
Tusk plaude al riarmo del vicino, ma l’intesa con Merz arranca: la Germania considera prioritario l’asse con i francesi. Nel gruppo di Weimar si insinueranno Regno Unito e nordici. Con i mediterranei ai margini.«Non è facile, per un premier polacco, dire che vorrebbe una Germania più armata, ma viviamo in tempi diversi, con una Polonia diversa, una Germania diversa e minacce molto concrete». La russofobia di Varsavia ha avuto la meglio sui fantasmi della storia: mercoledì pomeriggio, durante la visita del nuovo cancelliere tedesco, Friedrich Merz, il primo ministro polacco, Donald Tusk, ha dato il suo placet alla svolta militarista tedesca, che è forse l’evento più rilevante e controverso in Europa dal 1945. Il rapporto con Berlino, però, è complicato: il leader della Cdu, già ammaccato dalle forche caudine della fiducia al Bundestag, considera prioritario l’asse con la Francia. E la tournée dell’altro ieri lo ha dimostrato.Con Emmanuel Macron, Merz ha concordato la costituzione di un Comitato di difesa congiunto. Una mossa che ha fatto definitivamente cadere il velo sui piani di riarmo dell’Ue, spacciati per iniziativa comune, ma cuciti addosso alle esigenze della rinvigorita intesa tra teutonici e transalpini, che si era raffreddata per l’incompatibilità personale di Macron con Olaf Scholz. Gli interessi dei Paesi mediterranei non sono contemplati in questi progetti e, ieri, Bruxelles l’ha detto chiaro e tondo: nell’Unione, hanno spiegato fonti diplomatiche, si sta discutendo del fondo Safe per finanziare gli acquisti congiunti di mezzi bellici, come da proposta di Ursula von der Leyen; non delle alternative suggerite da Italia e Spagna, ossia un sistema di garanzie comunitarie sugli investimenti in sicurezza (l’idea di Giancarlo Giorgetti) e una sorta di Mes per la Difesa, foraggiato tramite gli asset russi congelati (la fantasticheria di Madrid). Tusk aveva presentato l’incontro con il cancelliere come «il più importante nella storia dei rapporti tedesco-polacchi in oltre dieci anni», auspicando che il summit riattivasse il motore del cosiddetto Triangolo di Weimar. Al format, introdotto nel 1991 per promuovere la cooperazione in momenti di crisi, prende parte anche Parigi. L’alleanza, di natura prevalentemente commerciale, si era incagliata sia per le riserve di Diritto e giustizia, il partito euroscettico rimasto a lungo al timone in Polonia, sia - e soprattutto - per il canale privilegiato che lega Francia e Germania e che stava relegando Varsavia a un ruolo secondario. «È ora di porre fine a tutto ciò», ha tuonato Tusk mercoledì. In realtà, Merz si è presentato da lui con una dote piuttosto magra: gli ha promesso il potenziamento dei collegamenti ferroviari, utile a facilitare la mobilità di truppe Nato verso Est, in caso di necessità. Ma non sembra aver preso impegni formali sul mantenimento delle batterie di Patriot tedesche a presidio dell’aeroporto di Rzeszów. Un’infrastruttura cruciale per il trasporto di aiuti alle forze di Kiev.Il principale motivo di attrito, comunque, sono le politiche migratorie. Sia il leader tedesco sia quello polacco rispondono a elettorati esasperati dagli effetti dell’accoglienza indiscriminata di stranieri. Peccato che la soluzione dell’uno rischi di tramutarsi nel problema dell’altro. Il nuovo ministro dell’Interno di Berlino, Alexander Dobrindt, della Csu, ha annunciato che i richiedenti asilo potrebbero iniziare a essere respinti alle frontiere. Con buona pace del principio di non-refoulement, dogma dell’Ue e della Corte di giustizia. La Polonia è allarmata: i migranti verrebbero rimbalzati sul suo territorio. Merz ha assicurato che tutto avverrà senza recare detrimento ai vicini, per dare un «segnale» ai trafficanti, mentre rimarrà impregiudicato l’impegno a sorvegliare i transiti dalla Bielorussia. Tusk, ad ogni buon conto, lo ha invitato a evitare di chiudere i confini: altrimenti, ha minacciato, Varsavia «farà altrettanto. Ciò, a lungo andare, non ha senso». La Germania, ora, appare disponibile ad aderire all’iniziativa promossa da Italia, Danimarca e Paesi Bassi per una stretta europea sul diritto d’asilo, che invece raccoglie meno entusiasmo all’Eliseo, geloso del protagonismo di Giorgia Meloni.I sussulti dell’intesa a tre Francia-Germania-Polonia sarebbero stati, per quest’ultima, un motivo in più per consolidare il suo storico vincolo con gli Usa. Non fosse che Washington si va smarcando dal Vecchio continente e che i suoi desiderata, peraltro assecondati dai polacchi, riguardano un incremento sostanzioso della quota di Pil europeo destinata alla Difesa: Varsavia veleggia verso il 5%.È in questo quadro che - insieme ai baltici, da sempre ai ferri corti con Mosca - gioca la sua partita Londra, viste le proprie capacità militari, la comprovata fede antirussa e la facilità di interloquire con gli Stati Uniti, nonostante le banderuole trumpiane.Già da mesi - da quando tedeschi e francesi avevano inaugurato un’altra trilaterale con il Regno Unito di Keir Starmer - gli osservatori immaginavano che il fulcro dell’alleanza si sarebbe spostato da Varsavia all’Inghilterra. È più facile che, al di là della Manica, si installi una quarta gamba della partnership continentale, che trasformerebbe il Triangolo di Weimar in un Quadrilatero. Con il consenso americano? Ieri, il presidente del Consiglio Ue, Antonio Costa, ha sottolineato che l’azione dei volenterosi è compatibile con la linea della Casa Bianca. I mediterranei sarebbero tenuti al margine, alla faccia degli ottimi rapporti del nostro presidente del Consiglio con l’omologo britannico. I nordici, avanguardia dell’Europa orientale, avrebbero una parte di peso. E l’Ue sarebbe ridotta, marxianamente, a «comitato d’affari» del patto a quattro. Da «Unione di pace» (Von der Leyen) a foglia di fico: come per il sì di Varsavia al riarmo tedesco, le vie della storia sono infinite.
2025-12-02
Su Netflix arriva «L’amore è cieco», il reality che mette alla prova i sentimenti al buio
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«L’amore è cieco» (Netflix)
Il nuovo reality di Netflix riunisce single che si conoscono senza vedersi, parlando attraverso cabine separate. Solo dopo dieci giorni al buio possono incontrarsi e capire se la sintonia nata dalle parole regge alla realtà.
L'amore è cieco, sulla cui locandina campeggiano sorridenti Fabio Caressa e Benedetta Parodi, dovrebbe portare con sé un punto di domanda: qualcosa che lasci aperto agli interrogativi, al dubbio, all'idea che no, l'amore possa avere bisogno di vederci benissimo. Lo show, il cui titolo rievoca la saggezza (presunta) popolare, cerca di provare empiricamente la veridicità del detto. Non è, dunque, un dating show canonico, in cui single stanchi della propria solitudine si mettano a disposizione di chi, come loro, voglia trovare una controparte per la vita.
Le nuove foto di Andrea Sempio davanti a casa Poggi nel giorno del delitto riaccendono il caso e scatenano lo scontro mediatico. Mentre la rete esplode tra polemiche, perizie discusse e toni sempre più accesi, emergono domande che le indagini dell’epoca non hanno mai chiarito: perché nessuno ha registrato questi dettagli? Perché certi verbali sono così scarni? E soprattutto: come si intrecciano queste immagini con il DNA compatibile con la linea paterna di Sempio?
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- Il caso della famiglia del bosco ha portato molti commentatori a ribadire che la prole non appartiene ai genitori. Peccato che quando si tratta di farne compravendita o di ucciderli nel grembo se ne dimentichino sempre.
- La famiglia Trevallion ha spiazzato gli analisti perché trasversale a categorie tradizionali come ricchi contro poveri o colti contro ignoranti. E la gente li ama più delle istituzioni.
Lo speciale contiene due articoli.
Va molto di moda ribadire che i figli non appartengono ai genitori. Lo ha detto Fabio Fazio chiacchierando amabilmente con Michele Serra nel suo salotto: entrambi concordavano sul fatto che i bambini non sono oggetti e devono essere liberi, semmai indirizzati da famiglie, scuola, istituzioni. Lo ha ripetuto ieri sulla Stampa pure lo scrittore Maurizio Maggiani, in prima pagina, prendendosela con la famiglia del bosco e con quello che a suo dire è il delirio dei due genitori. «Non ho nessuna ragione per discutere delle scelte personali», ha spiegato, «non finché diventino un carico per la comunità, nel qual caso la comunità ha buoni motivi per discuterle. Mi interessa invece proprio perché non si tratta di scelta personale, visto che coinvolge i figli, e i figli non sono sé, non sono indistinguibili da chi li ha generati, ma sono per l’appunto altri da sé, individualità aventi diritti che non discendono da un’elargizione dell’autorità paterna o materna, così come sancito dalla Costituzione e dalla convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza».
Ecco #DimmiLaVerità del 2 dicembre 2025. Con il nostro Fabio Amendolara commentiamo gli ultimi sviluppi del caso dossieraggi.






