
Mentre giovedì il Consiglio e l’Europarlamento trovavano un accordo per avviare la fase operativa di un’identità digitale europea (eId) sotto forma di un green pass evoluto, la Commissione inviava alla Banca centrale una proposta concreta per far nascere l’euro digitale. La notizia non deve stupire. I due progetti vanno avanti infatti in modo parallelo. Quella di giovedì è solo l’ennesima conferma e la garanzia che prima o poi andranno a sovrapporsi, trasformando i cittadini in vere e proprie identità digitali: qualche vantaggio, ma infiniti pericoli di controllo e tracciabilità.
Tutto nasce con il vecchio regolamento «eIdas» che ha posto per primo le basi per lo sviluppo e il mutuo riconoscimento di sistemi di identificazione elettronica tra Stati membri. Vedi in Italia lo Spid o la Cie, la carta di identità elettronica nazionale. Allo stesso tempo, il regolamento presentava limitazioni intrinseche che hanno portato a un’applicazione differenziata della normativa in ciascun Paese membro. Ecco perché, come più volte abbiamo avuto modo di scrivere, la pandemia è stata l’occasione per creare una enorme base dati di utenti e per sviluppare la piattaforma blockchain in grado di sostenere il green pass vaccinale e man mano tutti gli sviluppi successivi. Tra questi c’è appunto il wallet digitale, lo stesso sbandierato da Ursula von der Leyen il giorno del suo discorso d’insediamento. Per capire meglio il nesso e gli sviluppi futuri, è bene ribadire che il green pass è stato congegnato come strumento win-win, capace di pescare titolari di certificazione sia tra i vaccinati, sia tra i no vax destinati ai tamponi e tra i guariti, e con portata universale; visto che, con la pandemia, tutti avevano almeno uno dei tre status sanitari. A due anni di distanza, se guardiamo il green pass nudo e crudo, notiamo che è un account che mira ad attestare il possesso di determinate condizioni in base alle quali un utente può dirsi abilitato e verificato rispetto a una piattaforma che eroga diritti e libertà (vedi il semaforo verde) concessi dal gestore. In questo caso il gestore della piattaforma sono lo Stato e l’Unione europea. I diritti e le libertà di accesso a un determinato luogo vengono restituiti sotto forma di concessione da parte del gestore stesso. Con tale premessa dobbiamo prendere in considerazione le attività che ci verranno proposte attraverso l’identità digitale. Potremo richiedere documenti, pagare prestazioni, accedere a prestazioni sanitarie. Le istituzioni europee ci spiegano che il tutto avverrà con la maggiore sicurezza possibile. A differenza delle autenticazioni che oggi propongono i colossi della Silicon Valley. Vero. Ciò che non viene spiegato è che tali portafogli digitali replicheranno lo stesso schema del green pass, che non prevede solo l’erogazione ma anche la revoca dei servizi digitali. Non paghi le tasse? Non puoi ottenere i documenti. Non sei in linea con le norme green? Non ottieni la possibilità di accedere a città o a particolari ambienti. Non è fantascienza, ma semplicemente la messa a terra di quanto la tecnologia può fornire a chi ci governa. A febbraio del 2020, poco prima che scoppiasse la pandemia, la Commissione ha reso pubblico il piano di trasformazione dei governi in piattaforme digitali. Il piano comprende una serie di intromissioni nella vita delle persone. Ad esempio, il controllo dell’informazione per evitare le cosiddette fake news. Il problema è quando la Commissione considera fake news tutte le critiche politiche che riceve: a quel punto si comprende che l’identità digitale si presta a diventare facile strumento di censura.
Va inoltre aggiunto un ulteriore elemento. Se prendiamo in considerazione il pacchetto di finanza digitale licenziato dalla Commissione a settembre del 2020 (l’altro pilastro della trasformazione digitale Ue), di cui fanno parte due comunicazioni strategiche in materia di finanza digitale e pagamenti al dettaglio, spuntano tre proposte di regolamento sui cripto asset e su un regime «pilota» per infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia dei registri distribuiti (tra le quali rientra la blockchain). Il riferimento di Bruxelles, per essere più chiari, è ai pagamenti al dettaglio, quale parte integrante del nuovo mercato dei capitali inclusivo di stablecoin, token digitali e nuovo euro digitale su blockchain. I sistemi interoperabili di identità digitale sono necessari all’euro digitale perché, a differenza dei contanti o delle criptovalute, la forma digitale delle valute legali emesse dalle Banche centrali deve essere scambiabile e mantenere l’anonimato, però in totale sicurezza. Tradotto in parole più semplici, la piattaforma del green pass è quella che servirà all’euro digitale per essere fruibile. Una strada confermata giovedì dalla lettera di avvio dell’euro digitale inviata dalla Commissione alla Bce. Adesso nessuno potrà negare che gran pass, identità digitali e nuova valuta vadano di pari passo. Che futuro ci riserverà? Molto controllato, per usare un eufemismo.






