2022-12-01
L’Europa dà il via libera condizionato al Recovery plan dell’Ungheria
Viktor Orbán sorvegliato speciale: bloccati in contemporanea 7,5 miliardi del bilancio comune.La Commissione l’ha promesso e ieri l’ha fatto. Ha proposto al Consiglio la sospensione degli impegni di spesa del bilancio comunitario a favore dell’Ungheria per 7,5 miliardi e - contemporaneamente quasi come un contentino -l’approvazione del Recovery plan da 7,2 miliardi di sussidi, sotto rigidissime condizioni.È la prima volta che viene applicato il nuovo regolamento del dicembre 2020 per la protezione del bilancio della Ue e l’Ungheria ora dovrà affrontare il voto a maggioranza qualificata del Consiglio della Ue che il 19 dicembre deciderà sulla proposta della Commissione.Era in corso già da tempo una interlocuzione tra Budapest e Bruxelles, con il governo magiaro che si era impegnato a rispettare 17 impegni entro la scadenza del 19 novembre. Si tratta di adempimenti prevalentemente connessi all’indipendenza della magistratura e alla trasparenza e correttezza degli acquisti della pubblica amministrazione e, in generale, della gestione dei fondi pubblici, su cui da tempo la Commissione riteneva che ci fossero sospetti di corruzione e malversazioni.Nonostante buona parte delle promesse fatte da Budapest siano state mantenute, la Commissione ha ritenuto che ci fossero troppi rischi per l’erogazione e il corretto utilizzo dei fondi dell’Unione. Perché l’Ungheria continua a non fornire sufficienti garanzie sull’esistenza di adeguate procedure anti corruzione e un sistema giudiziario indipendente dall’esecutivo. In particolare, sul primo fronte, deve dotarsi di autorità indipendenti anti corruzione, adottare trasparenza e concorrenza negli acquisti della Pa, introdurre norme per il conflitto di interessi, consentire all’autorità antifrode Ue di condurre indagini in loco, introdurre nuovi sistemi di monitoraggio e controllo delle spese. Sul fronte giudiziario, deve garantire un’amministrazione della giustizia obiettiva e trasparente, a partire dal funzionamento della Corte costituzionale.E così il 65% dell’importo relativo a tre programmi di spesa nell’ambito dei Fondi di coesione, pari a 7,5 miliardi, è finito nel congelatore.Le perplessità della Commissione hanno riverberato i loro effetti anche sull’approvazione del Recovery plan che era stata presentato dal governo di Viktor Orbán il 12 maggio 2021, solo pochi giorni dopo quello italiano e quello polacco. Con la differenza che il nostro è stato approvato già nel giugno 2021. Quello polacco nel giugno 2022, casualmente quando Varsavia è passata all’improvviso - con un’ipocrisia degna di miglior causa - da Stato destinatario di accuse simili a quelle dell’Ungheria a Stato modello per gli aiuti ai profughi e alle forze armate ucraine. Mentre quello ungherese è rimasto per 18 mesi sepolto in un cassetto, in attesa che Orbán offrisse le garanzie richieste dalla Commissione e fosse allineato alla linea politica dettata da Ursula von der Leyen sui dossier più importanti, guerra in primis.La Commissione, nell’approvare il piano, ha serrato a doppia mandata il lucchetto della cassaforte che contiene i 7,2 miliardi di sussidi destinati a Budapest, di cui 5,8 da impegnare entro il 31 dicembre. Per aprire quel lucchetto sarà necessario conseguire tutti, nessuno escluso, i 17 obiettivi già fissati per i Fondi di coesione, più altri 10 specifici per il Recovery plan, per un totale di 27 «super traguardi». Nonostante la Commissione ritenga che il piano ungherese contenga riforme e investimenti in grado di soddisfare le raccomandazioni Paese, Orbán è un sorvegliato speciale e deve prima fare tutti i compiti. La von der Leyen vede il funzionamento dello Stato di diritto come una minaccia al suo bilancio solo quando riguarda il governo Orbán. Per il governo di Varsavia il problema è all’improvviso scomparso dai radar. L’Ue funziona così.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
iStock
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
Continua a leggereRiduci