La Commissione l’ha promesso e ieri l’ha fatto. Ha proposto al Consiglio la sospensione degli impegni di spesa del bilancio comunitario a favore dell’Ungheria per 7,5 miliardi e - contemporaneamente quasi come un contentino -l’approvazione del Recovery plan da 7,2 miliardi di sussidi, sotto rigidissime condizioni.
È la prima volta che viene applicato il nuovo regolamento del dicembre 2020 per la protezione del bilancio della Ue e l’Ungheria ora dovrà affrontare il voto a maggioranza qualificata del Consiglio della Ue che il 19 dicembre deciderà sulla proposta della Commissione.
Era in corso già da tempo una interlocuzione tra Budapest e Bruxelles, con il governo magiaro che si era impegnato a rispettare 17 impegni entro la scadenza del 19 novembre. Si tratta di adempimenti prevalentemente connessi all’indipendenza della magistratura e alla trasparenza e correttezza degli acquisti della pubblica amministrazione e, in generale, della gestione dei fondi pubblici, su cui da tempo la Commissione riteneva che ci fossero sospetti di corruzione e malversazioni.
Nonostante buona parte delle promesse fatte da Budapest siano state mantenute, la Commissione ha ritenuto che ci fossero troppi rischi per l’erogazione e il corretto utilizzo dei fondi dell’Unione. Perché l’Ungheria continua a non fornire sufficienti garanzie sull’esistenza di adeguate procedure anti corruzione e un sistema giudiziario indipendente dall’esecutivo. In particolare, sul primo fronte, deve dotarsi di autorità indipendenti anti corruzione, adottare trasparenza e concorrenza negli acquisti della Pa, introdurre norme per il conflitto di interessi, consentire all’autorità antifrode Ue di condurre indagini in loco, introdurre nuovi sistemi di monitoraggio e controllo delle spese. Sul fronte giudiziario, deve garantire un’amministrazione della giustizia obiettiva e trasparente, a partire dal funzionamento della Corte costituzionale.
E così il 65% dell’importo relativo a tre programmi di spesa nell’ambito dei Fondi di coesione, pari a 7,5 miliardi, è finito nel congelatore.
Le perplessità della Commissione hanno riverberato i loro effetti anche sull’approvazione del Recovery plan che era stata presentato dal governo di Viktor Orbán il 12 maggio 2021, solo pochi giorni dopo quello italiano e quello polacco. Con la differenza che il nostro è stato approvato già nel giugno 2021. Quello polacco nel giugno 2022, casualmente quando Varsavia è passata all’improvviso - con un’ipocrisia degna di miglior causa - da Stato destinatario di accuse simili a quelle dell’Ungheria a Stato modello per gli aiuti ai profughi e alle forze armate ucraine. Mentre quello ungherese è rimasto per 18 mesi sepolto in un cassetto, in attesa che Orbán offrisse le garanzie richieste dalla Commissione e fosse allineato alla linea politica dettata da Ursula von der Leyen sui dossier più importanti, guerra in primis.
La Commissione, nell’approvare il piano, ha serrato a doppia mandata il lucchetto della cassaforte che contiene i 7,2 miliardi di sussidi destinati a Budapest, di cui 5,8 da impegnare entro il 31 dicembre. Per aprire quel lucchetto sarà necessario conseguire tutti, nessuno escluso, i 17 obiettivi già fissati per i Fondi di coesione, più altri 10 specifici per il Recovery plan, per un totale di 27 «super traguardi». Nonostante la Commissione ritenga che il piano ungherese contenga riforme e investimenti in grado di soddisfare le raccomandazioni Paese, Orbán è un sorvegliato speciale e deve prima fare tutti i compiti. La von der Leyen vede il funzionamento dello Stato di diritto come una minaccia al suo bilancio solo quando riguarda il governo Orbán. Per il governo di Varsavia il problema è all’improvviso scomparso dai radar. L’Ue funziona così.


