2024-02-07
Nuovo studio choc sull’eutanasia. Serve a eliminare gli anziani soli
Gli autori del saggio (tra cui un ex senatore pd): «Liberalizzare il suicidio assistito spinge i vecchi con deficit cognitivi a ricorrervi. Ci sarà un impatto a livello della popolazione». In Olanda, muore già così il 3% dei fragili. Al Careggi di Firenze dati i bloccanti della pubertà a 44 minori su 140. Inoltre, l’esperto di salute mentale richiesto per le terapie risulta lavorare in un’altra azienda sanitaria.Lo speciale contiene due articoli.Il prossimo passo sul fine vita? Allargare ancora un po’ le maglie. Stiracchiando la decisione della Consulta sulla vicenda di dj Fabo. La questione l’ha sollevata, meno di un mese fa, il tribunale di Firenze. Essa verte sulla non punibilità dell’aiuto al suicidio, nel caso in cui quelli che lo richiedono siano «tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale». Una condizione che, secondo la Procura toscana, «discrimina irragionevolmente tra situazioni per il resto identiche» e «discende da circostanze del tutto accidentali», «senza che tale differenza rifletta un bisogno di protezione più accentuato». A pronunciarsi sarà, di nuovo, la Corte costituzionale. E il suo presidente emerito, Giuliano Amato, ha già suggerito come potrebbe andare a finire: «La formula “tenuto in vita da sostegni vitali”», ha spiegato a Repubblica il 31 gennaio, «non include solo pazienti dipendenti da macchinari - questo era il caso del dj Fabo - ma anche i malati che dipendono da terapie e farmaci». Un attimo: tra chi vive grazie all’uso dei farmaci non rientrano anche persone cardiopatiche, ipertese o diabetiche? Pure loro sono sopprimibili? La tendenza è chiara: sempre meno paletti, nel nome dell’«autodeterminazione». È una strada scivolosa. E c’è il rischio che la battaglia per la libertà si trasformi in una tattica per evitare di investire nell’assistenza dei fragili. Lo affermano persino due studiosi difficilmente tacciabili di bigottismo, in un saggio uscito da poco su Population and development review. Si tratta di Asher Colombo, sociologo dell’Università di Bologna, e Gianpiero Dalla Zuanna, statistico dell’ateneo di Padova e già senatore, prima per il partito di Mario Monti, poi per il Pd.Gli autori smontano le mistificazioni di chi va ripetendo che i cittadini sono favorevoli a un’ampia legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito. In realtà, «l’opinione pubblica sembra sostanzialmente d’accordo con una legislazione che […] caratterizza il suicidio medicalmente assistito come un modo di porre fine a una sofferenza intollerabile, piuttosto che per esercitare un diritto incondizionato a suicidarsi con l’assistenza di un dottore». Falso è anche che la depenalizzazione non favorisca la diffusione di quelle pratiche. All’opposto, «la crescita nel tempo è continua, ma dopo essere stata lineare negli anni successivi alla legalizzazione, aumenta progressivamente in quelli successivi». L’aspetto più importante, però, riguarda l’effetto della liberalizzazione. Essa, da un lato, «rischia di diventare una scorciatoia», una scappatoia dalla necessità di organizzare «cure palliative appropriate»; dall’altro, unita all’«aumento di età degli anziani», la quale ovviamente «si accompagna anche a una rapida crescita nel numero di persone con deficit cognitivi», è in grado di «avere un impatto significativo sulla durata della sopravvivenza media».Mettiamo che passi la filosofia secondo la quale eutanasia o suicidio assistito sono un modo per abbandonare vite «indegne di essere vissute» (così le chiamavano i nazisti di Aktion T4, il programma per eliminare i disabili mentali e chi era affetto da malattie genetiche inguaribili). Il combinato disposto tra la convinzione che, a un certo punto, ci si possa - o ci si debba - togliere di mezzo e la senilità galoppante, che tende a peggiorare la qualità dell’esistenza, minaccia di trasformare la vecchiaia in un evento raro. Lungi dall’accettare vite più lunghe, quelli che maturano disturbi neurodegenerativi, o magari, come dice Amato, «dipendono da terapie e farmaci», giungerebbero a considerare normale congedarsi da questo mondo prima di essere diventati un «peso». Sarebbe il trionfo della «cultura dello scarto», spesso denunciata da papa Francesco.Il fenomeno è ancora circoscritto, ma in Olanda, «la proporzione dei deceduti con demenza senile come principale causa di morte che hanno fatto ricorso al suicidio assistito è salita dallo 0,9% nel periodo 2012-2015 all’1,4% nel periodo 2016-2019». Nei Paesi Bassi, nell’ultima decade, «più del 3% di tutte le morti non violente può essere attribuito a qualche forma di suicidio assistito». Dove prevale il principio che quelle pratiche servano ad affermare «il diritto dell’individuo di morire», piuttosto che afferire alla «fase terminale della malattia» o alla «sofferenza continua e insopportabile», la loro frequenza aumenta. E fa impressione che, nel 2021, «il 36%» dei 10.000 canadesi che hanno scelto l’eutanasia abbia citato «“il peso per la famiglia, gli amici o i caregiver” come parte della loro decisione e il 17% “l’isolamento o la solitudine”». Certo, l’offerta di cure palliative, registrano Colombo e Della Zuanna, non per forza scoraggia la scelta della «dolce morte». Ma «l’interazione precoce tra medico e paziente, la rinuncia all’accanimento terapeutico e specialmente l’uso della terapia del dolore e, se necessario, della sedazione profonda, possono rallentare la diffusione del suicidio assistito». Di sicuro, snobbare le alternative, mascherando quel disinteresse da trionfo della libertà, è disonesto e pericoloso. Tocca restare vigili. In attesa della Consulta.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/eutanasia-eliminare-gli-anziani-soli-2667190328.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="neuropsichiatra-in-prestito-e-farmaci-a-volonta-al-centro-per-i-bimbi-trans" data-post-id="2667190328" data-published-at="1707316704" data-use-pagination="False"> Neuropsichiatra in prestito e farmaci a volontà al Centro per i «bimbi trans» Dopo una settimana di attesa, ieri è arrivata la risposta dell’assessore alla Salute della Regione Toscana, il dem Simone Bezzini, all’interrogazione del consigliere regionale di Fdi, Diego Petrucci, in merito al Centro per la disforia di genere dell’ospedale Careggi di Firenze. A fine gennaio, infatti, in seguito all’ispezione del ministero della Salute, erano emerse criticità circa l’uso dei bloccanti della pubertà, somministrati in certi casi in assenza di un adeguato percorso di psicoterapia. Le risposte fornite dall’assessore, però, non dipanano i dubbi sul Centro ma, anzi, fanno nascere nuovi interrogativi sul trattamento di bambini e adolescenti rivoltisi alla struttura. Parliamo, nello specifico, di 159 casi nel 2023, 137 nel 2022 e 103 nel 2021, di età compresa tra gli 8 e i 17 anni. Tra questi, nel triennio, in totale sono stati presi in carico dal Careggi 140 minorenni (con un’età media di 14,8 anni) 44 dei quali hanno iniziato la terapia con la triptorelina, ovvero il farmaco che inibisce temporaneamente l’ormone che regola le funzioni testicolare e ovarica, bloccando dunque la pubertà in una sorta di «vigile attesa» che dovrebbe permettere al paziente di «guadagnare tempo» nei casi in cui l’adolescente non si riconosca nel sesso di nascita ed evitare, in caso di futura transizione in età adulta, interventi chirurgici. I pazienti a cui è stato somministrato il bloccante della pubertà al Careggi hanno in media 14,5 anni. Un’età che supera quella indicata nel riassunto delle caratteristiche (Rcp) del farmaco in questione, tradizionalmente impiegato nella popolazione pediatrica contro la pubertà precoce e, in questa fattispecie, da sospendere a 12 anni per le femmine e a 13 anni per i maschi. Tra gli effetti collaterali della triptorelina ci sono la riduzione della densità minerale ossea, l’osteoporosi e a un aumentato rischio di fratture. Si possono verificare inoltre vampate di calore, impotenza, diminuzione della libido, nausea, disordini del sonno, riduzione della massa muscolare, dolore delle articolazioni, aumento di peso e alterazione dell’umore. Tuttavia, per il trattamento della disforia di genere nel 2019 l’Aifa ha inserito la triptorelina nell’elenco dei medicinali gratuiti, sebbene manchino studi scientifici sulla sicurezza a lungo termine, suggerendone l’utilizzo «fino a circa 16 anni d’età, in corrispondenza dell’inizio della terapia ormonale cross-gender». Un impiego off label (che divide la comunità scientifica, specialmente nel Nord Europa, dove sono già iniziate le retromarce) previsto dall’Agenzia italiana del farmaco solo dopo «attenta valutazione multiprofessionale, con il contributo di una équipe multidisciplinare e specialistica, composta da neuropsichiatri dell’infanzia e dell’adolescenza, psicologi dell’età evolutiva, bioeticisti ed endocrinologici». E proprio sull’assenza di un’adeguata psicoterapia prima delle iniezioni si sono concentrati gli ispettori ministeriali ed è stata riportata l’attenzione della giunta comunale. Per l’assessore Bezzini, il centro di Careggi «lavora in rete con tutti i neuropsichiatri infantili che hanno in carico le persone», ma «per questo percorso (la terapia con la triptorelina, ndr) il neuropsichiatra infantile di riferimento è il dottor Marco Armellini». Il dirigente medico, tuttavia, dal primo febbraio 2022 risulta essere il direttore del dipartimento salute mentale dell’Ausl Toscana Centro (che ingloba le Firenze, Empoli, Prato e Pistoia). L’ospedale Careggi è invece un’azienda ospedaliera universitaria, del tutto estranea dunque all’Ausl Toscana centro.Al centro per la disforia di genere sembrerebbe dunque non esserci un neuropsichiatra infantile, tanto da rendere necessario l’intervento di uno specialista esterno. Eppure, nella risposta all’interrogazione, l’assessore Bezzini dichiara che «i genitori e i minori sono seguiti dal punto di vista psicologico durante tutto il percorso». «Sappiamo che al Meyer queste figure sono presenti. Perché, allora, non è stato aperto il Centro nella Aou del Meyer? Lo chiederemo alla Regione Toscana in una nuova interrogazione», annuncia intanto il consigliere Petrucci. Il quadro che emerge sembrerebbe quindi confermare quanto rilevato dalle ispezioni ministeriali, che suggeriscono un uso quanto meno disinvolto dei bloccanti della pubertà. Terapia difesa a spada tratta anche da diverse società scientifiche in quanto «reversibile» e presentata come un «salva vita» in grado di sventare suicidi tra giovanissimi. I quali, però, rischiano di diventare cavie: la pubertà è un processo fondamentale per acquisire la propria identità sessuale. Bloccandolo, come si può raggiungere un’identità compiuta? È lecito, inoltre, incoraggiare bambini e adolescenti a un percorso ormai infiltrato dall’ideologia e, dietro al quale, si cela anche un forte profitto per le case farmaceutiche? Quesiti che, oggi, sono ancora tacciati di «complottismo». La solita scorciatoia utile ai pasdaran, di ogni colore.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)