposta al nostro interrogativo, ovvero perché nessuno ha ancora messo mano a una legge nazionale, può essere ancora più banale: visto che c’è la sentenza della Consulta, tanto vale evitare di trasformare questo tema così delicato in uno strumento di polemica politica nazionale, considerate le frizioni che stanno suscitando le iniziative delle singole Regioni, quelle chiamate a esprimersi sulla proposta di legge di iniziativa popolare «Liberi subito» sul fine vita presentata dall’Associazione Luca Coscioni. Il prossimo 19 febbraio tocca alla Liguria, dove la proposta di legge verrà discussa in commissione Salute.
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